Prima pagina addio!
Il vento della crisi della carta stampata parte dagli Stati Uniti ma soffia verso l’Europa.
Il vento della crisi della carta stampata parte dagli Stati Uniti ma soffia verso l’Europa.
La crisi della carta stampata finisce in prima pagina sul “New York Times”: il popolare quotidiano statunitense ha recentemente pubblicato un’approfondimento sul declino dei giornali nazionali, denunciandone il drastico calo e paventandone l’inevitabile chiusura. “Fin dal 2004, un giornale su quattro, perlopiù settimanali, ha chiuso” riporta il Times, citando lo studio “The Expanding News Desert” della School of Media and Journalism dell’Università della North Carolina (UNC). “Più di 1300 paesi negli Stati Uniti sono privi di un’edizione locale” e migliaia hanno una copertura giornalistica che il Times definisce “inadeguata” ( “inadequate journalism”).
La diffusione totale dei quotidiani statunitensi (stampa e versione digitale) nel 2018 è stata di 28,6 milioni durante i giorni feriali e 30,8 milioni alla domenica, in calo rispettivamente dell’8% e del 9% rispetto all’anno precedente, secondo la ricerca del Pew Research Center (PRC).
Mentre i lettori statunitensi (ma non solo, come spiegherò in seguito) sembrano muoversi verso diverse modalità di consumo delle notizie, principalmente via smartphone o app, l’introito pubblicitario generato dalla pubblicità digitale negli USA deve ancora raggiungere le cifre (un tempo di successo) di quello su carta. Tra il 2017 e il 2018 i giornali degli Stati Uniti hanno perso 2,4 miliardi di dollari di guadagni pubblicitari sottolinea il Pew Research Center. Se si guarda al fatturato annuale complessivo, l’industria ha perso quasi 35 miliardi di dollari.
Ciò ha costretto numerosi giornali americani a tagliare drasticamente le risorse umane, arrivando ad avere redazioni pressoché sguarnite ed una conseguente copertura delle notizie molto esigua, scatenando numerose lamentele dei propri lettori che, di conseguenza, hanno cancellato i loro abbonamenti.
Lo studio dell’Università della North Carolina definisce questa come l’era dello sviluppo di “giornali fantasma” (“The Rise of Ghost Newspapers”), incarnazioni spettrali di quelle che erano una volta le ricche pubblicazioni multipagina quotidiane.
Il “New York Times” si domanda se “arriverà il giorno in cui non vi saranno più quotidiani di carta stampata” sollevando da un lato il quesito se la mancanza di un’edizione stampata su carta sia la misura dell’esistenza stessa di un quotidiano, e dall’altro la questione diametralmente opposta, ovvero se la definizione di un vero quotidiano sia invece la presenza di contenuti di qualità al suo interno.
Oggi, il fulcro della questione sul tavolo di molte redazioni americane sembra essere però il numero delle edizioni da sacrificare. Tra le strategie di soluzione alla crisi adottate da alcuni quotidiani locali vi è infatti una radicale trasformazione del giornale: un vero e proprio “taglio” alla pubblicazione di uno o due giorni alla settimana, o addirittura più drastico di cinque o sei uscite arrivando a stampare una sola edizione settimanale, la domenica. Che sia un modo per accelerare il definitivo passaggio al digitale o per avanzare inesorabilmente verso il proprio declino?
Sebbene i costi di stampa non diminuiscano in modo lineare con il calo dei volumi (ovvero in base alla riduzione del numero di copie stampate) ma solo quando si eliminano grandi elementi di costo (come il processo di stampa, ma soprattutto la consegna e la distribuzione del quotidiano), decine di giornali statunitensi hanno già tagliato il sabato (creando una singola pubblicazione nel fine settimana alla domenica) o il lunedì.
Il “New York Times” e il “Wall Street Journal” consegnano ogni giorno centinaia di migliaia di giornali (la maggior parte dei quali fuori New York), e spesso fanno dei contratti con i giornali locali per gestire al meglio la consegna nelle località più piccole. Quando il mese scorso, il “Post-Gazette” di Pittsburgh ha annunciato che stava tagliando i giorni di stampa da cinque giorni a tre, ha sottolineato che a causa del cambiamento non sarebbe più stato in grado di distribuire il Times, il Journal o “USA Today” nella sua area.
I cambiamenti del modello di business industriale richiesti per avviare la totale transizione dalla carta stampata al digitale stanno spingendo gli editori dei giornali ad adottare strategie salvavita.
Negli Stati Uniti, i grandi gruppi editoriali (Gatehouse, Gannet, Tribune Publishing, Alden/Digital First Media e McClatchy) si stanno alleando con le banche, ad esempio con Goldman Sachs, soprattutto in seguito al cambio di proprietà del “Washington Post” (passato a Jeff Bezos di Amazon) e del “Los Angeles Times” (ora del medico imprenditore Patrick Sonn-Shiong) e di South “China Morning Post” (oggi di Alibaba).
L’unico quotidiano che al momento non è in vendita è il “New York Times”, il quale forte della sua massiccia quota di abbonamenti digitali (giunti a 3,4 milioni su un totale di 4 milioni di abbonati) rappresenta oggi una sorta di “mosca bianca” lontana dal mercato delle concentrazioni e procede senza intoppi nella sua scalata verso il successo affermandosi come uno dei quotidiani più tecnologicamente avanzati, introducendo nelle notizie grandi quantità di video, realtà virtuale, podcast ed edizioni speciali.
Il segreto per la sopravvivenza dei quotidiani sembra dunque essere l’aggiunta di video, giochi e contenuti più accattivanti ai semplici articoli di testo: un modo efficace con cui i giornali possono utilizzare le loro edizioni digitali per raggiungere nuovi segmenti di lettori e diventare parte della routine quotidiana dei loro attuali lettori. E magari attirarne di nuovi. Giornali come il “The Washington Post” e il “Financial Times” hanno registrato numeri impressionanti. Mentre il Post ha già 1,7 milioni di abbonamenti sul web, il FT ha recentemente superato 1 milione di abbonati totali, dei quali circa 740.000 sono solo digitali.
Ma il business del digitale non sembra funzionare per tutti. Quest’anno gli abbonamenti al Los Angeles Times sono molto al di sotto delle aspettative (solo 13.000 abbonamenti digitali rimasti ad oggi, al netto delle cancellazioni rispetto alle 52.000 sottoscrizioni iniziali). In una nota della redazione, il quotidiano ha affermato che “sperava di passare da poco più di 150.000 a 300.000 quest’anno per avvicinarsi alla copertura dei costi editoriali”, ma non ci è riuscito e ha sottolineato come il futuro del giornale “dipenda da una risoluzione rapida del problema”.
Perché una volta ottenuti gli abbonamenti digitali è necessario che, giorno dopo giorno, i contenuti del giornale siano in grado di dimostrare di valere quell’investimento iniziale, ma soprattutto che il lettore sappia che questi contenuti esistono. Ecco dunque che servono strumenti che promuovano una breaking news, un reportage o un’inchiesta, e che aumentino la frequenza della fruizione del lettore: newsletter via email, podcast settimanali, notifiche di nuove notizie, una selezione dei contenuti per il fine settimana. Il “New York Times” ha un’intera squadra di 10 persone dedicate solo ai primi 90 giorni dei nuovi abbonati: il team “lavora per cercare di rafforzare il valore di un abbonamento e per spiegare agli abbonati perché ciò per cui stanno pagando vale di più del prodotto gratuito”.
Ma se fosse quindi questo il modello giusto da seguire, saranno pronti i giornali dall’altra parte dell’oceano a portare a compimento con successo la transizione? Le speculazioni sulla “fine della carta stampata” aleggiano da tempo anche nelle redazioni europee che sembrano comunque essersi rimboccate le maniche per non soccombere alla crisi.
In Europa, le edizioni digitali sono andate ben oltre il formato “replica”, come l’edizione serale solo in digitale del quotidiano francese “Ouest-France” o quella delle 7 del mattino, “La Matinale”, di “Le Monde” che utilizza sulla sua app un modello di scorrimento delle notizie simile a quello di Tinder e “Stories” come quelle di Instagram per raggiungere un pubblico di notizie più giovane.
In Inghilterra “The Guardian”, “The Telegraph”, “The Times of London” vengono sostituiti da un’apposita edizione (che genera la maggior parte delle entrate pubblicitarie) molto più nutrita la domenica.
Gli azionisti inglesi si aspettavano un peggioramento del mercato della carta stampata che in Gran Bretagna ha perso lettori e ricavi pubblicitari a vantaggio dei media digitali: una situazione aggravata dagli inserzionisti che stanno trattenendo un notevole budget per coprire i futuri costi di business associati alla Brexit.
Ma i quotidiani britannici hanno adottato una sapiente politica di riduzione dei costi. La strategia di taglio delle spese ha premiato il “The Times of London” e la sua versione domenicale “The Sunday Times” portando i loro abbonamenti a superare il mezzo milione negli ultimi 12 mesi, raggiungendo quota 502.000. “Gli abbonati digitali hanno superato per la prima volta gli abbonati alla stampa e rappresentano il 51% del totale” ha dichiarato il giornale. Inoltre, “3,8 milioni di persone si sono registrate per accedere agli articoli del Times e del “The Sunday Times” con un sistema che consente ai non abbonati di leggere gratuitamente due articoli a settimana” aggiunge.
Recenti dati pubblicati dalla Published Audience Measurement Company, hanno rivelato però che è il “Mail” il quotidiano più letto nel Regno Unito, con un bacino mensile di quasi 31 milioni di lettori. I numeri dimostrano che “Daily Mail”, “Sunday Mail” e “MailOnline”, sono i più letti (sia per numero di utenti giornalieri che mensili tramite le versioni sul web e sulla carta stampata) con oltre 30 milioni di lettori mensili, seguiti da vicino da “The Sun” (29.197 milioni) e “The Sun on Sunday” (27.178 milioni). Tra gli altri quotidiani famosi, il “Daily Mirror” e il “Sunday Mirror” hanno circa 24 milioni di lettori ciascuno, seguiti da “Metro”, dal “London Evening Standard” e il “Daily Star”.
“The Guardian” è il più letto dai giornali di “qualità”, con 25 milioni di lettori, seguito da “The Daily Telegraph” (22,7 milioni) e “The Independent” (19,5 milioni). “The Scotsman” (2.533 milioni) è il quotidiano regionale (Scozia) più letto, seguito da “The Yorkshire Post” (1.287 milioni).
E in Italia? Secondo l’agenzia di ricerche di mercato “Human Highway”, il numero di copie di quotidiani cartacei diffuse ogni giorno in Italia diminuisce costantemente dal 2002. La diffusione dei quotidiani italiani – afferma la società – si è più che dimezzata dal 2002 al 2019. Dal 2008 in poi la diffusione delle copie è scesa di 250mila unità ogni anno ed è passata da 5,4 milioni di copie di media al giorno del 2007 a 2,4 milioni del 2019 (fino a maggio).
La diffusione dei quotidiani in Italia nel 2018 si attestava a poco più di 2 milioni di copie giornaliere, mentre quelle digitali erano intorno alle 350mila secondo il “Rapporto 2019 sull’industria dei Quotidiani in Italia”, realizzato dall’Osservatorio tecnico “Carlo Lombardi” per i quotidiani e le agenzie di informazione. Dati che se confrontati con quelli del 2007, quando la diffusione era intorno ai 5,5 milioni, fanno venire i brividi. Solo alla fine del 2014, l’85% dei quotidiani italiani aveva una versione sia digitale che cartacea. Nello stesso anno, solo il 10% delle entrate totali dell’industria dei giornali derivava dai prodotti digitali.
Il fatturato pubblicitario dei quotidiani nel 2018 (555.977) è diminuito del 6,3% rispetto al 2017 e si è ridotto del 71,3% negli ultimi dieci anni, ad un ritmo annuale di più del 10%, mentre quello del mercato digitale 2018 è cresciuto rispetto all’anno precedente del 4,5% (478.423).
I dati di ADS (Accertamenti Diffusione Stampa) di giugno 2019, per quanto riguarda le vendite della sola versione cartacea (in confronto a maggio 2018), rivelano il crollo per tutte le sedici maggiori testate quotidiane.
In particolare spicca il tracollo de “Il Giornale” che perde il 19,09%, ma anche quello del quotidiano “La Stampa”, che registra un calo del 11,77%, e de “II Sole 24 ore” che scende del 22,3%. I due quotidiani più venduti in Italia, “Corriere della Sera” e “La Repubblica”, cedono rispettivamente il 8,59% e 9,75% delle vendite.
Il trend non cambia se si analizza invece il totale delle vendite (includendo quindi anche le copie digitali), a conferma del poco successo delle vendite dei quotidiani nel formato digitale (secondo i dati ADS) nel nostro Paese. Il discorso non riguarda però tutte le testate, una su tutte, “Il Sole 24Ore” per il quale le copie digitali hanno un valore non trascurabile, risollevandolo da 40.159 copie a ben 144.827. Peso che non attutisce però il calo del quotidiano economico-finanziario che cede complessivamente il 14,5% delle copie rispetto a giugno 2018.
Complessivamente le copie digitali consentono un leggero recupero rispetto a giugno 2018 per “Il Giornale” che registra un magro + 0,03%; in crescita anche “L’Unione Sarda” con +2,04%. Più significativi il +8,71% di “Tuttosport” e il +7,32% de “Il Corriere dello Sport”.
Ma non facciamoci ingannare dai questi timidi segnali di attenzione per il digitale. Il Rapporto del Censis “I media digitali e la fine dello star system” del 2018 aveva chiaramente fotografato il crollo dei lettori dei quotidiani. Se nel 2007 il 67% degli italiani non rinunciava alla lettura giornaliera di un quotidiano, la percentuale è scesa al 37,4% nel 2018. Un crollo che non è stato compensato dalle versioni online dei quotidiani che sono seguite dal 26,3% degli italiani, mentre i portali generici di informazione beneficiano di una crescita del 46%.
Stando ai dati dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano realizzato su dati Doxa e ComScore un terzo degli italiani visita siti di informazione almeno una volta al giorno (33%) e un altro terzo almeno una volta alla settimana (32%), percentuali rimaste praticamente invariate negli ultimi due anni. Se da un lato “diminuisce dal 40% al 35% la percentuale degli intervistati che scelgono tra video e testo a seconda degli argomenti, cresce la percentuale di chi legge solo notizie di testo perché ritiene eccessiva la lunghezza dei video e, al contempo, quella di chi preferisce guardare solo video perché fruibili in maniera più rapida” sottolinea Antonio Filoni, Head of Digital Offering di Doxa.
Per quanto riguarda i servizi di news a pagamento, “il 92% degli intervistati dichiara di non pagare per fruire di giornali, riviste e servizi di news online, ritenendo (nel 59% dei casi) sufficiente l’offerta gratuita reperibile on line”. In Italia quindi una maggioranza schiacciante di lettori non è disposta a pagare per poter accedere ai contenuti online dei quotidiani. Nel resto del mondo la situazione vede poche eccezioni a questa tendenza.
Secondo il “Digital News Report 2019” del “Reuters Institute for the Study of Journalism” basato su dati provenienti sulle abitudini di informazione di 75.000 lettori da 38 paesi e sei continenti, sono poche le nazioni in cui si registra un aumento degli abbonamenti digitali, come (Norvegia 34%, Svezia 27%) e Stati Uniti (16%).
Il dato più interessante riguarda invece la modalità di fruizione delle notizie. A livello globale la comunicazione sociale delle notizie sta assumendo una dimensione privata tramite le app di messaggistica che continuano a registrare una crescita esponenziale: WhatsApp è diventata la prima chat di condivisione e discussione delle news in paesi non occidentali come il Brasile (53%), la Malesia (50%) e il Sudafrica (49%).
Cresce l’importanza dello smartphone come strumento di accesso alle notizie con il 66% degli intervistati che utilizza il dispositivo sempre più popolare tra i giovani, che sono anche i più appassionati di podcast: più di un terzo del campione (36%) afferma di aver ascoltato almeno un podcast nell’ultimo mese, cifra che sale alla metà (50%) per chi ha meno di 35 anni.
Il modello delle notizie a pagamento non è certo una novità, ma la crescita di servizi di aggregazione “premium” come quello di “Apple News” (che offre un abbonamento al momento disponibile solo negli USA, in Gran Bretagna e in Australia) sta acquisendo una forza più significativa: “Apple News” negli Stati Uniti ora raggiunge più utenti su iPhone (27%) rispetto al “Washington Post” (23%).
Al momento, i grandi gruppi editoriali statunitensi ne sono rimasti fuori per evitare il rischio della cannibalizzazione del mercato, ma l’industria della carta stampata dovrà presto affrontare la questione dell’accesso per i propri lettori a più fonti di notizie ad un prezzo che sia ragionevole.
Dall’altra parte è possibile che ciò faccia parte di una transizione ad un futuro in cui più persone accetteranno che sia necessario pagare per avere notizie di qualità.
Modelli di donazione, come quello gestito dal quotidiano “The Guardian” – e da alcune testate giornalistiche locali negli Stati Uniti – sono stati suggeriti come alternativa ai cosiddetti paywall, ma costituiscono ancora una piccola percentuale del mercato. “The Guardian” ha rivelato che più
di 1 milione di persone ha sostenuto finanziariamente il giornale quest’anno. Ad aprile, il quotidiano ha dichiarato di avere 655.000 sostenitori mensili tra carta stampata e versione digitale.
Nell’ultimo anno però solo il 3% del campione analizzato dal Reuters Institute negli Stati Uniti ha fatto delle donazioni in denaro a una testata giornalistica, il 2% in Spagna e l’1% nel Regno Unito.
Una valida alternativa sembra essere rappresentata dall’aggregazione tra gli stessi quotidiani di paesi diversi. Il “Times of London” offre accesso gratuito al “Wall Street Journal” mentre il “Washington Post” offre un accesso più economico tramite “Amazon Prime”.
Uno degli effetti della fruizione delle notizie online è stato l’indebolimento del rapporto diretto tra lettori ed editori. In tutti paesi, solo il 29% degli intervistati afferma di preferire l’accesso diretto ad un sito Web o all’app di un quotidiano. Oltre la metà del campione (55%) preferisce consultare le notizie tramite i motori di ricerca o i social media.
Per generare maggiore traffico diretto al proprio sito web, la stampa estera utilizza le newsletter via email: il “Washington Post” gestisce circa 70 diverse newsletter (circa lo stesso numero di quelle gestite dal “New York Times”) e ha scoperto che i destinatari delle email accedono a circa il triplo dei contenuti rispetto a quelli che vanno direttamente sul sito. In Gran Bretagna il “Daily Telegraph” ha recentemente introdotto una nuova newsletter “The Bright Side” che ogni martedì propone solo notizie positive da tutto il mondo.
In Francia “Le Monde”, il secondo quotidiano per diffusione (288.435) secondo solo a “Le Figaro”, ha lanciato ad inizio 2019 una newsletter settimanale sull’istruzione “Le Monde de l’éducation” con la quale il giornale condivide con i propri abbonati alcuni “case studies” sotto forma di sondaggi, relazioni, testimonianze sul mondo dell’istruzione e che contiene una selezione settimanale di articoli dal mondo utilizzabili a scopo educativo nelle scuole come antidoto alle “fake news”.
In Germania la diffusione della carta stampata ha perso 11 milioni di copie tra il 2000 e il 2016, secondo la ricerca della società “Media Landscapes”. In effetti, la penetrazione totale dei giornali è scesa dal 72,4 % nel 2008 al 63,6 % nel 2016, secondo la recente analisi dei media del Bund Deutscher Zeitungs Verleger (Federazione degli editori di giornali tedeschi – BDZV). Il numero di lettori su Internet è però in aumento, con circa il 63 % ovvero 44,7 milioni di tedeschi che leggono un giornale online. Inoltre, i dispositivi mobili vengono utilizzati da 9,6 milioni di utenti per ottenere informazioni in tempo reale.
In questo nuovo scenario dominato dal digitale l’ostacolo maggiore per gli editori sembra essere il dominio dei colossi del web (Google, Amazon e Facebook): un potere esercitato grazie agli algoritmi, tramite cui decidono quali contenuti sono visibili e quali non lo sono, e attraverso il blocco degli ads, con cui controllano anche quali annunci pubblicitari far visualizzare ai loro utenti. Il loro potere, e la spietata efficienza delle loro operazioni pubblicitarie, ha minato alla base il modello di business delle news deprimendo ulteriormente un settore in crisi da oltre un decennio e di fatto incoraggiando la crescita di siti di dubbia informazione che, grazie al sistema del “clickbait” ed a varie forme di disinformazione, sta contribuendo a minare ulteriormente la fiducia nei media.
Qualche nota di ottimismo proviene dal recente esito del voto del Parlamento Europeo di Strasburgo che ha approvato nuove regole in tema di protezione del diritto d’autore, introducendo il principio di remunerazione degli editori e dei giornalisti per la diffusione sulle piattaforme Internet (come Facebook, Google e Youtube ) degli articoli di giornali, cercando di preservarne così l’indipendenza futura.
In mezzo a questi stravolgimenti è lecito chiedersi se i giornali siano ancora in grado di compiere la loro missione fondamentale: quella di informare le persone ed aiutare i lettori a comprendere il mondo che li circonda.
Io credo che ciò sia possibile, ma a due condizioni, le quali richiedono un duplice impegno, sia da parte dei giornalisti che dei lettori: da parte nostra il dovere di fare un giornalismo di qualità, che sia di approfondimento per il lettore e ne alimenti la riflessione sulle vicende attuali, e da parte di chi legge, la promessa di “salvare” quelle testate che lo rappresentano.
In America i quotidiani più famosi temono per la reputazione e la credibilità del marchio stesso che rappresentano. Davanti ai drastici tagli ai posti di lavoro nelle redazioni, a prodotti editoriali più deboli e al calo di lettori cosa rimarrà di quel valore originale, spesso identificato con il logo della testata, raggiunto grazie ad anni di impegno giornalistico?
Si tratta di un valore che all’epoca dei social network e delle “fake news” è a forte rischio di essere bruciato, se non si convinceranno i lettori che vale la pena investire qualcosa per avere un’informazione che sia di qualità e che corrisponda alla realtà. Ma ciò richiederà una copertura delle notizie che siano di contenuto e prodotti digitali che offrano di più e non siano solo una “replica” del quotidiano cartaceo sul web.
Il futuro modello di informazione dovrà quindi essere in grado di recuperare finanze sufficienti a sostenere investimenti nelle nuove tecnologie per generare una piattaforma multimediale completa che non contenga dunque solo testo ma video, podcast e contenuti interattivi, sforzandosi di procedere allo stesso passo di quegli investitori che acquisiranno aziende ed editori in crisi e spingeranno sempre di più verso nuove sperimentazioni di fruizione delle notizie.
L’innovazione nel giornalismo non dovrebbe però riguardare solo il modello di business o le nuove tecnologie, ma dovrebbe anche comprendere diverse forme culturali e formati di rappresentazione radicalmente nuovi.
La sfida per il giornalismo negli anni a venire sarà quella di reinventarsi, proponendo qualcosa che sia di più di una notizia, ma resistendo alla seduzione dell’intrattenimento. Un giornalismo che dia voce ai lettori, che rappresenti un ponte tra i cittadini e le autorità, che sia fonte di informazioni originali ed esclusive, e che sappia costruire un’esperienza unica per chi legge, facendolo sentire come se, tramite il giornale, avesse un invito a partecipare a qualcosa di davvero importante.
Ed ecco allora che quel valore originale che consente ai giornalisti di offrire ai lettori un modo per decifrare al meglio il mondo di oggi sarà (mi auguro) ancora salvo.