I social, FaceApp e le “fottute lucertole”
La frequentazione dei social in estate è roba da anime forti e impavide, tra foto delle vacanze, discussioni pseudopolitiche e la nuova, meravigliosa, applicazione FaceApp. Che Dio ci scampi.
La frequentazione dei social in estate è roba da anime forti e impavide, tra foto delle vacanze, discussioni pseudopolitiche e la nuova, meravigliosa, applicazione FaceApp. Che Dio ci scampi.
Ormai è cosa nota che la frequentazione dei social nel periodo estivo è roba da anime forti, impavide e un po’ masochistiche. Tralasciando gli aspetti interessanti e utili, che ovviamente ci sono, da aprile a settembre i social mettono duramente alla prova chi li frequenta però magari è poco social – una tua amica una volta ha detto che i suddetti sono come il sesso: c’è chi è attivo, chi è più passivo, chi guarda e basta.
Cioè. Anche durante il resto dell’anno ci sono ovviamente le foto di pranzi/cene/caffè/aperitivi postate da contatti più o meno vicini che stavano non su un rooftop esclusivo di Manhattan – il che renderebbe il tutto se non giustificabile, almeno spiegabile per la supposta pseudounicità del momento per noi poveri mortali – ma in ristoranti/bar/feste in città più o meno vicine/al lago/al mare/in piazza Libero Vinco o in piazza Bra, che se non sei un turista tedesco magari anche no.
E vabbè. Però tra aprile e settembre, oltre alle pubblicità suggerite che ti fanno interrogare sulla percezione (distorta) che l’algoritmo Facebook possa avere di te – tipo, anche i tuoi amici pensano che vorresti iscriverti nell’Esercito Italiano? Mah –, oltre ai soliti meme e dibattiti pseudopolitici esprimenti diversi gradi di expertise di a. diritto internazionale e della navigazione – cfr. il quasi recente caso Rackete –, b. ingegneria e architettura con specializzazione in interpretazione religiosa – cfr. il meno recente rogo di Notre-Dame de Paris –, c. tennis – cf. Wimbledon –, d. scienze naturali e paleontologia – cfr. una nuova, recentissima e solidissima teoria sull’estinzione dei dinosauri, vedi immagine qui sotto cui non hai resistito – ora ci sono e ci saranno, periodo oblige, tutte le foto delle vacanze.
Un po’ va bene, ma di più insomma. Certo ti fa piacere sapere che mentre tu a giugno stavi in ufficio con 37 gradi all’ombra tuo cugino Beppe era a fare surf e ad abbronzarsi in Grecia. Però, pur se rosa dall’invidia e se provata dalla canicola, il concetto “sto bene e sono fico” l’avevi già afferrato alla terza foto di cocktail, onde e tavole. Alla dodicesima, cercavi invano il tasto #menefregailgiusto [cioè un *****, ndr]. Tasto ingiustamente e immeritatamente non disponibile, che a tuo parere avrebbe un gran successone.
Perché ovvio che puoi ignorarlo, il cugino Beppe e tutto il suo book fotografico di amici surfisti, birre, stroppole bionde e beach parties. Solo che fanno più o meno lo stesso anche l’amica in vacanza coi figli, il conoscente al festival indie-rock che non posta foto di mare ma insomma il concetto è quello, la sorella in week-end col fidanzato, l’ex a cena in un ristorante fichissimo con una stroppola mora, il collega che fa aperitivi in terrazza a cui non sei invitata, la vicina che pur stando al lavoro vuole far sapere a tutti che domenica scorsa era in bikini insieme a tipo altre 273.649,33periodico persone contando la sua e tutte le altre foto di spiaggia, l’amico in giro per Parigi, l’amica che sta comprando un tostapane blu da Euronics alle Corti Venete. E va bene, eh. Buon per loro. I social servono anche a questo – altrimenti si chiamerebbero eremital –, e il tostapane ha il suo perché pure con 35 gradi all’ombra. Soprattutto se è blu, colore che si abbina bene alla foto di mare giusto sopra e giusto sotto.
Solo che adesso, oltre a tutto ciò, c’è anche FaceApp. Come sa anche il cugino Beppe dalla Grecia, FaceApp è un’applicazione rilasciata nel 2017 e disponibile in versione sia gratuita che a pagamento – per i filtri più complicati e performanti devi pure sganciare dei soldi – che analizza e modifica i tuoi tratti del viso a livello di età, sesso, colore dei capelli. Nella sua versione “invecchiante”, quest’applicazione meravigliosa e di cui si sentiva nettamente il bisogno sembra essere il giochino trendy del momento, l'”applicazione dell’estate” (cit.).
Certo anche qui basta ignorare la cosa, ovvio. Però l’uso dilagante di queste specie di preview di te in versione mummia conservata benone – invecchiano i visi ma non i corpi, per non scioccare troppo la gente – induce a varie riflessioni, tra cui: 1. La smeniamo con la privacy ma pur di vederci coperti di quelle stesse rughe che combattiamo quaotidianamente con qualsiasi tipo di crema rassodante/idratante/antiage/drenante/contenente qualsiasi sale/principio attivo/fiore/frutto/sostanza/roba-animale-morta-o-viva-che-sia siamo disposti a fornire dati biometrici che allenano le intelligenze artificiali e, più prosaicamente, tot dati a un’azienda russa che li userà non si sa bene come, e 2. certo è estate e siamo tutti più easy and più trendy and prende poco tempo and è un giochino divertente, però anche qui i rischi sono notevoli e aprono scenari inquietanti. Questo a livello personale – come suggerisce neanche tanto velatamente Lercio, cfr. https://www.lercio.it/invecchia-la-foto-del-figlio-con-faceapp-e-spunta-fuori-lidraulico/–, collettivo nazionale – cfr. foto sotto tratta da https://www.lospettacolodevecontinuare.com/2019/07/faceapp-barbara-durso-foto-satira-web-social.html – o collettivo internazionale, metti mai che Dio guardi in giù proprio adesso, scopra com’è ridotta la sua specie privilegiata, invecchiatissima anzitempo, e decida di sostituirla con un’altra più pucciosa, giovane e furba solo perché abbiamo fatto come Fedez e la Ferragni. No perché la storia delle lucertole è un filo preoccupante eh.
Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Canto I