La tv nel pallone
Il calcio piace sempre agli italiani ma la serie A ha smarrito il fascino di un tempo e il pubblico televisivo a pagamento è in calo.
Il calcio piace sempre agli italiani ma la serie A ha smarrito il fascino di un tempo e il pubblico televisivo a pagamento è in calo.
Settecentomila abbonamenti non rinnovati. Trenta per cento in meno di ascolti. Una recente inchiesta de Il Fatto Quotidiano ha svelato numeri preoccupanti per un paese che fino a ieri fa viveva di pane e calcio. L’indice di gradimento del pallone in (pay) tv scivola scivola scivola in basso, per dirla all’Umberto Tozzi. Un S.O.S. che dà brividi alla Lega Serie A in vista del 2021, anno in cui scadranno i diritti televisivi.
La flessione degli telespettatori stimola una domanda: il calcio piace di meno agli italiani? Sembrerebbe di no, almeno analizzando i dati di ascolto delle partite trasmesse (in chiaro) nell’ultimo periodo. Si dirà che certi match attirano a prescindere. Resta il fatto che cinque milioni di spettatori sabato scorso hanno visto la nazionale di Roberto Mancini spezzare le reni alla Grecia (28,8% di share) e altrettanti la finale di Champions’ League tra Liverpool e Tottenham.
Alti dati: quasi tre milioni hanno pranzato di domenica guardando le ragazze azzurre contro l’Australia (18.5%). Un milione e 792mila (8,5%) si sono seduti davanti al video per Inghilterra–Olanda di Nations League e in 1.404.000 (6,5%) per la finale playoff di B tra Hellas e Cittadella. Riassumendo: quando in onda compare una palla e guardarla è gratis, il pubblico risponde. Il punto semmai è capire in quanti, in futuro, saranno disposti a pagare per il massimo campionato italiano di calcio.
Tra le cause del calo di cui sopra viene addotta l’iniziale destabilizzazione dell’utenza dopo la suddivisione dei diritti tv tra Sky e Perform (Dazn) e alla sempre fiorente pirateria Iptv. Sarebbe consigliabile non limitare l’analisi a questi aspetti. Inflazionato da un’offerta senza eguali rispetto agli altri grandi tornei europei, il posizionamento della serie A nell’immaginario collettivo, oltre alla concorrenza di altre e nuove forme di divertimento video (Netflix, su tutte) ma non solo, per paradosso in realtà pare influenzato al ribasso proprio dal raffronto televisivo con altre competizioni continentali. Qui da noi, nel tempo, è peggiorata la qualità degli interpreti ma soprattutto il torneo ha smarrito l’appeal che lo contraddistingueva. Quali emozioni può regalare un campionato dove si sa già chi vince e del resto interessa poco, ancor più nel momento in cui prodotto complessivo è mortificato dalla sperequazione, economica ma anche mediatica, riservata al resto delle stesse partecipanti?
In una corsa destinata anche tra qualche mese ad avere un solo cavallo in grado di vincerla, la Juventus guarda oltreconfine. Ad oggi è l’unica società italiana favorevole alla riforma delle coppe europee. Il cosiddetto “effetto-Ronaldo“, al contrario delle previsioni, non ha prodotto alcuna corsa a far l’abbonamenti alla pay-tv ne ha migliorato i bilanci della Vecchia Signora. Anzi. Un paradosso è che, per quanto in misura modesta, l’arrivo di Cr7 ha motivato 180mila tifosi in più a posare il telecomando per rivalutare l’esperienza del calcio dal vivo. Godersi un campione a occhio nudo è evidentemente più coinvolgente che tramite lo schermo. Così qualcuno ha deciso di alzarsi dal divano, anche perché agevolato dalla parziale abolizione della tessera del tifoso che ha reso l’accesso agli stadi meno complicato.
Non occorre specificare che la visita della Juve abbia segnato i singoli picchi stagionali – derby locali a parte – di quasi tutte le partecipanti al torneo di A. Un elemento che ha compensato la regressione del Napoli causata dalle limitazioni alla capienza e alla vendita dei tagliandi. Numeri piccoli, se si ragiona sulla media reale di cinquecento spettatori a gara, che tuttavia stimolano una riflessione. Da destinare a chi, anni fa, ha deciso di puntare solo sul mezzo televisivo per generare ricavi.
Lo stallo sarebbe rischioso: fornitore e cliente sono reciprocamente indispensabili l’uno all’altro. Negli ultimi tre lustri, leggi e normative assortite e hanno voluto spingere il pubblico dalle tribune verso il salotto di casa. Al di là dell’effetto sgradevole di impianti semivuoti, talvolta incluso anche quello della capolista, il risultato è stato mortificare ogni altra forma di ricavo, ancor più eclatante nel paese del merchandising tarocco. Un “all-in” rischioso e destinato a premiare nel breve periodo. Trasformati i tifosi in teleutenti, di fatto il calcio si è consegnato a braccia alzate alle tv a pagamento.
In vista del 2021, secondo Il Fatto Quotidiano, la Lega ha deciso di muoversi in anticipo, fiutando preoccupata quel che potrebbe avvenire alla scadenza del contratto. Oggi suddiviso, per ragioni di antitrust, tra Sky e Dazn. Tra due anni si ridaranno le carte: fuori gioco Mediaset, l’emergenza nasce dal fatto che in queste condizioni l’asta potrebbe portare l’acqua fino alla gola del calcio italiano. La prima mossa per evitarla sarà anticiparla a fine 2019. La seconda, con l’ausilio degli spagnoli di MediaPro, potrebbe vedere il rilancio del vecchio progetto di una televisione gestita direttamente.
Se il primo appuntamento tra gli spagnoli – che oggi hanno nell’ex manager Sky Matteo Mammì un uomo di riferimento importante – e i vertici del calcio italiano non finì tra rose e fiori, le condizioni nel frattempo sono cambiate. MediaPro sarebbe pronta con uomini e mezzi ma soprattutto capitali per supportare l’idea della Lega Serie A fino al 2027. Nel frattempo però, quanto è conclamato sia fondamentale il tema dei diritti televisivi, come dicono i numeri un possibile errore da evitare è non dare per scontato il seguito di pubblico. Nell’ultimo turno di A del campionato gli orari delle partite sono stati comunicati a cinque giorni dal calcio d’inizio. Il che significa che al centro di tutto non è il cliente finale ma chi trasmette le partite.
In un mondo in cui con un clic o a colpi di satellite si possono guardare dal vivo tornei di a ogni latitudine, la serie A ha ragionato sempre pensando di avere tra le mani un prodotto perennemente di successo. Insomma, si è supposto che i soldi sarebbero arrivati sempre e comunque. Col risultato che oggi il sapore degli euro destinati ai club non è lontano da quello della manna che arriva dal cielo. Nel mentre la Premier League – ma non solo – cambiava marcia, la serie A poco a poco riduceva il potenziale giro d’affari, l’appeal e il credito maturato tra gli anni ottanta e novanta. Al contrario, con una politica imprenditoriale ad ampio respiro avrebbe potuto mettere in cassaforte e vivere di rendita.
Il risultato è che oggi la tv sostiene la Premier League come parte dei ricavi di un prodotto brillante in crescita costante, mentre per il massimo campionato italiano è diventato l’ossigeno vitale. Esempi? Nel confronto tra le “meno ricche” dei rispettivi tornei, con i diritti tv il Frosinone quest’anno ha incassato tre volte in meno rispetto all’Huddersfield Town (36 contro 108 milioni di Euro).
Tra le due maggiori beneficiarie, la Juventus si è portata a casa la metà di quello che ha intascato il Manchester U. (86 contro 160 milioni). A veder giocare l’Huddersfield, il cui stadio è a cinquanta chilometri da Manchester e a trenta da Leeds, vanno in media 23mila spettatori a partita, il doppio di chi segue il Frosinone. I dati si confermano proporzionalmente identici per lo United (74mila) e Juve (39mila). Una forbice in termini assoluti e relativi che riassume il momento storico e pregi e difetti dei due sistemi.
Premier League e Bundesliga insegnano: è impensabile ragionare unicamente sulla peraltro fondamentale gestione degli introiti televisivi. Che solo un torneo più attraente potrebbero realmente incentivare. Attraente in tutti sensi: il che significa anche evitare che a tre quarti delle partecipanti interessi solo salvaguardare il proprio posto al sole. “Safety only” più che “safety first”, con l’Europa League interpretata come iattura più che opportunità.
Quel che avviene in Inghilterra e Germania può essere uno spunto. A partite dagli aspetti di comunicazione fino al bilanciamento di costi e alla diversificazione del ricavi. Ancor prima però la ricetta direbbe che è necessario creare condizioni che stimolino il pubblico a vivere l’esperienza del calcio dal vivo con costanza: i livelli della serie A che da alcuni anni sono in linea con la Ligue 1 francese e il Championship, la serie B inglese, il che dice molto. Un salto di qualità per certi versi non facile per un sistema che fino ad oggi sembra aver ragionato su quel che sarebbe avvenuto tra un minuto e non tra dieci anni.