Luigi Nacci, quando la meta è il viaggio
Intervista a Luigi Nacci, scrittore ed esperto di cammini sul senso della viandanza nella società di oggi.
Intervista a Luigi Nacci, scrittore ed esperto di cammini sul senso della viandanza nella società di oggi.
All’interno degli eventi della già segnalata manifestazione “L’Ipogeo e le sue vie” di sabato 27 aprile, sicuramente interessante e stimolante è stato l’incontro con Luigi Nacci, poeta e scrittore triestino ed esperto di cammini. L’autore di Alzati e cammina. Sulla strada della viandanza (Ediciclo, 2014), Viandanza. Il cammino come educazione sentimentale (Laterza, 2016) e ora in libreria con il suo nuovo Trieste selvatica (Laterza, 2019) è anche molto altro: insegnante, operatore culturale, guida naturalistica, giornalista. Soprattutto, un viandante che vive la scrittura con la testa e con i piedi.
Tu definisci il viandante “ozioso e improduttivo”, quasi in contrapposizione al sistema capitalista. C’è una sorta di filosofia che sta dietro il pellegrino, il viandante?
«Siamo nell’era del profitto, in un sistema in cui tu sei sostituibile con chiunque altro. Se non produci tu, il tuo prossimo lo farà. Ed è, il profitto, ben diverso dal beneficio, che ha luogo quando tu crei qualcosa che non può essere fatto se non da te: non puoi mandare qualcuno a fare il cammino al posto tuo. Per certi versi è paragonabile al conflitto tra austerità e frugalità: l’austerità è una costrizione momentanea, priva di equilibrio, che prima o poi cesserà. Come una dieta che finisce con una grande mangiata. La frugalità, invece, non è una dimensione negativa, martirizzante: è semplicemente l’essere consapevoli di aver bisogno di poco.»
Per certi versi assomiglia alla visione di Baudelaire del flaneur…
«Oggi viviamo nell’epoca del tempo libero: se c’è del tempo libero, allora c’è un tempo in cui liberi non si è. C’è una routine che non ci permette di ricordare cosa abbiamo fatto solo pochi giorni prima: dov’ero martedì scorso? Con chi? Cosa mi ha fatto stare bene? In cammino il tempo si dilata, e con esso o dentro di esso si dilatano i pensieri e le sensazioni. Ci si apre all’incontro casuale, alla condivisione con gli sconosciuti, senza l’obbligo che questo rapporto si trascini e perda la sua irripetibilità: nessun bisogno di scambiarsi il numero di telefono, di chiedere che lavoro si fa.»
Un’immagine sicuramente positiva.
«Nella storia i pellegrini erano parte della quotidianità o di eventi memorabili, come i Giubilei papali, persino risorsa economica. O considerati male, per esempio da Lutero: dei perdigiorno. Chi è, che cosa è? Un essere non ricattabile né controllabile: il viandante non ha bisogno di molto. Con cosa potrebbe essere comprato o condizionato? Più si apre al cammino, meno ha bisogno di cose. E questo è fonte di sospetto in una società in cui la massima aspirazione è possedere una casa. Il viandante è libero, è mobile in una società stanziale. Un conflitto vivo, basti pensare a come vengono visti i nomadi.»
Torna molto spesso Ulisse e il tema del percorso dell’eroe. Alla fine, anche lui arriva a casa e ritrova la sua famiglia. Ma l’eroe del suo cammino è un solitario, non c’è nessuna Penelope ad aspettarlo. Il viandante è l’eroe solitario?
«Ciò che conta è la trasformazione interna. Non avviene subito, ci vogliono giorni, settimane di cammino, e una volta tornato farai fatica a spiegarti. Penelope potrà anche accoglierti, ma non capirà.».
Nel suo libro Alzati e cammina è interessante la scelta di non determinare il lettore con un unico genere sessuale, ma di volta in volta come donna o uomo. Perché questa scelta?
«Quando cammini con una persona, il suo essere maschio o femmina diventa secondario fino a sparire. Nel cammino non ci sono uomini e donne, ma semplicemente creature che condividono la strada aperta e che, soprattutto, non si fanno promesse»
Cosa insegna il cammino?
«A non giudicare, o almeno a giudicare meno. Certo, il nostro io rimane, cerca sempre di affermarsi, ma decresce, perde potere.»
Un consiglio per il viaggio?
«Farsi pellegrini in senso largo, come diceva Dante. Non occorre andare a Santiago. Si può essere pellegrini in casa, attorno a casa, addirittura da fermi. Rinunciare via via agli orpelli, alle maschere, alla propria carta d’identità, andare verso la fragilità. Provare a sentirsi, come diceva Rimbaud, semplicemente “un pedone”.»
Per approfondimenti sulla figura di Luigi Nacci, rimandiamo al suo blog.