Questa sera su RaiTre il film di Bruno sulla tragedia delle foibe
Il triste epilogo della repressione ai danni degli italiani del Venezia Giulia e della Dalmazia, raccontato da Red Land. Rosso Istria, sbarca questa sera su Rai Tre alle 21.15. Il film alterna all’intensità degli eccidi, che hanno caratterizzato e connotato la vicenda, struggenti momenti poetici di straordinaria autenticità, dove le riflessioni storiche si fanno più ampie al punto da acquisire un carattere universale, oltre la vicenda, superando la Storia e il Tempo.
La repressione, avvenuta durante la Seconda Guerra Mondiale e che proseguì negli anni a venire, prende forma seguendo la vicenda di Norma Cossetto, italiana sequestrata, torturata, violentata e uccisa dai partigiani jugoslavi di Tito.
Il lungometraggio di Maximiliano Hernando Bruno segna una prima significativa scheggia verso un’omertà culturale che ha nascosto questa barbarie e, di fatto, si consacra come un primo importante passo verso il racconto, su larga scala, di uno dei più tristi capitoli della storia recente. Storia e letteratura, da pochi anni, hanno iniziato a raccogliere documentazioni, a raccontare e cercare di dare risposta a domande che, sempre più con difficoltà, potranno essere esaudite per il passare degli anni, per la mancanza fisiologica dei racconti dei sopravvissuti, per la sedimentazione naturale di quegli squarci di terra nei quali furono gettate vive migliaia di persone, coperte successivamente da residui bellici e dal terreno stesso che veniva fatto esplodere con la dinamite, a cercare di nascondere ogni traccia.
Red Land non vuole essere un richiamo diretto né al sangue – anche se nel film di sangue si parla molto – né al “rosso” come colore identificativo di quell’ideologia che, in nome di una presunta libertà o rivalsa, si accanì verso persone innocenti, verso vittime che avevano l’unica colpa di essere italiani o discendenti di generali e gerarchi antagonisti, ma pur sempre figli del proprio tempo. Red Land, è inteso dal regista come “terra rossa” per la caratteristica morfologica della zona, una terra lunga e frastagliata ricca di bauxite, roccia sedimentaria che conferisce al terreno la tipica colorazione.
Dal film emerge un terreno mosso, duro, dove l’intensità si respira nell’aria – respiri e urli, come spiriti, aleggiano in diversi intermezzi della pellicola diventando, di fatto un altro dei fili conduttori –, un terreno così ferito da non alleggerirsi nemmeno dalla delicatezza del mare e da una vegetazione così ricca. La verità raccontata dal regista, attraverso una sceneggiatura lineare e senza eccessi ideologici, emerge grazie a un testo ben scritto, ricco di spunti riflessivi, capace, parola per parola, di catturare l’attenzione e di dar voce ai sogni infranti dei protagonisti. Sono le storie di famiglie oppresse, che dovevano nascondersi, fingere di essere ciò che non erano, esseri umani barricati tra quattro mura nei quali si insinuava il dubbio del tradimento, creature innocenti tradite dai loro amici, dai vicini di casa, da tutti coloro che, in una tardiva conversione o arruolamento con le forze opposte, si salvarono le vite scaricando sugli altri i propri dubbi e additando loro aggettivi che non gli erano propri. Fu così per Norma Cossetto, tradita dall’amica d’infanzia, arruolatasi tra le fila partigiane accanto agli jugoslavi di Tito. È dalla sua vicenda che il rosso del sangue riprende il colore della violenza sulle donne, dello stupro, dei corpi legati dal filo spinato. È così che facevano, questo era il metodo per eliminare qualsiasi traccia d’Italia in Istria e Dalmazia: annientare il corpo e la mente dei catturati, avvolgerli di fili arrugginiti e sparare al primo di loro, che si sarebbe trascinato dietro quei corpi già minati e incapaci di reggersi. Nella caduta, quando andava bene, ci pensavano gli speroni della cavità a far morire i prigionieri sul colpo, quando andava male i reduci trascorrevano le ore fino a esaurire l’ultimo respiro.
È terra rossa come afferma Norma Cossetto: «Io amo questa terra, ha lo stesso colore del sangue che scorre nelle nostre vene», come pure è terra rossa per il diverso intento, quello del comandante della rivolta dei “titini” che urla, con le mani colanti, “questo è sangue fascista”. Ma non è solo il rosso a tracciare il filo: il film, e l’intera vicenda, si colorano di grigio per l’atmosfera di squallore e violenza che per forza di cose emerge sopra ogni altro aspetto. Un grigio che ovatta l’ambiente, che lo rende quasi monocromo, privo di slanci vitali e respiro. È dal respiro che prende il via la pellicola, un respiro che fugge, che chiama aiuto, che corre tra le fronde degli alberi, che sembra cercare una libertà che non c’è e non ci sarà, un respiro al di sotto della foiba, squarcio indelebile nell’Anima.