Undici anni di gestazione, “solo” pochi mesi di promozione in tv – e alcuni direbbero “per fortuna!” -, diverse settimane di polemiche con le compagnie amatoriali per la gestione degli spazi ed ecco che lunedì 21 gennaio Adrian: la serie evento finalmente è sbarcata al Camploy di Verona e in diretta televisiva su Canale 5. Premetto che non mi hanno entusiasmato le polemiche sui social riguardo ai decibel, parecchio più alti del consentito, che avrebbero disturbato tutti coloro che si sono imbattuti nello spot pubblicitario. Alcuni hanno scritto che si sarebbero recati al più vicino pronto soccorso, lamentando danni ai timpani, altri hanno auspicato all’artista di ritirarsi, visto che alla sua età dovrebbe starsene a casa sul divano, con la coperta. Eppure, nel tempo, grandi della musica, del teatro e dell’arte hanno donato emozioni straordinarie, ben oltre la famigerata età di Celentano, 81 anni. Verrebbe da chiedersi perché al Molleggiato non è concessa questa facoltà. Tutto calcolato, tutto un espediente affinché il “purché se ne parli” abbia il suo esito positivo. Di Adrian, infatti, hanno parlato pressoché tutti, sia chi non l’ha visto sia chi, invece, era tra il pubblico televisivo o in studio.
L’atmosfera ricreata sul palco è quella alla quale Celentano ci ha abituati in passato: piazzetta di paese, tavolo da gioco, piccola orchestra, caseggiati vari. L’inizio della prima puntata è affidato a un breve ballo che precede l’entrata in scena di Nino Frassica e Francesco Scali vestiti da frati. Seduti a una scrivania danno audizione a una fila di persone, in attesa di poter accedere a una grande arca della salvezza. Alcuni entrano, altri no. Non entra, però, chi ha una morale maggiore o minore. L’ingresso è pressoché casuale: «Tu non entri, non mi piace la tua faccia» afferma Frassica, tanto per fare un esempio. Le battute sono poche, scollacciate, e progrediscono con scarso ritmo. Alcune situazioni imbarazzano e non risulta chiaro se i due frati siano persone oneste, che vogliono davvero ricreare un modo migliore, o l’esempio di una corruzione vigliacca e difficile da estirpare. Tocca a Balasso il tentativo di cambiare registro e di dare una scossa al pubblico televisivo, dato che in teatro viene indicato quando applaudire per scaldare gli animi. «Avete pagato 12 euro per non vedere Celentano. Bravi, così poco? Io per non vedere Povia pagherei anche 5.000 euro» è la battuta più riuscita. Ed è tutto dire. Poi incalza: «Celentano se c’è, rompe i cojoni». Un lampo, un tuono, una serie intermittente e… il “mistero” sulla sua presenza o meno svanisce. Ecco Celentano che, accolto da una standing ovation di due minuti, saluta tutti con bicchiere d’acqua in mano, per il suo classico “brindisi”. Una signora dal pubblico gli urla «Bevi vin», Balasso ne approfitta per reinterpretare: «Bevimi», ripete ad Adriano, «una signora del pubblico ti urla bevimi. È in calore». Una seconda ventata di squallore avvolge un pubblico, ormai più allibito che divertito. Poche manciate di secondi, giusto il tempo per posare il bicchiere d’acqua, far rombare qualche tuono, e vedere scomparire dalle quinte Celentano. E inizia il cartone animato, lo spettacolo per il quale il pubblico ha effettivamente pagato. Così, almeno, è scritto sul biglietto e così è quanto è stato promosso dagli spot televisivi tanto criticati.
Lo show è solo un complemento allo stesso, qualcosa in più, un’anteprima che, visto il livello qualitativo proposto sinora, sarebbe stato meglio evitare. Il cartone animato, realizzato insieme al disegnatore Milo Manara, con musiche del Premio Oscar Nicola Piovani e la collaborazione ai testi di Vincenzo Cerami, è ambientato nel 2068: un futuro dove i grattacieli sovrastano imponenti gli ultimi frammenti dei quartieri delle nostre città storiche e dove gli uomini affiliati al governo sovraintendono la popolazione. Una presenza incombente e inquietante, enfatizzata da un’atmosfera tetra. Protagonista della vicenda è un misterioso orologiaio, tra i pochi a ribellarsi a ciò che ci è stato tolto: la Bellezza, nel senso ampio del termine. Accanto a lui gravita la sua compagna Gilda, impegnata in ogni scena della prima puntata in attività di seduzione. Nelle scene che vedono la sua presenza le forme si fanno più sinuose, i movimenti più provocatori e la vicenda viene trascinata in un clima da fumetto porno-soft che non si addice ai messaggi di libertà e rispetto che si vorrebbero probabilmente veicolare. Finito il primo episodio il pubblico viene invitato ad alzarsi: «Siete stati meravigliosi», apostrofa un addetto della produzione.
Le tante persone che sono arrivate da diverse città d’Italia – ho evidenza di persone giunte da Pescara e L’Aquila – sembrano deluse. Sapevano che Celentano forse non si sarebbe presentato, ma non avevano idea che avrebbero assistito a un’anteprima live lenta e condita di volgarità e a un fumetto decisamente da “seconda serata”. Puntata che finisce un’ora e mezza prima del previsto, senza alcuna spiegazione e nel mistero più assoluto, in puro stile Celentano. La seconda puntata, il giorno successivo, riconferma gli sketch dell’Arca e un Balasso più efficace e misurato nel linguaggio rispetto al precedente. Ospite a sorpresa Giovanni Storti, del celebre trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”. Le battute e le situazioni sono le stesse dei venticinque anni precedenti, compresa la celebre «L’arca? Il mio falegname con trenta euro me la fa meglio» – una volta era in lire, tanto per capire quanto tempo è passato –. Anche la seconda puntata vede la presenza “silenziosa” di Celentano. Con voce fuori campo si fa ironia: «Ho lasciato illudere Canale 5 che avrei partecipato fisicamente allo spettacolo». E qui ogni considerazione è superflua dato che la produzione è pur sempre costata 28 milioni di euro e forse ci si sarebbe aspettati qualcosa in più dal live. Nella seconda puntata il cartone cambia il registro, le scene hot sono assenti e inizia a delinearsi il tema del racconto. Per ora, però, a uscirne male è soprattutto la figura della donna, o quantomeno quella della compagna dell’Orologiaio. Lui che difende chiunque ne abbia bisogno e canta strofe di bellezza e libertà, frequenta una donna che esprime stereotipi superati da decenni. Se poi pensiamo che l’ambientazione è il 2068… andiamo proprio male! Eppure, è giusto dirlo, questo signore è sempre stato al passo con i tempi: in un panorama musicale melodico che strizzava l’occhio a canzoni che erano l’evoluzione “leggera” delle operette, Celentano ha mosso passi sempre più frenetici e sincopati facendoci scoprire il rock italiano. Ha attraversato più volte il melodico, per poi tornare al rock, al pop al jazz. Le sue canzoni hanno parlato d’amore, di libertà, di speranza. Hanno fatto sognare, innamorare, riflettere. Hanno denunciato temi scottanti come l’inquinamento, lo sfruttamento, la prostituzione, lo stupro. E, diciamolo, Celentano è pur sempre riuscito a portare un fumetto in prima serata, su un canale tra i più seguiti. Non da poco, davvero! Non ho ancora visto il rilancio e il coinvolgimento dell’intero quartiere di Veronetta che lo show ha tanto promesso. Sarà, si spera, per le prossime puntate. Il rimprovero che si può muovere a Celentano è che da un professionista del suo calibro non ci si aspettano scivoloni come questo. L’età – criticata dai “leoni” dei social – dovrebbe essere sinonimo di giudizio, di parsimonia, di qualità. Adriano caro, torna presto live con un progetto interessante, torna a far discutere per le tue idee, per le tue prese di posizione, ma restituisci alla donna quella dignità che la sceneggiatura le ha sin qui tolto.