Originaria di Verona. Ha una formazione molto varia “che a volte sembra non avere molto senso” dice di se stessa Dora Biondani, che ha dato un colpo di spugna alla sua vita scaligera per dedicarsi a un sogno, un progetto di vita e lavoro che la portano lontano da casa.
Ha studiato al liceo classico Maffei, una laurea al Politecnico di Milano in “Ingegneria aeronautica” con specializzazione aerodinamica. Dopo circa 7 anni di lavoro nel privato a Verona ha lasciato tutto per tornare a studiare e ha conseguito un secondo master all’università di Milano Bicocca in “Gestione delle risorse idriche nella cooperazione internazionale”. Ora, dopo 4 anni, ritorna sui banchi “virtuali” e ha appena iniziato un MBA in “Energy and Sustainability” presso il Robert Kennedy College di Zurigo in collaborazione con la Cumbria University di Manchester.
Come ti descriveresti in poche righe?
«Sono una persona molto curiosa, lo sono sempre stata, fin da piccola, allora facevo impazzire i miei nonni perchè volevo esplorare ogni angolo della loro casa anche senza il loro permesso, adesso sento il bisogno di frequentare infiniti corsi di ogni genere e periodicamente tornare a studiare. Determinata, incosciente quanto basta».
Dove abiti ora e cosa fai?
«Ora vivo ad Amman, in Giordania. Sono responsabile per conto di una ong Italiana di un progetto finanziato dall’unione Europa che ha come obiettivo di creare posti lavoro in “nuovi” mercati per il Paese. In particolare stiamo costruendo una centrale di ricilo dei rifiuti, riabilitando l’acquedotto e formando persone su queste due tematiche, gestione dei rifiuti e ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse acquifere».
Cosa facevi prima di partire?
«In Italia mi occupavo di energie rinnovabili ed ero focalizzata su un progetto per la realizzazione di una micro turbine eolica. Prima di arrivare in Giordania sono anche stata nelle Filippine dove ho seguito in parte un progetto per la costruzione di un centro di evacuazione dai tifoni e ricostruzione di case».
Perchè hai cambiato la tua vita?
«Le ragioni sono tante e diverse, non sempre logiche. L’ambiente aziendale mi andava stretto, cercavo un modo per poter esplorare il mondo. All’inizio mi ero appoggiata alla fotografia ma dopo una primo viaggio per vedere se era la mia via, ho capito che mi sarebbe mancato troppo l’essere ingegnere. La cooperazione internazionale e’ arrivata come un compromesso, girare, esplorare, conoscere nuove culture e, nel frattempo, utilizzare le competenze acquisite negli studi e lavorando in italia. Questo ambiente, inoltre, è molto dinamico e variegato, si seguono molti progetti diversi ed è necessario avere alti livelli di diplomazia, flessibilità, adattabilità e creatività. Tutte cose che ho sempre cercato».
Ci risulta di una tua passione per la fotografia, come è nata e come va ora?
«Francamente non so come sia nata, mi è sempre interessata fin dalle superiori quando rubavo l’analogica di mio padre per fare qualche scatto. Uno dei miei primi salari è finito in una reflex e nei corsi del centro fotografico degli Scavi Scaligeri (RIP). Ha avuto un picco quando sono andata in Armenia e poi ho continuato a fotografare in ogni Paese in cui sono stata su progetti diversi. In Giordania ho seguito per un anno un pastore beduino. Ora è in fase latente, uso il cellulare per piccoli ricordi di questo paese ma non ho progetti in corso. Per altro dovrei editare la storia del beduino che invece sto lasciando riposare. Ho imparato a non accelerare. Per me la fotografia, soprattutto nei reportage è un modo per crescere, per imparare, e scatto principalmente per me. Mi sono fermata perchè vorrei dedicarci più tempo di quello che ora posso permettermi e le storie che vorrei raccontare meriterebbero. Limite non trascurabile è anche l’ambiente in cui mi trovo. Nei Paesi arabi mi sento un po’ a disagio a girare con la macchina fotografica, forse sono qui da troppo tempo».
Cosa ti manca di Verona?
«Il profilo delle montagne, il lungo Adige che mette pace e tranquillità, il poter camminare per il centro o nei quartieri e uscire anche solo per una passeggiata. Il verde intenso, il netto cambio delle stagioni, il profumo dell’inverno e quello della primavera. La nebbia, che in fondo ha il suo perchè. Chiaramente gli affetti che sono rimasti lì».
Cosa, invece, non ti manca affatto di Verona?
«La difficoltà che si fa a creare un ambiente sociale appagante. All’estero, sarà la dinamica degli espatriati ma si è spesso più disposti a darsi supporto, a trovarsi, a chiacchierare e condividere momenti. A Verona ho sempre trovato difficile questo. Negli ultimi anni, poi, gli eventi culturali credo siano calati molto e non ci siamo molte possibilità, però questa è solo una percezione da esterna. Ci sono altre cose sicuramente che non mi mancano affatto ma è difficile descriverle, sono più sensazioni che altro.
Queste due ultime domande mi hanno messa in difficoltà, me le faccio ogni volta che torno e ogni volta che riparto. Dopo qualche tempo diventa difficile dire quale è casa. Spesso queste domande sono associate a quella più stringente: “torneresti?” E nonostante tutte le bellezze che Verona può offrire temo la risposta sarebbe “no”. Potrei valutarlo se avessi un lavoro con prolungati periodi di viaggio all’estero, ma anche così non sono sicura. La sensazione è che tornando a Verona mi sentirei con le ali tarpate sia lavorativamente sia nei miei interessi personali. Spero un giorno di poter cambiare idea».