Sono tantissimi i popoli che – nella storia dell’umanità _ hanno dovuto subire (e alcuni ancora subiscono) i soprusi dovuti a qualche dominazione straniera. Le popolazioni indigene del Sud America sono senz’altro fra queste e nonostante la tragica epoca del colonialismo sia finito – sulla carta – da molti anni, oggi sono le multinazionali internazionali (americane ed europee in primis, ma si stanno affermando sempre più anche quelle asiatiche) a dettare ancora legge, visto che con avidità guardano a quel continente, ricchissimo di materie prime ma con governi deboli e corruttibili. Gruppi paramilitari, spesso finanziati proprio dalle multinazionali, hanno sovente il controllo di interi territori e grazie a ciò riescono a sottrarre a prezzi bassissimi le preziose risorse di cui hanno bisogno. Insomma, da quando Cristoforo Colombo ha scoperto l’America, oltre cinquecento anni fa, il popolo indigeno subisce un martirio continuo (a volte sfociato persino in una vera e propria sostituzione etnica imposta con la forza) che di fatto, non ha avuto ancora fine. Basti pensare, solo per fare degli esempi, a quanto accade in Cile al popolo Mapuche, in Bolivia con il famigerato Caso Tipnis, in Perù con l’imbarazzante Governo di Alberto Fujimori (il dittatore che per 20 anni ha abolito le libertà civili), in Honduras (dove due anni fa è stata uccisa l’eroina Berta Caseres), in Messico con la decennale vicenda dei Zapatisti e via via in tutti gli altri stati del Centro-Sud America, dove in pratica si convive in perenne conflitto. A lottare con tutte le proprie forze, nonostante le migliaia di vittime subite ogni anno, ci pensano le piccole comunità rurali, pacifiche per natura, ma determinate a contrastare in ogni modo lo sfruttamento della loro terra. Storie, queste, poco conosciute perché volutamente insabbiate dalla stampa locale per timore o per connivenza con il potere di turno.
Fra queste storie c’è anche quella del popolo Nasa, nel nord del Cauca, una regione andina della Colombia. Una zona particolarmente ambita dal narcotraffico, perché adatta per le sue condizioni climatiche alla coltivazione della cocaina e della marjuana, ma anche ambita dalle aziende di elettronica, perché ricca di materiali che vengono utilizzati per realizzare nostri computer, tablet e smartphone. Insomma, stiamo parlando di una terra di conquista per definizione e inevitabilmente al centro di numerosi scontri. In mezzo a tutto ciò vive, appunto, la pacifica comunità dei Nasa, che prova a difendere le proprie montagne, le proprie case e, in definitiva, la propria stessa esistenza con metodi assolutamente non aggressivi: vigilando il territorio e dando l’allerta in caso di emergenze, cercando di limitare l’azione delle truppe paramilitari attraverso la distruzione delle armi e delle droghe sequestrate. Un compito difficile, pericolosissimo e attuato con armi innocue come bastoni di protezione e poco altro, ma che viene portato avanti con dignità e grande determinazione da decenni. Uno dei leader della resistenza Nasa è Eduin Mauricio Capaz Lectamo. Coordinatore del programma Tejido (in italiano “tessuto”, nda), Capaz Lectamo è impegnato nella difesa dei diritti collettivi, dell’autonomia e dell’esercizio effettivo di governo del suo popolo; negli ultimi dieci anni ha scrupolosamente documentato violazioni di diritti umani e del diritto internazionale umanitario, denunciando pubblicamente le situazioni causate dalla forza pubblica e da attori armati illegali, coordinando azioni per lottare contro l’impunità e difendere concretamente la vita delle comunità indigene, sostenendo contemporaneamente l’istituzione di un “Ufficio Indigena” per i diritti umani. Per il suo lavoro Eduin è oggi vittima di minacce e altre forme di aggressione.
Recentemente, nell’ambito di un mini-tour europeo che lo ha portato ad illustrare, in una serie di conferenze, la situazione in cui versa il suo popolo, è stato anche a Verona, in un incontro – dal titolo La difesa della terra e della comunità – organizzato presso la Società Letteraria dall’Associazione Avvocato di Strada e dal Centro di Documentazione Europea del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona. «Fino a qualche tempo fa ogni quattro giorni veniva ucciso uno dei leader di questa resistenza dai gruppi paramilitari e dai narcotrafficanti, interessati a prendere possesso di questo territorio, ma negli ultimi mesi questa media si è alzata, purtroppo, ad una uccisione ogni due giorni» ci spiega Barbara Bonafini dell’Associazione Avvocati di Strada. «Si tratta davvero di una condizione psicologica e fisica molto pesante, che lui e i suoi collaboratori portano avanti 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, ma nonostante questo Eduin, padre di due bambini, continua nella sua battaglia, per il bene della sua comunità.»
«Cauca, nella nostra lingua significa “Territorio del Popolo Grande”» racconta Capaz Lectamo «Dicono che io sia un difensore dei diritti umani, ma non è questo il mio obiettivo. Lo sono diventato, in realtà, in modo inconsapevole, perché io sono semplicemente difensore della vita, il che mi ha automaticamente trasformato in un difensore dei diritti umani. Il legame con il territorio per noi è molto importante. La mia comunità deve ringraziare costantemente la Madre Terra e la sua difesa è un compito che consideriamo imprescindibile.»
L’assenza dello Stato in molte zone montane della Colombia obbliga inevitabilmente le comunità ad organizzarsi, rafforzando il numero di guardie “campesine”, formate da donne, uomini, anziani e persino bambini, tutti di estrazione molto umile, ma con un fortissimo legame con il proprio territorio. Si tratta di circa 2.500 volontari costantemente impegnati a difesa delle loro comunità, che sono di varie dimensioni: si va da quelle più piccole, con 500-800 persone circa, fino a quelle composte da migliaia di persone. In totale nel nord del Cauca vivono quasi duecentomila persone. «Un tempo le FARC erano l’unico gruppo paramilitare, ma oggi, con la frammentazione delle varie forze, spesso risulta complicato anche solo capire da quale parte arrivi effettivamente l’attacco» racconta ancora il leader. «La cultura del narcotraffico negli ultimi decenni ha disarmonizzato il tessuto sociale del territorio colombiano, purtroppo» conclude Capaz Lectamo. «Quando sequestriamo i quintali di cocaina prodotti dai narcotrafficanti, li distruggiamo. Noi, in fondo, vogliamo solo recuperare le nostre radici e quando ci riuniamo nelle nostre assemblee pubbliche discutiamo dello sviluppo del territorio nei prossimi cinquanta anni, ma senza mai dimenticare da dove veniamo e qual è il nostro passato, quando la situazione era migliore rispetto alla situazione attuale, perché in generale c’era più rispetto delle risorse e del territorio. Oggi sono nostra guida il rispetto della famiglia come nucleo, ma anche in senso esteso come comunità, come gruppo sociale in cui riconoscersi.»
Eduin Mauricio Capaz Lectamo è un piccolo grande eroe. La sua vicenda e quella dei suoi compagni di lotta dovrebbe essere in realtà sostenuta dai Governi occidentali, che in qualche modo sono corresponsabili di quanto sta accadendo oggi al Continente SudAmericano. In fondo il futuro del nostro Pianeta passa anche e soprattutto attraverso una visione ecologica di ciò che oggi possiamo gestire ma che deve essere preservato e conservato nel migliore dei modi e il rispetto per la terra che hanno queste popolazioni dovrebbe essere d’esempio per tutti noi. Perché forse la salvezza della Terra può arrivare solo da chi – come il popolo Nasa – lotta per la sua libertà.