«I l’à fati su de note,
co le asse e col martel,
co le tole, mèse rote,
piturade da cortel,
co ‘na tenda trata sora
co i lumeti trati là…
L’ è così che salta fora
i bancheti de la Brà!
Là, gh’è paste, là, gh’è fiori,
gh’è i zugatoli da un franco,
(i zugatoli da siori)
ma ghi n’è che costa manco…»
Santa Lussia del poeta veronese Berto Barbarani così descriveva i banchetti di Piazza Bra, durante la Fiera di Santa Lucia. A cavallo tra l’Otto e il Novecento, le bancarelle erano delle strutture tirate su alla bell’e meglio: quattro assi coperte da una tenda, con i lumini per fare luce. Vi si vendevano le tipiche pastafrolle, i dolciumi, i giocattoli da siori.
Come si può vedere dalla cartolina, datata 1924, i banchetti occupavano solo il Liston di Piazza Bra, allora Piazza Vittorio Emanuele. Poi, con il passare del tempo, aumentarono di numero, tanto da essere spostati nel centro della piazza. Oggi propongono di tutto: dalle lenzuola alle pentole, dagli asciugamani all’abbigliamento. Non mancano, ovviamente, i giocattoli e i dolciumi.
La sera tra il 12 e il 13 dicembre i bambini attendono, avvolti dal caldo delle loro coperte, l’arrivo di Santa Lucia, che, a cavallo del suo asinello, porta i doni tanto desiderati. Ma solo se sono stati bravi.
Le origini di questa tradizione si perdono nel Medioevo. Pare che intorno al 1200, dopo un difficile autunno di carestie, la malnutrizione e la scarsa igiene furono la causa a Verona di un’epidemia di congiuntivite, che colpiva in particolar modo i bambini, talmente virulenta da portare alla cecità. La popolazione fece così un voto a Santa Lucia, la protettrice degli occhi (fu una martire cristiana a cui, si dice, vennero strappati, appunto, i bulbi oculari): se i bambini fossero guariti, sarebbe stata eretta una chiesa a lei dedicata, dove i piccoli, assieme alle loro mamme, vi avrebbero fatto pellegrinaggio. I bambini si ristabilirono, complici anche – o soprattutto? – le cure con erbe medicinali e un’alimentazione più ricca.
Come promesso, ogni anno, il 13 dicembre, mamme e bambini partivano a piedi verso la Chiesa di Santa Lucia Intra – da non confonderla con l’attuale Santa Lucia Extra, nell’omonimo quartiere –, situata in Corso Porta Palio, dove ora c’è il tribunale militare. Pellegrinaggio su pellegrinaggio passarono i secoli. Quando Napoleone nel 1806 con un decreto fece sopprimere la chiesa, vi fu l’esigenza di utilizzare un nuovo luogo di culto della martire. Si scelse la Chiesa di Sant’Agnese, in Piazza Bra, dove ora sorge Palazzo Barbieri, perché al suo interno faceva bella mostra di sé proprio una pala dell’amata Lucia, firmata da Bernardino India (XVI secolo).
Ma perché Santa lucia porta i doni e i dolciumi? Eh, perché era una ricompensa per i bambini, che, si dice, dovevano affrontare le processioni scalzi. Quindi, dopo essersi salvati dalla congiuntivite avrebbero trovato morte certa con la broncopolmonite…
Battute a parte, con il passare degli anni, le processioni ovviamente “incuriosirono” i commercianti che fiutarono l’affare posizionandosi con i famosi bancheti in attesa delle amorevoli mamme che avrebbero acquistato i zugatoli e le paste per i loro pargoli, nella giornata dedicata a Santa Lucia, la martire veronese. No, un attimo. C’è qualcosa che non torna. Forse non tutti sanno che Santa Lucia è nata a Siracusa. Cosa c’entra allora con il nord Italia? A far sì che questa santa venga tanto venerata dalle nostre parti fu la Serenissima: durante le Crociate i Veneziani saccheggiarono le sue reliquie da Costantinopoli e le deposero nella Chiesa di San Geremia, proprio a Venezia, dove ancora oggi si trovano.
(Cartolina proveniente dalla collezione privata di Silvano Morando.)
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