Sto mangiando un’arancia, ho infilato l’unghia nella buccia rugosa e fatto scivolare il pollice a sfiorare il frutto, per liberarlo. Apro a metà la sfera raggiante, gli spicchi in bella mostra, pronti al morso e all’estasi. Mangio un’arancia che ha un senso particolare. Me la porta ogni anno dalla lontanissima Calabria un caro amico, una persona speciale e mentre la assaporo piano piano, voglio raccontarvi la sua storia.

Giuseppe è nato e cresciuto a Locri, comune piccolino di quella zona della provincia di Reggio Calabria che si affaccia sul Mar Ionio. Terra difficile e tormentata, che ha dato i natali al primo legislatore al mondo, ma anche culla della ‘ndrangheta, con faide familiari e imprenditori spaventati. Ci passa un’infanzia felice, con la famiglia un po’ sparsa per il mondo, ma pilastri forti a sorreggerlo: una nonna e una mamma che lo viziano e un padre grandissimo lavoratore nella levigatura del marmo.

Una vista dall’alto di Locri

Ha la testa calda, un sacco di ideali e il giorno dell’esame di maturità scientifica si scontra con la dura realtà di un mondo in cui chi sfugge al conformismo viene considerato un perdente. L’anno successivo ottiene il meritato diploma e si trasferisce a Messina, dove ottiene la Laurea in Scienze Politiche a indirizzo storico. Sono anni stupendi e spensierati che ricorda sempre con gioia.

Tornato a casa, la voglia di sistemarsi e trovare un lavoro deve fare i conti con una situazione economica difficile e con la propensione a nepotismo e clientelismo tipica dell’Italia; tutte le promesse professionali in ambito politico si risolvono in qualche stage sottopagato; non lo aiuta di sicuro la sua incapacità di stare zitto di fronte alle ingiustizie, di farsi gli affari suoi.

So cosa vi starete chiedendo: ma cosa c’entra sto ragazzo calabrese con la veronese ‘de sòca’ che scrive? Ci uniscono le vitamine, certo… ma anche il calcio.

Fin da ragazzo Giuseppe segue la squadra locale, l’Associazione Calcio Locri 1909, che non arriverà mai più in alto della serie D, dove milita anche ora. La prima volta allo stadio ce lo porta lo zio, con il papà contrario a queste sciocchezze e lui che finisce per scappare in pigiama dalla finestra sul retro. Ammirato dalle storie sugli ultras veronesi che legge su SuperTifo negli anni Ottanta, si appassiona all’Hellas Verona, ne segue le imprese di quegli anni magici e colleziona ritagli di giornale. È un amore ricambiato: viene infatti invitato dai “butei” a portare uno striscione in Curva Sud con la scritta Locri e la scala a tre pioli, simbolo della nostra città. Con un gruppo di ragazzi calabresi, arriva poi a fondare il Calcio Club Calabria Scaligera, che resiste tutt’oggi.

Con una “deviazione” così veneta, sembra naturale che gli capiti di leggere un annuncio su “Arena Bazar” per un lavoretto part-time presso una immobiliare di via Adigetto, a 800 euro per un mese; sembra naturale arrivare proprio a Verona per il suo primo lavoro. In questo mese in città si fa molti amici che cercano di convincerlo a restare, a resistere e cercare un lavoro qui. Primo fra tutti l’edicolante di corso Porta Nuova, mancato l’anno scorso, che gli voleva molto bene e lo sosteneva in tanti modi.

Ma Giuseppe è un testone, ormai si sarà capito. Torna in Calabria allettato dalla prospettiva di aprire un CAAF, esperienza che dura circa due anni e lo porta a conoscere la futura moglie, impiegata in Comune e dottore commercialista. Fa anche il giornalista, sportivo ovviamente, seguendo il Locri per conto di “Calabria Ora” e le squadre siciliane impegnate in trasferte in Calabria per “Sicilia Oggi”.

Trova finalmente lavoro nel 2006, come promotore finanziario per Banca Mediolanum e la sua vita sembra aver trovato il giusto binario: un buon reddito, un bel matrimonio e qualche scappata a Verona, ma anche a Bari, Salerno e tanti altri posti per le partite dell’Hellas.

Il carico di arance di Giuseppe arrivato dalla Calabria a destinazione

La mia arancia è quasi finita, mi tengo da parte gli ultimi tre spicchi e mi accontento del profumo che arriva al mio cervello come un balsamo. Non è finita nemmeno per Giuseppe, che viene improvvisamente lasciato a casa per una stupida questione di rivalità nel 2013, lo stesso anno in cui viene a mancare il suo papà. Sono moltissime le condoglianze che riceve da Verona, il calore dei suoi amici veneti resterà per sempre nel suo cuore, scalfito come il marmo che torna a levigare dopo tanti anni. Quello che era stato un passatempo estivo durante gli anni di studio si affianca a mille altri lavoretti per non pesare sul bilancio familiare. Fa il lavapiatti, il barista, diventa bagnino e impara a guidare il muletto; va a potare gli ulivi e raccogliere la frutta.

Insieme al cognato decide di prendere in mano l’azienda agricola di famiglia e cura tutte le verdure in estate, gli ulivi durante tutto l’anno e gli agrumi quando arriva l’inverno. Tutto impiegando metodi biologici, senza utilizzare prodotti chimici di alcun tipo e nel pieno rispetto dei meravigliosi, lenti cicli della natura.

Non è una bella arancia, in effetti; la buccia ha un colore spento, giallastro con poco invitanti macchioline verdi e marroni. Nessuno la comprerebbe al supermercato. Eppure, superando il pregiudizio, si arriva al nettare e non si può più tornare indietro: si sente il sapore del sole e il vento che porta la salsedine. Giuseppe la pelle ce l’ha molto più dura delle sue arance, lo ha dimostrato in molte occasioni, ma quanto alla dolcezza del succo sono proprio equivalenti.