I tragici femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella hanno scosso profondamente l’opinione pubblica, riaccendendo il dibattito sulla violenza di genere e sulle dinamiche relazionali che conducono a simili atti terribili ed efferati. Apparentemente, al centro di queste vicende non vi è solo un’incapacità emotiva di elaborare la fine di una relazione o di accettare di non essere corrisposti, ma anche l’ossessione del controllo e il mancato riconoscimento dell’altro come individuo autonomo. È in un simile quadro di immaturità psicologica che possiamo osservare la perversione del concetto di abbandono e separazione: i bambini vivono l’abbandono, gli adulti vivono la separazione. Vediamo cosa si intende con questa differenza e quali sono le sue profonde ramificazioni.

Separazione e abbandono: la prospettiva del bambino

Come abbiamo detto, i bambini vivono l’abbandono, gli adulti vivono la separazione. Questa frase racchiude una distinzione fondamentale tra un approccio infantile e uno più maturo di affrontare la fine di un legame affettivo.

Nei primi anni di vita, il bambino sperimenta la separazione dai propri genitori o caregiver come un abbandono, una frattura che mette in discussione la sua sicurezza esistenziale. I bambini, soprattutto nei primi anni di vita, vivono un legame fusionale con i genitori, percependoli come un’estensione di sé. La loro sicurezza emotiva dipende dalla continuità di questa presenza, e qualsiasi distacco può essere vissuto come un abbandono angosciante.

Tuttavia, con la crescita, è essenziale che il bambino sviluppi la capacità di distinguere tra il bisogno di fusione con l’altro e la consapevolezza che ogni relazione può avere una fine senza che ciò significhi la perdita del proprio valore o della propria identità. Con il graduale distacco dai genitori, il bambino apprende di essere un individuo autonomo e che le figure di riferimento continuano a esserci anche quando non sono presenti fisicamente.

Identità e rifiuto

In molti casi di femminicidio assistiamo ad autori di violenza che hanno agito con una mentalità da bambini feriti (ma non per questo poco pericolosi!): non hanno accettato la separazione o il rifiuto come un evento naturale, ma li hanno vissuti come un’ingiustizia, un affronto insopportabile. Il bisogno di controllo assoluto sull’altro si è trasformato in violenza, come se l’identità di questi uomini dipendesse dalla presenza forzata della persona amata. Questo ci porta a una riflessione fondamentale: come si impara a separarsi senza vivere la rottura come un trauma insormontabile?

Educazione affettiva

L’educazione affettiva ha un ruolo cruciale in questo processo. La società insegna molto poco come affrontare il dolore di una perdita affettiva in modo sano. Spesso si cresce con l’idea che l’amore debba essere totalizzante, che la passione giustifichi la possessività, che la gelosia sia una prova d’affetto. In realtà, l’amore maturo non si misura dal bisogno di trattenere l’altro a ogni costo, ma dalla capacità di riconoscere e rispettare la sua libertà.

Si può stimolare una maturità affettiva in diversi modi:

  1. Educazione emotiva: Insegnare fin dall’infanzia a riconoscere, nominare e gestire le emozioni in modo sano, evitando di reprimerle o di esprimerle in maniera distruttiva.
  2. Sviluppo dell’empatia: Aiutare a comprendere i sentimenti degli altri, favorendo la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di rispettarne i bisogni e i confini.
  3. Modelli relazionali sani: Fornire esempi di relazioni equilibrate, basate sul rispetto reciproco, sulla comunicazione e sull’accettazione della libertà dell’altro.
  4. Gestione della frustrazione e del rifiuto: Insegnare che il rifiuto e la separazione fanno parte della vita e che il dolore può essere affrontato e superato senza trasformarlo in rabbia o vendetta.
  5. Promozione dell’autonomia affettiva: Aiutare le persone a costruire un’identità stabile e un senso di valore che non dipenda dalla presenza o dall’approvazione di un partner.
  6. Utilizzo della cultura e dell’arte: La letteratura, il cinema e l’arte possono offrire modelli di separazione vissuta con consapevolezza e trasformazione, fornendo strumenti simbolici per elaborare il distacco.

In conclusione, i tragici eventi che hanno colpito Ilaria Sula e Sara Campanella ci impongono di riflettere su come affrontiamo il tema della separazione nelle nostre vite e nella nostra cultura. Finché continueremo a considerare l’amore come possesso e la fine di una relazione come un abbandono, anziché come una separazione, continueremo a creare terreno fertile per dinamiche pericolose. Dobbiamo insegnare ai giovani che l’amore vero rispetta la libertà, accoglie la fine e trova nuovi significati senza distruggere chi sceglie un’altra strada.

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