Lo stato di diritto è uno dei pilastri fondamentali su cui si regge l’Unione Europea. Eppure, negli ultimi anni, questo principio è stato messo a dura prova da tensioni interne e sfide politiche che hanno visto alcuni Stati membri, come l’Ungheria di Viktor Orbán, intraprendere percorsi che sembrano allontanarsi dai valori fondanti dell’UE. Dall’indipendenza della magistratura alla libertà di stampa, passando per i meccanismi di condizionalità legati ai fondi europei, le istituzioni di Bruxelles si trovano a dover bilanciare il rispetto della sovranità nazionale con la necessità di garantire il rispetto delle regole comuni.

Per approfondire questi temi abbiamo intervistato Caterina Fratea, docente di Diritto dell’Unione Europea all’Università di Verona, esperta delle dinamiche giuridiche e istituzionali che regolano il rapporto tra l’UE e i suoi Stati membri.

Professoressa Fratea, cominciamo con chiederle quali strumenti ha l’Unione Europea per affrontare le violazioni dello Stato di diritto, particolarmente gravi in Ungheria?

«L’Unione Europea ha sviluppato diversi strumenti nel tempo, ma fino alla metà degli anni Duemila ne aveva pochissimi. Esistevano procedure di infrazione, che però spesso venivano eluse o rimandate. Solo recentemente si è rafforzata la possibilità di bloccare i fondi strutturali per gli Stati che non rispettano i principi fondamentali dell’UE.»

La professoressa Caterina Fratea

Quando è stato introdotto il regolamento sulla condizionalità dei fondi europei?

«Il regolamento sulla condizionalità è stato introdotto nel 2020, ma è stato applicato solo nel 2022 perché inizialmente l’Ungheria e la Polonia lo avevano impugnato davanti alla Corte di Giustizia dell’UE. La Corte ha poi confermato la sua validità, permettendone l’uso per bloccare fondi destinati a Paesi che violano lo Stato di diritto.»

Come viene applicato il regolamento sulla condizionalità?

«Il regolamento si applica bloccando fondi europei se si riscontrano problemi come corruzione negli appalti pubblici finanziati dall’UE. Per esempio, se in un Paese si verificano irregolarità nell’uso di questi fondi, l’Unione può sospenderne l’erogazione, come accaduto con l’Ungheria, alla quale sono stati congelati miliardi di euro.»

Perché alcuni fondi vengono prima bloccati e poi sbloccati?

«I fondi possono essere sbloccati per diverse ragioni. Nel caso dell’Ungheria, ad esempio, alcuni fondi sono stati rilasciati perché servivano per mantenere equilibri politici interni all’UE, in particolare nel contesto delle sanzioni contro la Russia. Tuttavia, altri fondi restano bloccati finché il Paese non realizza riforme richieste, come quelle sul sistema giudiziario.»

C’è unanimità nell’UE sulle decisioni di bloccare o sbloccare i fondi?

«No, le decisioni non sono sempre condivise. Quando la Commissione Europea ha sbloccato alcuni fondi per l’Ungheria, il Parlamento Europeo ha contestato la scelta e ha impugnato la decisione. Questo dimostra che all’interno dell’UE ci sono equilibri complessi e posizioni diverse sulla gestione delle risorse europee.»

Viktor Orban – Foto tratta dal documentario “Democracy Noir”

Perché è così difficile per l’Europa affrontare le grandi sfide strutturali?

«L’Europa ha una struttura frammentata e manca di una presenza unitaria forte, soprattutto nelle aree rurali. Inoltre, la percezione dell’Unione varia molto a seconda del contesto storico e nazionale: per chi è cresciuto negli anni ‘90, per esempio, è difficile capire perché alcune popolazioni vedano nell’UE una minaccia alla propria identità.»

Quali sono i settori in cui l’UE è più efficace oggi?

«L’UE è funzionale solo in pochi settori, mentre in altri, come la fiscalità e la difesa, le decisioni sono soggette all’accordo unanime degli Stati membri (e quindi al veto di ciascuno di essi), rendendo difficile un’azione unitaria. Tuttavia, questi due ambiti sono fondamentali per rafforzare il progetto europeo.»

Perché è così complicato modificare le regole dell’Unione Europea?

«Le regole dell’UE sono stabilite dai trattati internazionali e cambiarle richiede procedure complesse. Anche se si discute di riforme, non esiste oggi una convergenza tra gli Stati per modificarli tutti insieme. Alcuni paesi preferiscono mantenere l’attuale equilibrio, temendo che riaprire la questione possa portare a conseguenze indesiderate.»

Qual è il problema della politica estera e della difesa in Europa?

«L’UE non ha una politica estera e di difesa comune perché le decisioni in questi ambiti richiedono unanimità. Alcuni Stati propongono di avanzare a “velocità diverse”, ossia permettere ad alcuni paesi di integrarsi di più lasciando fuori gli altri. Questo potrebbe essere un passo avanti, ma per ora non esiste un accordo su come procedere.»

L’Europa può davvero diventare un attore geopolitico forte?

«Solo se riuscirà a risolvere le sue divisioni interne. Attualmente, il Parlamento Europeo ha definito alcuni paesi membri come “autocrazie elettorali”, cioè Stati in cui si vota, ma le elezioni non sono realmente libere. Questo crea tensioni interne e limita la capacità dell’UE di agire come blocco unitario. Inoltre, le relazioni con altri paesi dipendono spesso dagli interessi nazionali, rendendo difficile una strategia comune.»

Vediamo oggi in Europa situazioni simili a quelle affrontate dall’UE in passato?

«Alcuni segnali potrebbero esserci, come il crescente scetticismo nei confronti dell’integrazione europea e le tensioni politiche interne in alcuni Stati membri. Un esempio è la Germania, che sta attraversando cambiamenti significativi e potrebbe essere un indicatore di future dinamiche europee.»

Foto da Unsplash di UX Gun

(C) RIPRODUZIONE RISERVATA