Le città sono i luoghi dove è più urgente e richiede il maggior impegno il passaggio dalla fragile civiltà dei combustibili fossili a un modello di vita più sostenibile basato sull’economia circolare e sull’energia rinnovabile. Le amministrazioni comunali, per le responsabilità loro attribuite nell’organizzazione della vita cittadina, possono svolgere un ruolo importante, insostituibile nel promuovere, indirizzare, sostenere quella trasformazione radicale che sinteticamente chiamiamo Transizione Ecologica della città.

Si tratta di avviare un processo trasformativo articolato e complesso, composto da interventi pubblici e privati, che Verona nel 2021 ha riassunto nel PAESC (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e Clima) elencando le azioni, con obiettivi misurabili, per mitigare il cambiamento climatico e gli interventi di adattamento agli eventi atmosferici estremi, da realizzare entro il 2030.   Abbiamo chiesto a Tommaso Ferrari, responsabile dell’Assessorato alla Transizione Ecologica del Comune di Verona, delega espressamente voluta dall’ amministrazione Tommasi per presidiare l’implementazione del piano, di fare il punto della sua attività al riguardo, a metà del suo mandato elettorale.

Assessore, per iniziare potrebbe sinteticamente dirci a che punto siamo a Verona con la transizione ecologica?

«Dobbiamo correre e mettere a terra i tanti progetti, alcuni imminenti. La pianificazione è essenziale ma la politica spesso tende a perdersi nei piani che, da soli, non bastano. Contano le azioni. Possiamo scrivere strategie ambiziose, ma se poi non realizziamo ciò che promettiamo, restano solo parole su carta. Per esempio, possiamo prevedere 100 km di piste ciclabili, ma serve la volontà politica per poi realizzarle».

Entro il 2030 dovremmo ridurre del 40% le emissioni cittadine di CO2 previste dal PAESC. Quali sono i settori prioritari su cui intervenite per ridurre le emissioni di CO2?

«Quelli che il Comune può controllare: mobilità, edifici pubblici, verde urbano, politiche edilizie e urbanistiche. Tuttavia, questi cambiamenti non saranno risolutivi nel breve periodo: servono tempo, investimenti e una nuova mentalità per rendere Verona più sostenibile nel tempo».

Qual è il ruolo della politica e dei cittadini nell’attuazione del PAESC?

«La politica deve essere in ascolto e allo stesso tempo avere il coraggio di attuare cambiamenti anche impopolari, perché qualsiasi trasformazione dello status quo incontra resistenze. Serve anche ripensare le parole con le quali raccontiamo i cambiamenti in corso: il cambiamento non deve essere visto come un sacrificio, ma come un’opportunità di benessere. La città o si trasforma o decade e l’immobilismo è il peggior alleato della crescita economica e sociale di una città.  Se continuiamo a pensare che la mobilità sostenibile, il risparmio energetico e le energie rinnovabili siano limiti, faremo fatica a fare passi avanti.  Il salto culturale è fondamentale, perché senza una nuova narrazione e una maggiore consapevolezza collettiva, qualsiasi piano rischia di rimanere solo sulla carta».

Foto da Unsplash di Andres Siimon

Quali sono gli ostacoli da superare?

«Gli ostacoli burocratici, in questo il nostro paese non prende lezioni da nessuno, ma anche gli ostacoli culturali. Di esempi ne possiamo fare moltissimi, dagli impianti di biometano osteggiati agli impianti fotovoltaici su coperture, tetti o a terra: sulla carta tutti sosteniamo la produzione di energie da fonti rinnovabili, poi non c’è solo la burocrazia a rallentare, ma anche resistenze di politiche del paesaggio che dovrebbero essere quantomeno aggiornate. L’accesso all’energia pulita deve essere un diritto. Su questo punto, non è il caso del territorio di Verona, ma è esemplificativo il contrasto bipartisan che sovente interessa l’installazione di parchi eolici nel nostro paese, quasi a dire “belle le rinnovabili ma non a casa mia”. Abbiamo appena varato un piano che punta a rendere il Comune di Verona autosufficiente dal punto di vista di consumi elettrici entro il 2030, installando impianti fotovoltaici sui tetti degli edifici pubblici».

La mobilità in questo periodo è uno dei temi  più divisivi in città. Qual è la situazione del cambiamento in questo settore a Verona?

«La mobilità sostenibile è un classico esempio di trasformazione difficile. Viviamo in una città con una pessima qualità dell’aria e dove circa il 40% degli spostamenti avviene quotidianamente entro i 4km. Tutti riconosciamo che migliorare la qualità dell’aria e ridurre il traffico sia necessario, e per farlo sappiamo anche quali sono le soluzioni: potenziare ed efficientare il Trasporto Pubblico, investire in infrastrutture ciclabili, servizi di sharing mobility. Sono tutte azioni che necessariamente vanno a modificare lo spazio urbano.  Quando si tolgono parcheggi per fare piste ciclabili, o si riduce una carreggiata per una corsia preferenziale bus, scattano le proteste. Questo accade perché il cambiamento viene ancora percepito come un limite, non come un’opportunità. Dobbiamo cambiare il modo di raccontarlo: non si tratta di un’imposizione, ma di una possibilità di migliorare la qualità della vita di tutti e tutte. Stiamo lavorando sulla mobilità sostenibile, incentivando il trasporto pubblico, le zone pedonali e le piste ciclabili. Il principio che ci guida è di permettere a ogni cittadino e cittadina la possibilità di scelta tra diverse opzioni di mobilità».

Gli interventi sulla mobilità saranno sufficienti a ridurre l’inquinamento?

«No, ma sono un passo necessario. Abbiamo finanziato 25 km di nuove piste ciclabili e vogliamo completare la filovia, che porterà con sé nuove corsie preferenziali per il trasporto pubblico. Tuttavia, questi progetti richiedono anni per essere completati. Serve iniziare però, come in ogni processo».

I cambiamenti climatici stanno già avendo effetti concreti, come allagamenti sempre più frequenti, adattare la città al nuovo clima è ormai necessario. Come state intervenendo?

Via XX Settembre a Verona

«Idati scientifici ci dicono che serve agire subito. I fenomeni atmosferici intensi sono entrati, purtroppo, nella nostra normalità e le infrastrutture sul territorio sono spesso inadeguate. Non possiamo solo sostituire i tubi: serve una nuova visione urbanistica, con pavimentazioni drenanti e opere idrauliche sul territorio, come vasche di laminazione o casse di espansione. A Verona ci sono zone, come via XX Settembre, che si allagano costantemente. Non intervenire non è più un’opzione. Oltre all’emergenza serve pianificare le nostre città con nuove prospettive mettendo al centro la crisi climatica in corso per difenderla e salvaguardarne la vivibilità».

Infine assessore, con l’esperienza amministrativa accumulata in questa due anni e mezzo di amministrazione, quali sembrano essere le principali sfide culturali da affrontare insieme nel processo di cambiamento?

«Credo che le trasformazioni ci pongano sempre in una condizione di conflitto. La politica deve essere molto attenta nell’ascolto e allo stesso tempo trasformativa, senza fermarsi davanti al legittimo dissenso. La nostra città era da molto, secondo me troppo, tempo che non viveva cambiamenti infrastrutturali come in questi anni ed è una città che deve avere nella sua natura la trasformazione per essere sempre più attrattiva e moderna. La prova ne è che a Verona molte trasformazioni sono state rallentate dalla paura dei cantieri da parte della politica.  Un esempio è la filovia, bloccata per anni mentre altre città come Brescia e Padova hanno sviluppato sistemi di trasporto avanzati. La politica ha il compito e il dovere di scegliere sennò cessa il suo compito. Un altro esempio è la gestione dei rifiuti. La paura del cambiamento ci ha reso la peggiore città nel Veneto per raccolta differenziata. Verona non lo merita. Sono cambiamenti che non hanno colore politico ma devono essere collettivi e di responsabilità individuale».

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