In una partita di Texas hold ‘em lunga tutta la notte, con trentotto mani da giocare e il solo obiettivo di non essere tra i primi tre a finire in mutande, ci sono dei momenti in cui le carte non dicono niente di buono. Si può lasciare e aspettare mani migliori o combattere e sperare nel miracolo fino al river, l’ultima carta comune. 

Un “ciclo” terribile

Il Verona oggi vede la fine di una serie di mani complicatissime, in cui le carte servite ai gialloblù sono decisamente peggiori di quelle in mano all’avversario. Atalanta, Milan, Fiorentina, Juventus. Le probabilità di portarsi a casa la posta in mani come queste è bassa, molto bassa, ma mai impossibile. Contro la dea il Verona ha provato l’all-in, e si è trovato in mutande in meno di un tempo. Contro il Milan Zanetti ha deciso di invece aspettare, giocarsi solo il buio per tutta la partita sperando nella pescata giusta, la carta buona invece è arrivata ai rossoneri, con l’Hellas costretto a tornare a Verona con un tabù ancora integro e zero punti, ma anche con buone indicazioni per il futuro.

Con la Fiorentina la fortuna – e non solo quella – ha cambiato verso. Il Verona ha analizzato quanto di buono fatto a San Siro e l’ha rimesso in campo contro una squadra altrettanto temibile. Palladino è partito con un buon tris servito: Kean, Beltran e Zaniolo pronto a far male ai gialloblù, mentre le carte in mano a Zanetti arrivavano solo a una buona coppia a centrocampo. Inutile partire aggressivi, meglio attendere e vedere gli attacchi dell’avversario. Zanetti la imposta così, fa sbollire gli attacchi viola – non irresistibili per la verità – e aspetta la pescata giusta, la carta Bernede, girata solo all’ultimo respiro e capace di mandare in estasi il Bentegodi.

Incassati i tre punti fondamentali quanto insperati raccolti contro la Fiorentina, ora l’Hellas si trova ad affrontare un’altra big in un momento fragile. La Juventus rappresenta l’ultimo ostacolo nel quartetto di sfide apparentemente impossibili affrontate in questo Febbraio. Si gioca lunedì sera con i bianconeri che avranno a disposizione quattro giorni per digerire la batosta dell’eliminazione in Coppa Italia contro l’Empoli. Una cappa di negatività aleggia sopra lo Stadium mentre mister Thiago Motta abbandona ogni indugio e parla di “vergogna” mentre giocatori importantissimi come Vlahovic, Nico Gonzalez e Koopmeiners sono bersaglio di forti contestazioni.

Una nuova identità

Sia chiaro, si tratta sempre di una sfida quasi impossibile, ma il Verona dal canto suo ha dalla sua almento tre elementi: uno momentaneo, il secondo e il terzo – speriamo – permanenti. Il primo è l’entusiasmo che solo un gol al 95′ sa regalare, un senso di euforia che può aiutare a trovare un’altra pescata giusta.

Il secondo elemento sono le prime timide conferme di un organico che forse ha preso più critiche di quanto meritasse: rientro di Duda a centrocampo, ruvido e creativo, guastatore e geniere, con una discreta abilità nel cacciarsi nei guai, ha creato quel filtro davanti alla difesa senza il quale le retrovie del Verona diventano un groviera e prendono imbarcate clamorose. Sarr ha dimostrato di poter tenere duro e di saper fare reparto tenendo palloni alti e magari infilando qualche contropiede pericoloso. Bernede ha toccato un pallone (e che pallone) ma ha dimostrato freddezza e senso del gol. Valentini sembra aver dato sicurezza e solidità a tutto il reparto arretrato e, mentre il rientro di Tengsted e Serdar non sembra più così lontano, siamo riusciti a rivedere persino sprazzi del vecchio Faraoni.

L’ultimo elemento, forse il più importante, è una nuova identità che il Verona e il suo allenatore sembrano aver trovato. Facendo di necessità virtù i gialloblù hanno cambiato faccia di fronte alle assenze e alle cessioni. Un Verona più attendista, capace di costruire la sua partita senza buttarsi in avanti con lo scolapasta in testa, ma lasciando che la frustrazione crescente degli avversari diventi un alleato. Poi, se capita la carta giusta, bisogna essere pronti a colpire duro. Tradotto: la partita perfetta dell’underdog

Con meno glamour a stelle e strisce il confermatissimo direttore Sogliano aveva parlato – ormai parecchi anni fa – di un Verona con la mentalità da outsider, anzi da auzzaider, che doveva essere consapevole di dover combattere duramente per guadagnarsi ogni occasione e per non lasciarla sfuggire. Ecco, oggi l’Hellas – con la coperta sempre corta e con tutti i suoi limiti – potrebbe aver ritrovato quello spirito. A Milano abbiamo visto qualche buon segnale, con la Viola il piano ha funzionato alla perfezione, a Torino sarebbe già importante vedere in campo le conferme di un’identità tignosa e pronta a combattere per ogni punto di questa incredibile salvezza.

Foto da Unsplash di Michael Parzuchowski

L’ultima mano

Incredibile, sì, perché la gara dello Juventus Stadium – al netto dei morali opposti delle formazioni – è solo una mano di poker in una lunga e faticosa partita a basso budget in un tavolo con troppi squali milionari. Una partita che Presidio Investors ha deciso di giocare senza scoprire le proprie carte nemmeno in una conferenza stampa in cui è emerso poco oltre l’abilità da politicante del nuovo presidente Zanzi. Una poker face incrollabile quella del newyorkese: “trust the process, abbiamo fiducia che questa rosa possa salvarsi, nessuna mossa fatta sotto pressione, non preoccupatevi, abbiamo un piano.”

C’è da sperare che dopo aver sborsato un buy in da centinaia di milioni di euro, i texani abbiano le idee chiare su quanto sia infida e complicata questa brutta, scarsa e amatissima Serie A. Perché una partita di poker, per quanto lunga tutta la notte, è fatta di mani in cui tenere duro, di occasioni prese al volo e soprattutto di coraggio. 

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