È una notizia emersa poco prima di Natale, forse trascurata, ma che merita attenzione per evidenziare la critica del Consiglio d’Europa riguardo alla gestione dei CPR in Italia.

Cosa sono i CPR?

I CPR, Centri Permanenti per i Rimpatri, sono strutture dove i migranti, soggetti a un ordine di espulsione, vengono trattenuti in attesa di essere identificati e rimpatriati nel loro paese d’origine. Questi centri di detenzione amministrativa furono istituiti nel 1998 con la legge Turco-Napolitano sotto il nome di C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea), poi rinominati C.I.E. (Centri di Identificazione ed Espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002, e infine nel 2017 assunsero l’attuale nome di CPR grazie all’allora Ministro dell’Interno Minniti, noto anche per il Memorandum Italia-Libia sulla gestione dei flussi migratori, attualmente esteso alla Tunisia.

Recentemente, il Consiglio d’Europa ha criticato la gestione italiana di questi centri. La critica si basa sulla convinzione che i CPR siano luoghi di maltrattamenti fisici, caratterizzati da un uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine verso persone che non sono detenute, ma semplicemente in attesa di rimpatrio. Inoltre, si denuncia la somministrazione di psicofarmaci senza prescrizione medica, utilizzati per mantenere i trattenuti calmi, “storditi” e inoffensivi. Il Consiglio d’Europa ha definito questi centri inadeguati per ospitare persone a causa della totale assenza di attività di qualsiasi tipo.

I migranti non hanno la possibilità di svolgere attività, lavori o diversivi, e questa inattività, combinata con l’uso eccessivo di psicofarmaci, ha un impatto negativo sulla loro salute mentale. La permanenza nei CPR può durare fino a 18 mesi, in condizioni che ricordano quelle di una prigione, dove non si può uscire, si è sorvegliati dalle forze dell’ordine, si vive in stanze con sbarre e senza alcuna attività ricreativa, pur non avendo commesso alcun reato.

Le persone migranti nei CPR vivono in uno stato di sospensione, aspettando che Italia e Paese di origine raggiungano un accordo per il rimpatrio, da cui dipende la durata dell’attesa. Questo periodo alienante segue una vita passata a fuggire da fame e miseria, alcuni da guerre, dittature e persecuzioni. Dopo aver rischiato la vita attraversando il deserto, per chi proviene dall’Africa subsahariana, o il Mediterraneo, o sopportato i lager libici, si ritrovano al punto di partenza, in un centro di rimpatrio, in attesa di essere rimandati nel luogo dal quale erano fuggiti.

I numeri e dove si trovano i CPR in Italia

Il Consiglio d’Europa ha bocciato i CPR dopo una visita avvenuta la scorsa primavera in quattro dei nove centri di rimpatrio. La commissione ha effettuato queste visite in risposta a segnalazioni e inchieste giornalistiche che hanno denunciato le condizioni disumane presenti nei centri. Le ispezioni sono state condotte in conformità con l’articolo 7 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura. Durante la visita, nei CPR erano presenti 450 persone; oggi sono oltre 380, distribuite nei nove centri in Italia. Questi luoghi, spesso definiti infernali, si trovano a Torino in Corso Brunelleschi, a Roma vicino Ponte Galeria, a Brindisi Restinco, a Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza, a Bari vicino all’aeroporto, nel quartiere Milo di Trapani, a Caltanissetta in zona Pian del Lago, a Macomer in Sardegna e a Gradisca d’Isonzo nei pressi di Gorizia.

Tra i centri più affollati si trovano Palazzo San Gervasio, che ha ospitato oltre 90 persone contemporaneamente, e Gradisca d’Isonzo con circa 80 ospiti. Il tempo medio di permanenza è di 38,6 giorni, ma può estendersi fino a 180 giorni in caso di complicazioni nelle procedure di rimpatrio. Solo il 41% delle persone che passano per i CPR viene effettivamente rimpatriato, quindi meno della metà. Per il restante 59%, il periodo alienante trascorso nei centri, che ricordiamo avviene senza aver commesso alcun reato, si conclude con un nulla di fatto: un ritorno alla libertà in Italia, dove si deve ricominciare da capo. Questo include rifare le file in questura per ottenere un permesso di soggiorno, una ricerca disperata di lavoro e una ancora più ardua per una casa. Un periodo inutile, solo tempo sprecato in una totale disumanità. Questa disumanità è confermata dalla bocciatura del Consiglio d’Europa, documentata da fonti giornalistiche e testimonianze di chi ha vissuto o ha visto questi luoghi. Come affermato dal Consiglio Italiano per i Rifugiati, “servono solo ad aumentare le sofferenze umane delle persone che vi sono rinchiuse, con il loro passato e l’assenza totale di una prospettiva di futuro migliore”.

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