Tratto dal romanzo omonimo di Robert Harris, Conclave è un thriller politico-religioso che esplora le dinamiche segrete e spesso torbide all’interno del conclave per l’elezione di un nuovo Papa. Diretto con uno stile austero e riflessivo da Edward Berger, il film ricrea con cura la tensione claustrofobica dei porporati rinchiusi nella Cappella Sistina e nei luoghi ad essa collegati adiacenti, fedelmente ricostruiti a Cinecittà.

L’atmosfera del film richiama, per alcuni aspetti, le suggestioni vaticane de Il Codice da Vinci diretto qualche anno fa da Ron Howard, ma con un approccio decisamente più contenuto e introspettivo, meno dinamico e per questo molto più interessante. Qui non ci sono corse contro il tempo o misteri criptici da risolvere, ma piuttosto un lento svelarsi di intrighi, bugie e giochi di potere che sembrano contraddire l’essenza stessa della Chiesa, almeno quella che doveva aver immaginato Gesù Cristo.

Tra i protagonisti spicca Ralph Fiennes, impeccabile nel ruolo del cardinale Lawrence, tormentato e in crisi non con Dio ma con l’istituzione ecclesiastica, incaricato di organizzare, “amministrare” e portare a termine l’intero conclave. Stanley Tucci regala una performance intensa nei panni del cardinale Bellini, mentre il nostro Sergio Castellitto interpreta con efficacia il conservatore cardinale Tedesco, figura controversa e temuta da molti dei suoi colleghi.

Visivamente, il film affascina grazie a scelte cromatiche eleganti: il contrasto tra le vesti rosse dei cardinali e le pareti bianche o i sedili verdi della sala riunioni crea un effetto visivo potente, con chiaroscuri chiaramente ispirati alla grande arte di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, che intensificano ed esaltano l’atmosfera solenne e inquietante allo stesso tempo. Ma è sicuramente un altro Michelangelo, il Buonarroti, uno dei protagonisti indiscussi del film, visto che – attraverso i suoi affreschi che dall’alto della Cappella Sistina osservano silenziosi il procedere del conclave – sembra giudicare silenziosamente l’umanità decadente al centro della vicenda. Il finale, simbolico ma decisamente troppo “estremo” per essere anche solo vagamente credibile, toglie un po’ di quell’aurea solenne creata nel corso di tutta la pellicola.

Il ritmo compassato, fra sussurri, preghiere e silenzi, può risultare lento per alcuni spettatori, ma è funzionale a creare la giusta tensione e atmosfera carica di sospetti. Al di là di questo, l’opera merita sicuramente di essere vista, soprattutto per la bellezza visiva delle sue immagini (e il cinema è prima di tutto fatto di immagini) e per la riflessione, oggi più vera che mai, che propone sulla distanza tra l’ideale spirituale e la realtà decisamente troppo “umana” della Chiesa.

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