Il 12 dicembre 1969, alle 16:37, una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano. L’attentato provocò la morte di 17 persone e ferì altre 87, rappresentando uno dei momenti più drammatici nella storia italiana del dopoguerra. Questo tragico evento è considerato l’inizio della “strategia della tensione”, una fase di violenza politica che influenzò la vita democratica del Paese per oltre un decennio.

L’attentato

Quel pomeriggio di dicembre, la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura era affollata di agricoltori, commercianti e cittadini. La bomba, nascosta in una valigetta abbandonata, esplose con forza devastante, distruggendo l’edificio e scatenando il panico. Nel frattempo, altre bombe furono piazzate a Roma e Milano, ma non tutte provocarono vittime.

Subito dopo l’attentato, le indagini furono caotiche e mal dirette, complice un clima politico già estremamente polarizzato. Le autorità si concentrarono inizialmente sulla pista anarchica, arrestando persone come Giuseppe Pinelli, un ferroviere e militante anarchico, che morì in circostanze controverse mentre era trattenuto negli uffici della questura di Milano. La sua morte, ufficialmente classificata come suicidio, suscitò enormi sospetti e alimentò le tensioni.

La matrice dell’attentato

Negli anni, le indagini hanno rivelato che la strage di Piazza Fontana fu orchestrata da gruppi di estrema destra legati a Ordine Nuovo, un’organizzazione neofascista. L’attentato era parte di una strategia volta a destabilizzare l’Italia, diffondendo paura tra la popolazione e creando le condizioni per un rafforzamento autoritario dello Stato. Tuttavia, identificare e punire i responsabili si rivelò impossibile: i processi furono lunghi e complessi, segnati da depistaggi, interferenze dei servizi segreti e un sistema giudiziario incapace di garantire giustizia.

Tra i nomi emersi ci furono Freda e Ventura, esponenti dell’estrema destra, ma i procedimenti contro di loro si conclusero senza condanne definitive. La responsabilità politica e morale della strage fu accertata, ma i colpevoli materiali e i mandanti rimasero impuniti. E anche Verona ebbe un ruolo importante in quella vicenda.

La strategia della tensione

L’attentato di piazza Fontana inaugurò un periodo di intense violenze politiche che marcarono profondamente gli anni Settanta in Italia. La strategia della tensione, orchestrata da gruppi neofascisti con il supporto di settori deviati dello Stato, mirava a contrastare l’ascesa dei movimenti di sinistra e a rafforzare le forze conservatrici. A questo periodo seguirono altre stragi, tra cui quelle di Brescia (1974) e Bologna (1980), in un’escalation di violenza che minacciò la stabilità democratica del Paese. Piazza Fontana rimane un simbolo non solo per il dolore delle vittime, ma anche per l’incapacità dello Stato di assicurare verità e giustizia.

Memoria e riflessione

A oltre cinquant’anni dalla strage, Piazza Fontana rimane una ferita aperta nella memoria collettiva italiana. Ogni anno, le vittime vengono commemorate con cerimonie pubbliche per assicurarsi che il loro sacrificio non sia dimenticato.

L’attentato e la strategia della tensione sottolineano l’importanza di salvaguardare la democrazia e il ruolo essenziale di un sistema giudiziario trasparente e imparziale. Piazza Fontana non è solo un tragico episodio della storia italiana, ma anche un avvertimento contro l’uso della violenza come strumento politico. Conoscere e riflettere su quei fatti rafforza la consapevolezza civica e la determinazione a proteggere i valori democratici.

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