L’affluenza alle urne da tempo non raggiunge più le percentuali degli anni sessanta o settanta. Ma negli ultimi dieci anni la disaffezione al voto ha assunto proporzioni allarmanti.

Alle politiche del 2006 avevano partecipato al voto più dell’84% degli aventi diritto, alle ultime politiche del 2022 tale percentuale si é ridotta al 63,9% In Umbria alle recenti elezioni regionali si é recato alle urne il 52,3% dei cittadini. In Liguria poche settimane prima, l’affluenza é stata solo del 45,9%

Le cause della disaffezione al voto

Un vero tracollo che, grafici alla mano, sembra essere iniziato a partire dalle elezioni politiche del 2013. Dopo ogni tornata elettorale si susseguono commenti con espressioni di sentita preoccupazione per il crescente astensionismo. Si tratta di una silenziosa forma di protesta dei cittadini? I nostri politici hanno perso il contatto con la realtà? La gente è stanca e delusa della qualità della classe politica che li rappresenta?

Probabilmente c’é un pò di verità in ciascuna di queste affermazioni, ma forse c’é qualche altro elemento da considerare. Negli ultimi trent’anni in Italia i governi sono stati guidati, alternativamente, da forze politiche contrapposte. Da Berlusconi a Prodi, passando per governi “tecnici” come quelli di Monti e Draghi, alleanze impensabili come quella tra Lega e Movimento 5 Stelle nel 2018, fino al contemporaneo “destra-centro” di Giorgia Meloni.

Eppure in tutti questi passaggi, le politiche economiche della “Nave Italia”, in assoluta continuità, sono state improntate ad austerità, privatizzazioni e riduzioni della spesa pubblica, come se ci fosse un “pilota automatico” ad impedire qualsiasi “virata”.

Anche l’attuale governo, guidato da Giorgia Meloni, il cui partito era stato l’unico all’opposizione nel precedente esecutivo guidato da Mario Draghi, sta attuando leggi finanziarie perfettamente in linea con il governo prececente. Ci si deve stupire di questa continuità? Per niente. Ed ll motivo ci è già stato confermato esplicitamente.

Il pilota automatico di Mario Draghi

Era il 2013, quando Mario Draghi, Governatore della BCE, in conferenza stampa, incalzato dai giornalisti sulla incerta situazione politica italiana, affermò testualmente: «L’Italia prosegue sulla strada delle riforme, indipendentemente dall’esito elettorale. Le riforme continuano come se fosse inserito il pilota automatico.»

Si tratta di parole pesanti, che avrebbero dovuto far “saltare” sulla sedia l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, insieme all’intero Parlamento. In realtà non successe niente, per una sorta di rispettosa genuflessione verso il carismatico presidente italiano della BCE.

Ma non basta, nel 2018, nella imminenza delle elezioni politiche italiane, l’allora Commissario europeo al bilancio Gunther Oettinger in una intervista affermò che i «mercati insegneranno agli italiani a votare nella maniera giusta». A seguito delle proteste italiane il Commissario si scusò, adducendo responsabilità alla traduzione dal tedesco e ad una sintesi eccessiva del giornalista. Il significato sostanziale delle parole di quella intervista era comunque chiarissimo.

Da chi sono decise le politiche economiche in Europa?

Di fatto molti cittadini hanno realizzato che recarsi ai seggi, sia diventata una formalità inutile, dato che le scelte fondamentali, soprattutto in materia economica, sono già decise in altre sedi, ad esempio a Francoforte (BCE) e a Bruxelles (UE), oltre che dalle Agenzie di Rating, che con le loro “pagelle” condizionano pesantemente la valutazione dei debiti pubblici degli Stati ed i relativi tassi di interesse.

In definitiva la “sovranità” dello Stato, anziché appartenere al popolo, come sancito dall’art. 1 della Costituzione italiana, sembra appartenere ai Mercati, che la esercitano come un “pilota automatico” attraverso una serie di vincoli e ricatti.

Il problema non é tanto l’Unione Europea o la Banca Centrale in sé stesse, che sono istituzioni che volontariamente anche l’Italia ha contribuito fattivamente a costruire, quanto il loro allineamento con le direttive dei Mercati finanziari internazionali, in una visione ultra liberista dell’economia.

La dissaffezione alle urne, ed anche la crescita dei movimenti di estrema destra, trovano il loro retroterra in questo “tradimento” politico delle istituzioni europee. Nell’abbandono di quegli ideali di pace, crescita economica e sociale, e democrazia partecipata, nei quali i cittadini europei avevano creduto.

Verso quegli ideali l’Europa deve tornare, se vuole ritrovare coesione e crescita.

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