Devo riconoscere che un’attività che alcuni operatori commerciali del nostro splendido centro storico eseguono egregiamente sui mezzi di comunicazione è lamentarsi di presunte contrazioni di vendite e riduzioni di fatturato di beni per lo più superflui e voluttuari (e non mi riferisco ovviamente a tutto ciò che consente a ciascuno di noi di vivere – alimenti, vestiario, farmaci, etc. -, noto come bene primario). Su questo sono veri maestri da cui imparo molto.

Al contrario, da parte loro nulla ho mai letto ed udito contro l’inquinamento dell’aria; nulla ho letto contro l’inquinamento acustico derivante dal traffico incessante o da musica disturbante la quiete e il riposo di chi torna a casa stanco dopo il lavoro; nessuna parola sul trattenimento nell’esercizio commerciale dei propri collaboratori anche nei giorni che un tempo erano riservati agli affetti familiari; nulla sulle condizioni queste sì materiali di strade, marciapiedi, monumenti pubblici violentati ed usurati da un eccesso di presenze anche confrontato con la capacità di accoglienza di città assai più grandi.

L’unico insistente ritornello liberistico, l’unico esclusivo interesse che manifestano è quello venale ed avido legato al proprio portafoglio che deve costantemente aumentare a scapito di ogni altro aspetto della complessiva vita umana.

Leggendo il titolo dell’articolo ‘ZTL chiusa, centro desertificato‘ mi sono chiesto se in Veneto non esistano due città chiamate Verona: una quotidianamente traboccante (e debordante) di persone che incontro in centro storico, con picchi assoluti e massificati nei giorni di festa e una, al contrario, desertificata, (s)popolata solo da invisibili fantasmi e caratterizzata da strade e piazze vuote e silenziose, di cui non mi sono accorto ma che, invece, così descrivono alcuni esercenti.

Non mi sorprende che questa vox clamans in questo pseudo deserto (absit iniuria) appartenga ad alcuni paladini del consumismo, veri sacerdoti dell’unica religione materiale ed utilitaristica che praticano e che vogliono imporre a tutti, religione laica che pretenderebbe che ogni persona sia prona completamente al dio commercio, al totem capitalistico con personale tornaconto puramente economico di costoro e totale trascuratezza di ogni altra dimensione soggettiva (sanitaria, spirituale, latamente culturale, etc.) di tutte le altre persone con cui si relazionano o, meglio, dei clienti e consumatori come quegli esercenti concepiscono gli esseri umani.

Ciò che ha valore per costoro è solo il passaggio della proprietà di un bene spesso voluttuario e non essenziale in cambio della controprestazione in denaro del cliente, in un continuo ciclo senza fine di spesa e di arricchimento (loro) e impoverimento degli altri (clienti e residenti) sia in termini finanziari sia in termini di qualità dell’esistenza complessiva dei singoli e della comunità tutta.

Ma è davvero solo questa la vita che alcune associazioni di commercianti e imprenditori (e di politici che li supportano e ne sono poi i rappresentanti) vogliono imporci e dobbiamo accettare? Un continuo compulsivo ed ossessivo acquisto di beni tendenzialmente superflui per sostenere la ricchezza di alcuni e la pura sussistenza di tutti gli altri? Ed è questa la vita che ciascuno di noi deve desiderare secondo una diffusa e martellante propaganda del “chi più ha più è” (bello, interessante, intelligente, rinomato, etc)?

Il paradosso esilarante e tristemente comico in queste rivendicazioni consiste nel fatto che i corifei di questa lagnanza a favore del consumismo – modello che, secondo costoro, l’attuale amministrazione comunale tenterebbe di minare nella nostra città – sono quegli stessi politici che hanno creato, con l’impulso ai centri commerciali che circondano Verona, il drenaggio di clientela tanto lamentato dagli esercenti cittadini.

In altre parole, prima quei politici hanno autorizzato la nascita di poli del consumo alle porte di Verona, poi si fanno interpreti del presunto calo di clienti in centro storico a danno degli esercizi commerciali che loro stessi hanno concorso a depauperare.

Tutte le persone dotate di un minimo di attenzione e di visione priva di pregiudizi hanno chiara consapevolezza e conservano memoria di questa incontestabile contraddizione.

Quale residente in centro storico apprezzo e sostengo il tentativo di restituire maggiore vivibilità alla nostra città ma ancor più condivido la tensione ideale a non ridurre tutta la nostra esistenza ad un puro continuo ed interminabile scambio di beni (denaro versus merce) con il solo obiettivo del bieco profitto, del consumo di risorse, accompagnati dal pregiudizio al benessere integrale della persona attraverso, tra l’altro, l’aumento del traffico veicolare, attraverso il peggioramento della qualità dell’aria, attraverso la volontà di riduzione dell’esistenza a pura e semplice mungitura da parte di certi produttori e intermediari di beni e di servizi che non sono fondamentali per il benessere di ogni persona.

Io ritengo che ciascuno di noi possa ambire ad essere più che un pollo da spennare o un automa teleguidato dai seguaci dal dio denaro. Evviva, dunque, il commercio equo, solidale, misurato e attento ai bisogni autentici delle persone e plauso sincero a quegli esercenti che questo perseguono: perché il soldo ed il profitto (certo necessari) non siano, alla fine, i nostri demoni e padroni.

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