In campagna elettorale Donald Trump aveva promesso di fermare le guerre in 24 ore. Aveva promesso anche maggiore sicurezza respingendo gli immigrati irregolari, meno tasse alla classe medio-alta e lavoro alla classe operaia, riportando le industrie manifatturiere negli USA.

Gli americani gli hanno creduto e l’hanno votato. Niente di nuovo per l’Italia, che più volte ha portato al governo Silvio Berlusconi, ed ora anche Giorgia Meloni con promesse elettorali analoghe.

Trump ed il conflitto in Ucraina

Se Trump farà seguire i fatti alle promesse, e non c’è da dubitarne, sono due gli elementi che interessano prioritariamente l’Europa: la guerra russo-ucraina e l’economia. Sul primo punto Trump potrebbe veramente trovare una soluzione al conflitto. Non perché il Presidente americano sia un amante della pace, piuttosto perché il vero competitor strategico per gli Usa è la Cina.

Ma dobbiamo essere ben consapevoli che meno guerra in Europa non vorrà dire meno spese per le armi.

L’America è una potenza imperiale che per mantenere il suo dominio economico e geopolitico nel mondo deve utilizzare la forza militare dissuasiva ed anche la guerra, magari per procura. L’America di Trump, come quella di Biden, vuole dall’Europa maggiori contributi per la Nato, ed il 2% del Pil in spese militari è solo il primo passo. Poi sarà richiesto molto di più, probabilmente fino al 4%, e questo è un grosso problema per l’Italia, oltre che per tutta l’area europea. Si tratta di risorse ingenti, di decine di miliardi di euro l’anno che saranno sottratte al welfare.

Foto di Timothy Neesam, Flickr, CC BY-ND 2.0.

Per l’economia la situazione è più complessa. Bisogna innanzitutto ricordare che la globalizzazione ha mostrato tutti i suoi limiti in particolare in occasione della pandemia da Covid19, quando ci si accorse che persino le mascherine provenivano dalla Cina, così come molti altri prodotti indispensabili per il sistema manufatturiero occidentale. La guerra in Ucraina e l’irrigidimento con la Cina hanno fatto il resto.

Così da alcuni anni le produzioni industriali strategiche vengono internalizzate, e si stanno modificando le catene di approvvigionamento per tener conto della mutata realtà geopolitica, distinguendo nei commerci internazionali fra Paesi “amici” e non.

L’impatto dei dazi sull’economia europea

Inoltre gli Stati Uniti da molti anni hanno un deficit commerciale enorme soprattutto verso la Cina, ed anche verso l’Europa, che hanno deciso di ridurre drasticamente. Già Trump nel suo precedente mandato alla Casa Bianca, ed anche Biden negli ultimi 4 anni, hanno finanziato con fondi e agevolazioni fiscali le industrie statunitensi e la ricerca tecnologica, incoraggiando altresì il ritorno dall’estero della produzione manifatturiera. Ciò viene ottenuto anche attraverso l’applicazione di dazi sui prodotti esteri.

È una politica economica quella degli Usa pienamente legittima, ma che certamente costerà ai Paesi europei un calo delle esportazioni. Questo è un problema rilevante per l’Europa la cui crescita economica è asfittica, stentando ad arrivare all’1%, nonostante la bilancia commerciale sia largamente positiva.

Infatti, paradossalmente, l’Europa, al contrario degli Stati Uniti, ha da decenni una bilancia commerciale molto positiva, trainata però non dagli investimenti, ma da una competizione al ribasso fra i vari Paesi, basata sulla compressione della domanda interna. E sta proprio qui il nocciolo della attuale crisi della UE.

Serve un cambio di paradigma nella politica della UE

L’Unione Europea è rimasta prigioniera delle regole di Maastricht che essa stessa si era data. Per decenni, ossessionata dal debito pubblico e dal pericolo inflazione, la UE ha investito troppo poco in ricerca, infrastrutture e mercato interno, preferendo invece contenere i salari per mantenere la competitività internazionale.

Mario Draghi alla sessione plenaria sul futuro della competitività europea, © European Union 2024 – fonte EP, foto di Daina Le Lardic.

Il recente venir meno del gas a buon prezzo dalla Russia, la chiusura del mercato russo ed il ridimensionamento di quello cinese, ed ora anche i dazi americani, hanno messo a nudo le difficoltà strutturali dell’economia europea, con le quali la UE ha dovuto cominciare a fare i conti.

La UE, come suggerito da Mario Draghi, ha bisogno di grandi investimenti, che da soli però non basteranno. L’Unione Europea ha bisogno anche di un aggiornamento delle regole interne (Maastricht), di un più attivo ruolo di sostegno della Banca Centrale (BCE), e di un aumento della domanda interna (salari più alti e maggiori spese per il sociale).

Diversamente potrebbe essere la stessa Unione Europea, nonché l’eurozona, a sfasciarsi, sotto la pressione del crescente disagio sociale.

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