Recentemente, un importante ministro del Governo Meloni ha definito l’Egitto come un “paese sicuro”, affermando che ogni anno 15 milioni di turisti stranieri lo visitano senza incontrare alcun tipo di problema. Questa affermazione, volta a giustificare l’inclusione dell’Egitto nella lista del governo italiano dei cosiddetti “paesi sicuri” per il rimpatrio dei migranti, ignora volutamente alcune delle realtà più drammatiche del contesto egiziano, in cui i cittadini non si trovano affatto nella stessa posizione dei turisti.

Un’affermazione a dir poco fuorviante

Il dato offerto dal ministro sui milioni di turisti al sicuro è sicuramente vero, ma è anche del tutto fuorviante. I turisti, notoriamente, si muovono generalmente in circuiti protetti e sono percepiti come fonti di reddito per il Paese ospitante. Ricevono trattamenti privilegiati e godono di protezioni che i cittadini egiziani (e i migranti che transitano dall’Egitto) di certo non hanno. In altre parole, il fatto che i turisti non incontrino problemi non ha alcuna rilevanza per la sicurezza che l’Egitto – da anni sotto una dittatura militare – può offrire a chi vive in miseria, senza il riconoscimento dei fondamentali diritti civili, libertà fondamentali e quant’altro. Per non parlare dei migranti, persone vulnerabili, spesso in fuga da situazioni di ulteriore povertà, guerra o repressione politica.

Un migrante non arriva con pacchetti vacanza e guide esperte. Si inserisce in una realtà ben diversa, in cui spesso rimane invisibile alle istituzioni o, peggio ancora, finisce nelle mani di apparati di sicurezza repressivi. I migranti non hanno le garanzie di sicurezza che possono aspettarsi i turisti, né possiedono risorse economiche che potrebbero fungere da scudo contro le condizioni di marginalizzazione e abusi. Questi sono aspetti che quel ministro ha scelto volutamente di ignorare, pur essendo evidenti a chiunque si interessi davvero delle condizioni delle persone migranti o più in generale di chi vive nei Paesi del Nord Africa e Medio Oriente.

La vicenda Regeni: una tragedia che non si può dimenticare

In Italia, poi, non si può parlare di sicurezza in Egitto senza ricordare il tragico caso di Giulio Regeni, il giovane ricercatore triestino torturato e ucciso proprio in Egitto nel 2016, mentre conduceva alcune ricerche accademiche. La brutalità che ha subito il nostro concittadino mostra chiaramente quanto possa essere pericoloso per chiunque trovarsi in Egitto senza una adeguata protezione. Se un ricercatore italiano, supportato da istituzioni accademiche internazionali, ha subito questo “trattamento”, come può esserlo un migrante o un povero cittadino egiziano senza risorse e spesso senza alcun tipo di tutela legale o sociale?

Diversi rapporti delle organizzazioni internazionali, come Amnesty International e Human Rights Watch, denunciano regolarmente violazioni dei diritti umani in Egitto: arresti arbitrari, torture, e repressione contro oppositori politici e dissidenti. Questa repressione colpisce anche i migranti, particolarmente quelli che provengono da contesti economici e sociali fragili.

L’idea che queste persone possano essere rimpatriate in un “Paese sicuro come l’Egitto” è a dir poco agghiacciante e dimostra una totale mancanza di rispetto. Bisognerebbe tener conto delle numerose segnalazioni e prove di violazioni dei diritti umani nel Paese e riconoscere che turismo e migrazione non sono situazioni paragonabili.

Foto da Unspash di Mika Baumeister

La responsabilità morale e politica dell’Italia

L’affermazione di quel ministro risulta, quindi, non solo superficiale, ma anche altamente pericolosa, in quanto rischia di esporre persone vulnerabili a rischi ben documentati. Considerare l’Egitto un “Paese sicuro” per giustificare il rimpatrio dei migranti significa ignorare deliberatamente l’evidente rischio che queste persone possono affrontare.

Invece di nascondersi dietro statistiche sui flussi turistici, il Governo italiano dovrebbe affrontare la questione migratoria con maggiore umanità e responsabilità. Riconoscere la realtà dell’Egitto, in tutte le sue complessità, è il primo passo per rispettare i diritti fondamentali delle persone che cercano protezione e sicurezza.

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