Sono passate alcune settimane da quando il Rapporto Draghi è stato presentato alla Commissione Europea dall’ex Presidente della Banca Centrale Europea. Il documento è una lucida, completa e realista analisi del contesto politico, sociale ed economico che l’Europa sta vivendo. L’analisi esposta non è priva di tinte cupe nel descrivere gli scenari a cui la UE potrebbe andare incontro, ma presenta anche i punti di forza che l’Europa può vantare per affrontare le sfide del futuro. Non solo, ha il merito di non limitarsi ad una sterile critica delle politiche fin qui intraprese, ma di identificare obiettivi e azioni concrete necessari al perseguimento degli stessi. Vediamo in sintesi i punti salienti del documento.

Il richiamo ai valori dell’Unione Europea

Il Rapporto Draghi non trascura di ribadire i valori fondanti dell’Europa. “I valori fondamentali dell’Europa sono la prosperità, l’equità, la libertà, la pace e la democrazia in un ambiente sostenibile. L’UE esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non è più in grado di fornirli ai suoi cittadini – o se deve scambiare l’uno con l’altro – avrà perso la sua ragione d’essere“. Questo passaggio della prefazione risulta particolarmente importante sia come imprescindibile richiamo al senso di Europa, sia per quanto Mario Draghi sembra voler affermare fin dalle prime righe.

In primo luogo l’ex numero uno della BCE ricorda l’irrinunciabilità dell’adesione ai valori fondanti (aspetto questo messo in discussione come mai prima d’ora da parte dell’opinione pubblica e da alcune correnti politiche). In secondo luogo, nel testo troviamo un monito: l’Europa unita può rimanere tale ed esistere solo se saprà fare quadrato attorno ai propri principi fondativi. Il terzo aspetto che si può cogliere, forse meno esplicito dei precedenti, è che credere in certi valori comporti sfide ancor più difficili in quanto crescere, innovare, guardare al futuro e stare al passo con il resto del mondo non ammette scorciatoie alternative (vedasi Cina ad esempio).

Il contesto geopolitico

Il documento traccia i cambiamenti avvenuti dal Dopoguerra ad oggi. Da un mondo il cui il blocco comunista e atlantista si mantenevano in sostanziale equilibrio offrendo ai cittadini e alle imprese una unica occasione di crescere per un periodo duraturo, pur confrontandosi non senza scintille o con indiretti confronti militari in Medio Oriente o altre parti del globo, oggi stiamo andando incontro ad uno scenario molto più incerto. Il rapporto scrive: “…la sicurezza dell’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti…” è venuto meno. Se l’Europa, infatti, aveva beneficiato per decenni della protezione armata della Casa Bianca, oggi, con l’allentamento dell’invasività della politica estera americana, il rischio è che gli stati membri della UE si rivelino deboli e inadeguati a tutelare la propria posizione.

La preoccupazione non è solo quella di manifestare debolezza a livello militare e politico, ma anche sul fronte economico. Il Rapporto Draghi, infatti, evidenzia come il rallentamento della crescita in area UE sia ormai di lunga data, per lo meno ventennale. Il documento, a tal proposito, pone proprio l’accento sulle parole crescita e competitività.

Le imprese europee, al di là delle varie politiche di sostenimento dei tassi di crescita, numeri alla mano, stanno perdendo posizioni sul mercato e di conseguenza si riducono le opportunità per le famiglie, il cui potere d’acquisto è calato in maniera vistosa e preoccupante, specie in alcune aree UE. Senza crescita non c’è surplus per finanziare il Welfare e senza welfare si rinuncia ai valori fondativi. Questo, in estrema sintesi, il ragionamento che emerge dal rapporto.

Foto da Unsplash di UX Gun

Il calo della popolazione

Mutato scenario politico, calo della competitività delle imprese e del potere d’acquisto delle famiglie. Ce ne sarebbe abbastanza per guardare con preoccupazione al futuro, ma il documento non trascura un altro degli aspetti critici e che rischia di minare il sistema Europa negli anni avvenire: il calo della popolazione. Quello che in Italia sta avvenendo in maniera ancor più evidente che in altri stati dell’Unione, è però un problema che riguarda tutti gli stati della UE, come precisa il Rapporto Draghi.

Il calo demografico a cui stiamo assistendo, si precisa, produrrà effetti ancor più evidenti nel prossimo futuro mettendo in discussione il sistema Europa. Da un lato meno popolazione equivale, a parità di condizioni, a meno nascite con conseguente effetto esponenziale, dall’altro una riduzione di cittadini dell’Unione produrrà giocoforza un calo della forza lavoro. A parità di condizioni e, senza tenere conto dei flussi migratori, significa che le aziende dovranno necessariamente imparare ad essere più produttive. Si stima infatti che, per i prossimi quindici anni, assisteremo ad una riduzione di forza lavoro pari a circa 2 milioni di unità l’anno. Il confronto con Paesi come Cina e India è davvero improponibile. Basti pensare che la Ue vanta circa 450 milioni di abitanti complessivi, meno di un terzo di entrambi i paesi asiatici.

Le politiche nazionali volte solo al consenso

Draghi, alla luce delle considerazioni suesposte, non lesina critiche ai governi degli stati membri, a sua opinione troppo attenti ad alimentare consenso di breve termine senza un orientamento politico di lungo periodo che guardi ad innovazione, sviluppo e crescita. Un approccio comune a tutti gli stati della UE e che negli anni ha provocato la perdita di posizioni di mercato e un utilizzo sconsiderato di denaro pubblico senza che questo fosse utile alla collettività.

Fare deficit per Draghi non è un tabù, ma evidenzia come sia profondamente diverso spendere in investimenti, con l’aspettativa di ritorni, e viceversa spendere erogando contributi a pioggia, da considerarsi come veri e propri costi. Che Draghi, nel sottolineare queste inefficienze dei governi degli Stati membri, stia pensando in primis al caso Italia non è difficile da credere, ma appare evidente nel documento che la critica sia del tutto estesa all’intera Unione.

Cosa non va

Il rapporto, quindi, mette sotto accusa le politiche di sperpero inconcludente di denaro pubblico volto a finanziare e sostenere interessi lobbistici e un consenso elettorale che guarda all’utilità individuale, non ad un bene più ampio che è quello dell’intera cittadinanza europea. Questa mentalità, questa strategia di gestione della cosa pubblica per Draghi è una delle principali cause della perdita di competitività dell’Europa. O almeno, lo è stata fin qui.

Non è però l’unica causa. L’ex Presidente del Consiglio italiano pone anche sotto accusa la mancanza di una regia comune a livello UE. Anche quando l’Europa si dimostra capace di articolare obbiettivi comuni, infatti, fatica nel perseguirli seguendo linee comuni e azioni congiunte tra diversi stati. Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che la ricetta Draghi sia la riduzione di sovranità dei singoli Stati membri a favore dell’unico soggetto Europa.

Quanto poi questa impostazione sia ben lontana dal concretizzarsi è sotto agli occhi di tutti, se pensiamo quanto ancora siano profonde le disparità tra diversi sistemi fiscali nel vari Paesi della UE (mercati), quanto sia stata estremamente individualista la gestione della crisi Coronavirus (sanità), quanto lontano sia lo scenario di creazione di un esercito europeo (difesa), tre materie in cui lo scollegamento in seno ai vari membri dell’Unione appare ben lontano da una risoluzione.

Draghi, però, non rinuncia a rinnovare un monito verso un allineamento tra paesi dell’Unione, condizione indispensabile e necessaria alla luce delle premesse già esposte. L’alternativa? La perdita dei privilegi che generazioni di europei hanno vissuto negli ultimi 50/70 anni.

Le tre aree di intervento: innovazione

Fin qui il documento riporta richiami, moniti, principi e analizza lo status quo. Successivamente, però, propone possibili soluzioni inquadrando obiettivi e azioni.
Tre sono le aree di intervento interconnesse tra loro che Draghi identifica come prioritarie in un disegno più ampio di governo dell’Unione:
– “…l’Europa deve riorientare profondamente i suoi sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate.

Interessanti i dati portati a supporto di questa prima considerazione. Le aziende italiane, che producono il 17% del PIL mondiale a confronto con gli Stati Uniti che arrivano al 26%, sono statiche: nessuna azienda europea con capitalizzazione superiore ai 100 miliardi di euro, infatti, è stata creata negli ultimi 50 anni, mentre tutte e sei le aziende americane di pari dimensione sono sorte in questo periodo.

Secondo il rapporto questi dati sono una conferma incontrovertibile della scarsa capacità del sistema europeo di favorire il dinamismo del mercato. Non solo, prosegue il documento: le aziende europee investono in R&D molto meno di quelle statunitensi, addirittura 270 mld di € in meno su base anno 2021.Draghi non gira attorno alle questioni. “Bisogna sbloccare l’innovazione“, afferma, pena la dipartita di molti investitori, più attratti delle opportunità che altre aree del mondo offrono e spaventati dall’eccesso di oneri burocratici nel fare impresa.

Le tre aree di intervento: decarbonizzazione

Il secondo tema in agenda è la decarbonizzazione. Gli ambiziosi obiettivi climatici vanno visti come un’opportunità per una UE in cui i costi di elettricità risultano due o tre volte superiori rispetto a quelli americani e quelli del gas anche fino a quattro o cinque volte più alti.

Secondo Draghi questo differenza di prezzo dell’energia non è solo spiegabile con una ben nota povertà di risorse naturali, ma anche con un sistema strutturalmente incapace di trasferire sui consumatori (privati e imprese) i benefici delle fonti pulite. Serve dunque ristrutturare dalle fondamenta il mercato dell’energia, da un lato investendo sin d’ora su fonti rinnovabili (sperando di coglierne i frutti a lungo termine), dall’altro sviluppando un piano per trasferire sui fruitori i benefici dell’energia pulita. Il tutto con la prudenza e la razionalità di rammentare che nel breve-medio termine i combustibili fossili non potranno essere eliminati.

Il Rapporto Draghi invoca dunque un piano congiunto tra Stati che incentivi le aziende europee ad investire e innovare sul fronte della decarbonizzazione. Il campo delle fonti rinnovabili già ci vede primeggiare sul mercato globale, ma può essere ulteriore volano di crescita se allo sviluppo del settore vengono coinvolte il maggior numero di industrie possibili in una proficua sinergia tra UE e aziende innovatrici.

Le tre aree di intervento: sicurezza e riduzione delle dipendenze

Il Rapporto Draghi introduce in maniera limpida il tema: “…Con l’affievolirsi dell’era della stabilità geopolitica, aumenta il rischio che l’insicurezza crescente diventi una minaccia per la crescita e la libertà. L’Europa è particolarmente esposta. Ci affidiamo a una manciata di fornitori per le materie prime critiche, soprattutto la Cina, anche se la domanda globale di questi materiali sta esplodendo a causa della transizione energetica pulita.

Come l’inizio della guerra in Ucraina ha evidenziato in modo inequivocabile, il tema della sicurezza (intesa come difesa dei propri confini) e la dipendenza da altri stati per l’approvvigionamento di gas, petrolio, microchip e altre materie prime o componenti indispensabili all’industria, rende la UE estremamente vulnerabile e ricattabile.

La pace, prosegue il documento è “il primo e principale obiettivo dell’Europa“. La situazione geopolitica attuale, però, espone l’Unione a rischi crescenti che solo un’azione forte, coesa e lungimirante finalizzata ad una maggiore indipendenza può combattere.

Da dove cominciare

Detto delle azioni da intraprendere, il Rapporto evidenzia negli elementi di forza dell’Unione il punto di partenza. Le basi, forti e sane, sono un’economia aperta, un elevato grado di concorrenza, un quadro giuridico solido, politiche attive che combattono la povertà per non tacere poi di un sistema sanitario all’avanguardia e un sistema di istruzione di valore assoluto.

Elementi che non sono riscontrabili in egual misura in altre parti del mondo e in altri contesti. L’Europa, poi, ha dalla sua un mercato costituito da circa 23 milioni di imprese e 440 milioni di consumatori con uno dei più bassi livelli di disuguaglianza, elemento che offre grandi opportunità e che ci differenzia da tutti i principali produttori di PIL a livello mondiale.

Il manifesto politico più forte degli ultimi anni

Foto da Unsplash di Marco Chillese

Il Rapporto Draghi ha subito, come spesso in questi casi, critiche e apprezzamenti, ma è forse passato sotto silenzio rispetto alla portata del documento. Il contenuto non è tenero con la classe dirigente attuale e passata della UE e non nasconde i gravi rischi che il futuro ci propone.

Pace, diritti civili, benessere, libertà, oggi sono il pericolo. Non un pericolo paventato, fumoso, ma concreto, imminente. Come Europa stiamo perdendo molte sfide e questo Draghi lo dice senza mezzi termini. Di fronte a tale scenario non ci sono vie alternative: l’Unione Europea deve agire coesa, ferma nei propri valori fondativi e a tutela di essi, costruendo un proprio rinnovato consenso attraverso la crescita e lo sviluppo di imprese e famiglie.

C’è tutto per considerare il Rapporto Draghi un vero e proprio manifesto politico. In tempi in cui appare a tratti sbiadito o poco attuale il sogno di pace e unione tra stati che era stato ideato a Ventotene nel 1941, la forza di questo documento non può passare inosservata, a prescindere dalle opinioni di ciascuno e a prescindere che il manifesto sia stato promosso da un “tecnico”.

Sia che si consideri il nostro ex Presidente del Consiglio come il politico più illuminato presente oggi sulla piazza o lo si consideri, viceversa, un “semplice” dipendente Nato al soldo di lobbistici interessi atlantisti, la visione draghiana non può essere presa sottogamba. Può non essere condivisa negli obiettivi e nelle azioni proposte, ma non può essere affatto discussa sui rischi imminenti a cui il nostro modello di società sta andando incontro. Serve agire, in fretta. Ne va del nostro futuro e delle nostre libertà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA