Molto atteso, Il 9 settembre scorso, Mario Draghi ha pubblicato il rapporto “The future of European competitiveness”  commissionatogli lo scorso anno da Ursula von der Leyen sul futuro della competitività dell’Unione europea.  Si tratta di un documento estremamente ricco di contenuti e riferimenti, proposto in due parti. La prima, intitolata “A competitiveness strategy for Europe” ad uso dei decisori politici, e la seconda “In-depth analysis and recommendations” il rapporto completo di 328 pagine.

Tante sono le analisi e le proposte per nulla scontate, esposte senza eccessivi timori reverenziali sia quando contrastano le politiche degli ultimi anni, sia quando vanno a toccare interessi e criticità. Un documento complesso che merita di essere studiato in tutte le sue parti, difficile da riassumere in un articolo di giornale. Ci soffermiamo su alcuni spunti.

Premessa: è l’Europa dove si vive meglio

Il modello sociale europeo combina un’economia aperta, un quadro giuridico forte con politiche attive per combattere la povertà e ridistribuire la ricchezza.

Questo modello ha consentito all’UE (440 milioni di consumatori, 23 milioni di aziende, il 17% del PIL globale) di coniugare elevati livelli di integrazione economica con bassi livelli di disuguaglianza. In Europa il tasso di disuguaglianza di reddito è circa 10 punti percentuali inferiori a quelli osservati negli Stati Uniti (USA) e in Cina.

Rapporto Draghi. diseguaglianza e PIL mondiali

Il benessere europeo è a rischio

Purtroppo, puntualizza Draghi, nel commercio, nell’energia e nella difesa, le condizioni mondiali che hanno sostenuto e permesso il benessere europeo, stanno svanendo dalla fine della Guerra Fredda.

Alcuni dati significativi di confronto con le principali economie mondiali: il divario di crescita tra Stati Uniti ed Unione europea è passato dal 15% nel 2002 al 30% nel 2023;  la quota di settori nei quali la Cina compete direttamente con la UE è salita dal 25% nel 2002 al 40% ad oggi. Tra le 50 più importanti società tecnologiche mondiali, solo quattro sono europee.

Tre proposte per evitare il declino

 “Closing the innovation gap”.  

L’Europa deve rimediare al rallentamento della crescita della produttività colmando il divario di innovazione e  trovando nuovi motori di crescita.

Questo obiettivo comporterà un’accelerazione significativa dell’innovazione tecnologica e scientifica, migliorando il percorso verso l’innovazione alla commercializzazione, eliminando le barriere che impediscono alle imprese innovative di crescere e di attrarre finanziamenti, e intraprendere sforzi concertati per colmare le lacune di competenze.

 “A joint decarbonisation and competitiveness plan”.

L’Europa soffre la dipendenza dai combustibili fossili provenienti da paesi terzi e suoi costi energetici sono i più alti: il prezzo europeo del gas è tre-cinque volte più elevato che negli Stati Uniti, mentre quello dell’elettricità è due-tre volte più elevato.

Rapporto Draghi. Confronto prezzi prodotti energtici

Decarbonizzazione dunque come strumento per smuovere l’economia UE dal rischio di declino e stagnazione. L’Unione Europea ha bisogno di un piano congiunto, che abbassi strutturalmente i prezzi dell’energia e conquisti i settori industriali all’abbandono dei combustibili fossili, accompagnato da una leadership nelle nuove tecnologie.

La frammentazione tra i diversi Stati membri rappresenta un ostacolo alla competitività: non più politiche energetiche nazionali scoordinate che spesso determinano rilevanti duplicazioni, standard incompatibili e mancata attenzione alle esternalità.

Nel rapporto Draghi la lotta al cambiamento climatico rimane soltanto in sottofondo.

3°  “Increasing security and reducing dependencies” .

L’Europa ha bisogno di aumentare la sicurezza e ridurre le dipendenze, deve reagire a un mondo dalla geopolitica meno stabile, dove le dipendenze stanno diventando vulnerabilità e non può più fare affidamento sugli altri per la sua sicurezza.

Data la sua elevata dipendenza dalle importazioni dalle materie prime alle tecnologie avanzate, l’UE dovrà sviluppare una vera “politica economica estera” che coordini gli accordi commerciali preferenziali e gli investimenti diretti con le nazioni ricche di risorse.

Il Rapporto propone di istituire una “EU Critical Raw Material Platform” per aggregare la domanda europea, imitando il modello giapponese: investimenti in attività minerarie e in raffinazione di CRM (Critical Raw Material), realizzazione di stoccaggi strategici, sviluppo di economia circolare.

L’Europa dovrà inoltre sviluppare una capacità industriale di difesa forte e indipendente  per soddisfare la crescente domanda di risorse e attrezzature militari e rimanere all’avanguardia nella tecnologia di difesa.

Debito in comune e federazione europea

Draghi ha presentato il suo report nella seduta del 17 settembre al parlamento Europeo, dopo l’intervento con il quale Ursula von der Leyen proponeva all’assemblea i componenti del suo nuovo esecutivo.

L’ex governatore della Banca Centrale Europea  ha insistito sulla necessità di accompagnare la transizione con un debito comune.

«Per massimizzare la produttività ed evitare il declino» ha precisato «sarà necessario un finanziamento congiunto tra gli Stati membri negli investimenti in beni pubblici europei fondamentali» e ha aggiunto perentoriamente «Se ci si oppone alla costruzione di un vero mercato unico, all’integrazione del mercato dei capitali e all’emissione del debito comune, ci si oppone ai nostri obiettivi Ue».

Il richiamo ad un autentico mercato comune è in realtà un eufemismo lessicale usato da Draghi per indicare in modo implicito un obiettivo molto più importante: la trasformazione in senso federalista dell’Unione Europea.

Se questo è lo sbocco finale, politico, della proposta contenuta nel rapporto Draghi è probabile che i decisori politici europei, influenzati dalla crescente ondata “sovranista”, riducano questo studio, ricco di proposte per contrastare il declino dell’Europa, ad una mera testimonianza.

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