Calano gli sbarchi clandestini e il Governo italiano canta vittoria. Il sito di Fratelli d’Italia riporta la dichiarazione della Croce Rossa in relazione all’hotspot di Lampedusa dove il numero segna una diminuzione del «77% rispetto a luglio 2023». Trend confermato anche dai dati complessivi del Cruscotto migrazioni del Ministero degli Interni: nel periodo 1 gennaio-7 agosto, i migranti arrivati in Italia sono stati 34.762, il 37% di quelli registrati nel periodo omologo 2023 (93.467 persone).

Sara Kelany, responsabile immigrazione di FdI, dichiara sul sito del partito che «dopo anni in cui le sinistre hanno devastato le politiche migratorie dell’Italia in nome di un immigrazionismo buonista, questo governo ha centrato l’obiettivo, difendendo le frontiere, lottando contro i trafficanti di uomini e cooperando con i paesi di provenienza e di partenza».

Passa in secondo piano che si tratti di accordi con governi autoritari, che siano implicate violazioni sistematiche dei diritti umani, che ci siano morti sparsi nel Mediterraneo e in tutto il continente africano.

Gli accordi UE per il contenimento dei flussi migratori

Da un paio di anni, si è intensificato lo sforzo dell’Unione europea per il raggiungimento di accordi di sostegno ai Governi di provenienza o transito, in modo da favorire una gestione migliore dei flussi migratori illegali.

Dopo i Memorandum conclusi con Libia e Turchia, anche grazie alle pressioni del governo italiano e alle missioni congiunte Von der Leyen-Meloni, la UE ha raggiunto intese con una lista sempre più lunga di Paesi: Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Marocco, Niger (ora denunciato dal governo golpista), oltre a quelli che i Paesi di arrivo hanno a livello bilaterale.

È la logica dell’esternalizzazione delle frontiere che scambia meno partenze con più denaro. In cambio di un supporto materiale e finanziario, i Paesi di partenza o transito si impegnano a organizzare una gestione efficiente della intercettazione e rimpatrio dei migranti, oltre a garantire il rispetto del diritto internazionale che è caposaldo irrinunciabile della UE.

Anche Tommaso Foti, capogruppo FdI alla Camera, sottolinea i «risultati di politiche che sanno programmare interventi strutturali a lungo termine e offrono possibilità di sviluppo alle nazioni coinvolte nei flussi». Ai detrattori appartenenti alle «peggiori sinistre politiche» Foti ribatte relegando le eccezioni sollevate a «polemicucce estive».

Il costo umano dell’esternalizzazione delle frontiere

Da un lato ci sono governi che esultano per i risultati ottenuti, a un costo tutto sommato trascurabile, e altri che incassano i profitti degli accordi e si danno una patina di democrazia nelle istituzioni multilaterali (si legga: ulteriori finanziamenti), a dispetto dei regimi autoritari che in molti casi li contraddistinguono. Dall’altro, c’è il costo umano della repressione, quello che si preferisce non vedere e su cui si basano le “polemicucce”.

L’ufficio Diritti Umani dell’ONU parla di quasi 1.200 morti documentate nel Sahara fino a maggio 2024 ma testimoni e ricercatori temono questa sia solo la punta di un iceberg fatto di violenze, tortura, detenzioni e respingimenti. Nell’agosto 2023, l’Ufficio ha messo sotto accusa il partenariato Ue-Tunisia perché «potrebbe dare luogo a violazioni del principio di non-refoulement e dei diritti umani dei migranti, compresi i bambini».

Il principio a cui fa riferimento è previsto dalla Convenzione di Ginevra secondo cui una persona che ha potenziale diritto a protezione internazionale non può essere deportata, esclusa o trasferita in luoghi dove la sua vita sia in pericolo, né gli può essere impedito di entrare in un Paese dove cerca protezione.

“Desert dumps” (discariche nel deserto)

È stato da poco rilasciato un “Lighthouse Report” realizzato da un pool di media investigativi europei e nord-americani, tra cui l’italiana IrpiMedia, che in un’inchiesta durata un anno, ha documentato come vengono investiti i fondi europei e come si svolgono le iniziative di contenimento dei flussi in Marocco, Tunisia e Mauritania.

L’inchiesta dimostra come l’Europa scientemente finanzi e in qualche caso sia coinvolta nella profilazione razziale ed espulsione di comunità nere dai tre Paesi, dove rifugiati ma anche lavoratori regolari vengono intercettati solo per il colore della pelle, caricati su autobus e abbandonati in luoghi remoti, senza acqua, cibo e assistenza.

Desert dumps dimostra come tale sistema sia perseguito grazie al denaro, i veicoli e l’intelligence fornita dagli Stati europei che sarebbero a conoscenza di quanto avviene nonostante i proclami di rispetto dei diritti e di monitoraggio sull’uso dei fondi distribuiti.

Un’inchiesta su più fronti

L’inchiesta si basa su fonti di molteplice natura, il cui raffronto ha permesso di delineare un quadro preciso. Il pool investigativo ha fatto ricorso a documenti ufficiali dei governi, disponibili open source o richiesti espressamente. Ci sono stati poi numerosi colloqui persone che lavorano o hanno lavorato negli uffici gestiti dai programmi europei, così come di studiosi e collaboratori delle numerose associazioni umanitarie che si occupano di migrazioni.

Soprattutto, i giornalisti investigativi hanno raccolto le testimonianze di oltre 50 sopravvissuti alle espulsioni e provenienti da Paesi sub-sahariani. Alcuni hanno fornito un supporto di fotografie e video e altro materiale è stato reperito sui social media: tutti i punti di “scarico” sono stati geolocalizzati e confrontati tra loro. Dalla Tunisia sono stati documentati 13 eventi in 10 mesi, con persone di provenienza sub-sahariana lasciate ai confini con Algeria e Libia.

Il pool ha effettuato infine diverse ricerche sul campo, filmando ad esempio le forze ausiliarie marocchine mentre rastrellano persone di colore dalle strade, per tre volte nei tre giorni di presenza a Rabat. In Mauritania, l’appostamento presso il centro di detenzione di Nouakchott ha prodotto documenti video di camion di migranti e anche del passaggio regolare di militari spagnoli. È stato filmato un autobus carico di migranti mentre lasciava il centro per abbandonare i passeggeri al confine con il Mali, peraltro in una zona di guerra.

I sopravvissuti

Si ricorderà la foto della ivoriana Fati Dosso, abbracciata per sempre alla figlia di sei anni, in mezzo al deserto. Sconvolse, anche se per poco, l’estate 2023 e divenne simbolo di una pratica vergognosa subito condannata, almeno a parole. Nell’inchiesta si trovano le targhe dei veicoli regalati dall’Europa e usati per il trasporto e scarico dei rifugiati, così come storie di paura, fame e violenza.

Fa specie il racconto di un cittadino statunitense di colore, Timothy Hucks, del suo arresto arbitrario mentre lavorava a Rabat. Ammanettato e caricato su un furgone anonimo, è stato portato alla stazione di polizia dove gli hanno preso le impronte. Dopo un interrogatorio in cui si ipotizzava la sua appartenenza a Boko Haram, è stato abbandonato in una città 200 chilometri a sud di casa sua.

Un migrante del Camerun racconta di esser stato intercettato in mare dalla guardia costiera tunisina, mentre cercava di raggiungere l’Italia su un barcone. Caricato con altri trenta su un bus, è stato abbandonato nel deserto, con ordine di camminare fino al confine con l’Algeria. Di fronte agli spari della polizia algerina, è tornato indietro, ormai senza acqua e in preda alle allucinazioni. Dopo nove giorni e circa 40 chilometri, ha trovato un passaggio per tornare al punto di partenza, la città di Sfax.

Un ottimo risultato, davvero

L’esternalizzazione delle frontiere e dei controlli migratori appare ormai come un pilastro fondamentale delle “politiche governative a lungo termine” di cui si fanno vanto i politici italiani – e non solo. La UE reputa indispensabile puntare allo sviluppo dei Paesi di origine e di transito ma nei diversi accordi esaminati dall’inchiesta, e disponibili per la pubblica consultazione, ci sono importanti omissioni.

Non si prevedono misure stringenti e chiare per assicurare che i fondi erogati dai Paesi europei e dalla UE arrivino veramente a chi ne ha bisogno. Mancano criteri per monitorare la spesa dei Paesi beneficiari, per garantire che i finanziamenti non finiscano per contribuire alla violazione dei diritti umani. Mancano, infine, norme che assicurino alla giustizia di responsabili di eventuali violazioni.

Come già documentato per Turchia, Libia e Balcani, il sistema produce effetti immediati sui numeri degli arrivi ma anche un enorme costo umano per i migranti, a cui non arriva nulla di quanto dichiaratamente destinato al loro sviluppo. Loro ricevono solo violenza e soprusi, qualche volta una morte ingiusta e non giustificabile.

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