Cosa resterà di questi Europei
Prima del suo atto finale, possiamo già dire cosa ci ha lasciato questo Campionato Europeo.
Prima del suo atto finale, possiamo già dire cosa ci ha lasciato questo Campionato Europeo.
“Brevi fotogrammi o treni in galleria, è un effetto serra che scioglie la felicità”. Quando, nel febbraio del 1989, in camicia bianca e blazer rosso, Raf si presenta sul palco di Sanremo, manca ancora qualche mese alla fine del decennio.
Cosa resterà, di questi anni ‘80, si chiede. Non ha bisogno di vederne il termine per raccontare le luci, le illusioni e le delusioni di una generazione. Allo stesso modo, senza sapere chi la spunterà tra Inghilterra e Spagna, anche noi possiamo già chiedercelo: cosa resterà di questi Europei 2024?
L’edizione più brutta degli ultimi 30 anni, ho sentito dire. Mondiali compresi. Non so se proprio la più brutta in assoluto, ma di certo ci andiamo tremendamente vicini.
Eppure le premesse per poter assistere ad uno spettacolo di alto livello c’erano tutte. L’idea di unire il debutto, o quasi, di alcune delle stelle che illumineranno il firmamento del pallone dei prossimi anni con l’ultima recita di una stirpe di campioni forse irripetibile lasciava presagire momenti epici. Battaglie da tramandare ai posteri.
Invece l’encefalogramma emozionale dell’Europeo è rimasto tendente al piatto praticamente per tutta la durata della kermesse. Pochissime storie, pochissimi picchi emotivi che ricorderemo nel tempo. La “rivelazione” di Lamine Yamal e poco altro.
Normalmente, in competizioni internazionali di questo tipo, c’è sempre un’outsider in grado di scaldare i cuori degli appassionati. Una cenerentola che diventa grande all’improvviso, sovvertendo le regole del gioco. Mai come in quest’ultimo mese, invece, pronostici e livelli sono praticamente sempre stati rispettati. Anche l’eliminazione dell’Italia, in fondo, rientra in questa categoria.
La Georgia che si qualifica agli ottavi, volendo, possiamo considerarla come una sorta di piccola impresa. Niente da togliere al merito di Kvaratskhelia, Mikautadze e compagni, ma è indubbio che il tutto sia stato “facilitato” dalla formula di un torneo dove, per farsi eliminare al primo turno, serviva proprio sbagliare tutti i calcoli e dall’aver trovato nell’ultimo match del girone un Portogallo già qualificato.
Per il resto sono praticamente sempre andate avanti le squadre più forti ad affrontarsi. Tra queste, la Spagna è l’unica ad aver espresso un gioco godibile e convincente. Una filosofia che le ha permesso di far fuori una Francia che è sempre scesa in campo con la supponenza del monarca svogliato. E se pensiamo che, da otto anni a questa parte, è sempre stata la squadra col maggior potenziale assoluto, forse anche i bilanci della gestione Deschamps vanno un attimino rivisti.
Così come gli anni ’80 hanno spostato la narrazione sociale dal noi all’io, anche in questi Europei sono i singoli fotogrammi a farla da padrone. L’addio al calcio di un titano silenzioso come Toni Kroos, le lacrime di un Ronaldo incapace di accettare il peso degli anni, per fare alcuni esempi.
Alla sostanziale scena muta di Mbappé hanno fatto da contraltare le emozioni di un sedicenne in apparecchio che realizza un gol incredibile in semifinale e rianima una nazione intera. Un po’ quanto accaduto anche con la rovesciata di Bellingham al 95’ che salva l’Inghilterra contro la Slovacchia. Il talento di Stourbridge in queste settimane ha confermato di essere uno di quei giocatori “calati dalle stelle”, ma ancora molto umorale nei suoi approcci.
Anche fuori dal campo, poco o nulla da segnalare. Ve le ricordate le polemiche di tre anni fa sull’inginocchiarsi o meno durante gli inni nazionali? Rammentate le centinaia di articoli e riflessioni in merito? Che nostalgia. Quest’anno, fatta eccezione per l’esultanza da “lupo grigio” di Demiral, poco o nulla da segnalare.
“Cosa resterà e la radio canta, una verità dentro una bugia“. È forse l’immagine più forte del testo interpretato da Raf. Lo specchio che ci permette di arrivare a quello che, fin qui, è stato l’elefante nella stanza di questo pezzo. L’Italia. Cosa resterà della Nazionale di Spalletti dopo questi Europei?
Trovo veramente difficile e poco appassionante cercare una risposta ora. Alla figuraccia in terra tedesca abbiamo reagito come sempre. Imbracciato i forconi, chiesto dimissioni, oscurato dai siti gli articoli celebrativi pubblicati nelle settimane precedenti e invocato rivoluzioni e Commissioni parlamentari. E poi siamo tornati a parlare di calciomercato e a godere per le eliminazioni altrui.
Di analisi sullo stato del sistema calcio e dello sport italiano in generale ho già scritto in passato. Sono anni che sento dirigenti, manager, allenatori ed ex calciatori chiedere rifondazioni dal basso. Ripartire dalle basi, investire sullo sviluppo giovanile e via dicendo. Ovviamente non è cambiato nulla.
Perciò mi limito ad una considerazione oggettiva: un parco giocatori che, in media, non riesce più a competere stabilmente con quello da cui pescano altre selezioni. Credo che il calcio italiano stia attraversando una fase (lunga, ve lo concedo) di transizione. Più o meno quella attraversata da Francia e Inghilterra nella prima metà degli anni ’90. Una fase terminata quando hanno cominciato ad arrivare stabilmente in Nazionale figli e nipoti degli immigrati.
Non ne faccio una questione ideologica, ma puramente statistica. In un Paese, come l’Italia, dove c’è un numero di scuole calcio che si avvicina a quello delle scuole medie, e dove la percentuale (pur in calo negli ultimi anni) di nati da genitori in cui almeno uno dei partner è straniero non è mai scesa sotto il 20% del totale, immagino sia solo questione di tempo.
Negli altri sport è già avvenuto, vedi l’atletica, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Per una serie di motivi (non tutti tecnici o legati al campo) il calcio è in ritardo, ma arriverà. E, qui, i punti di vista possono essere solo due: la consapevolezza che una maggiore concorrenza e un bacino di caratteristiche eterogenee possono aiutare ad innalzare il livello generale, oppure continuare a sbraitare contro la sostituzione etnica. La prima considerazione, ovviamente, non significa avere certezze di vittoria, ma solamente più talenti da poter sviluppare. Nel secondo caso, mi spiace, sono idee già sorpassate dalla storia.
Leggi anche >> La crisi del calcio italiano
Normalmente, a questo punto, ci si aspetta un pronostico. Il cuore direbbe Spagna, un po’ per il gioco espresso finora, un po’ perché hanno in mezzo al campo un “volante” eccezionale come Rodri. Il fastidioso brivido che sento lungo la schiena, invece, mi ricorda che l’Inghilterra sono tre partite di fila che recupera uno svantaggio e poi la porta a casa. E non succede per caso.
Quindi, arrivati alla fine di tutto questo ragionamento, chi vince in finale? Sinceramente, non lo so. Non ho nessuna certezza. Per quelle dovete citofonare ad un ex difensore molto loquace ed egoriferito. Uno che quando Raf saliva su quel palco di Sanremo, giocava negli Allievi della Sammartinese.
©RIPRODUZIONE RISERVATA