Ludovico Einaudi è uno dei pianisti contemporanei dal maggior successo, in Italia e all’estero. Nonostante ciò, ha mantenuto sempre il profilo umile dei grandi, di coloro, cioè, che sono consapevoli della propria missione di artista e lavorano duramente per migliorarsi e migliorare sempre la propria produzione musicale.

Un’opera omnia, la sua che fin dall’inizio della carriera si dimostra all’altezza, mostrando fin dalle origini elementi sonori di grande qualità e originalità.

Con album strepitosi come l’onirico “In a time lapse”, l’epico e trascinante “Divenire”, lo sperimentale e avventuroso “Nightbook”, Einaudi si spinge oltre ogni tipo di convenzione, esplorando sempre di più nuove tessiture sonore e arrangiamenti che fondono mondi musicali diversi in un linguaggio stratificato, coerente e preciso con evidenti riferimenti alla musica barocca, ma anche alla pizzica salentina, al rock sinfonico e molto altro.

Martedì 9 e mercoledì 10 luglio il grande compositore piemontese sarà in Arena, a Verona, per una doppia serata live che promette emozioni forti. “Verona è una città meravigliosa, con un pubblico abituato a musica di alta qualità”, ha spiegato il compositore in occasione di un precedente concerto nella città scaligera. “In generale per me è molto diverso quando sono da solo o con l’orchestra”, ha poi aggiunto. “Quando sono con altri musicisti sono costretto ad essere più organizzato. Quando sono da solo posso permettermi di decidere anche sul momento di fare una variazione. Mi preparo una scaletta su un quaderno, ma all’ultimo aggiungo qualcosa, la riscrivo, la modifico. A volte inserisco brani che sto ancora scrivendo per verificare che tipo di sensazioni ha il pubblico. A volte faccio improvvisazioni che poi danno origine ai brani stessi”.

Foto da Unsplash di Dolo Iglesias

La composizione

Ogni mio brano può nascere da motivi diversi. Letture, incontri, ascolti. C’è sempre il desiderio di essere attivi. Secondo me non esiste l’idea che uno stia ad aspettare l’ispirazione e a un certo punto questa ti arriva. Tutti i giorni bisogna applicarsi e lavorare. Spesso non si trova granché, poi ad un certo punto qualcosa si illumina. Questo lavoro a volte presenta aspetti meno piacevoli, perché magari l’artista si deprime e pensa di aver già detto tutto quello che aveva da dire e poi all’improvviso si accende di nuovo qualcosa e si ricomincia. Beethoven nei suoi “Quaderni” diceva che l’ispirazione è una luce molto fugace che ti appare a un certo punto. La difficoltà vera è quella di non perdere per strada questa luce e di farla crescere all’interno di una forma che devi dare per far seguire nel modo più chiaro possibile il tuo discorso. La forma serve a dare un’evoluzione temporale al suono, uno dentro l’altro, e a far sì che ci sia una sorpresa, un interesse costante e ad un certo punto saper gestire questa idea musicale e dosare nel modo giusto in modo che ci sia sempre tensione e vita, fascino, mistero. Bisogna stare attenti a non cadere”.

Ludovico Einaudi è sempre stato a metà strada fra recupero della tradizione e desiderio di innovazione, unequilibrio sempre difficile da raggiungere. “Nell’utilizzare l’armonia e la melodia si presuppone sempre una tradizione” ha spiegato.” È stata scritta una tale quantità di musica che, comunque ci si muova, si finisce per toccare le relazioni storiche: diventa quasi un gioco che si intrattiene con la memoria del passato. Spesso avverto un conflitto interiore, come un dialogo interno alla creazione tra un moto naturale espressivo e un aspetto critico: quest’ultimo è anche necessario, ma non deve sottomettere il primo, altrimenti la musica non scaturisce più in modo spontaneo”.

“Le origini di una composizione sono sempre un po’ misteriose, perché c’è una parte tecnica che si acquisisce con gli studi, ma non è sufficiente. Ci dev’essere una connessione profonda con quello che faccio e quello che sento. Se mi metto a scrivere una musica che non rispecchia un’emozione, una visione che corrisponde a qualcosa che accende delle luci emotive e intellettuali all’interno della mia vita, è come se tutto perdesse senso. La cosa più complessa è identificare quell’equilibrio tra i suoni che si mettono insieme. Le cose che si fanno hanno spesso senso in quel momento e magari nel tempo lo perdono. Per questo ci sono musiche che continuo a suonare e altre che, invece, ho abbandonato nel tempo. In ogni caso mi piace partire sempre da capo nel fare musica. Mi piace trovare ogni giorno il senso di quello che faccio.”

Foto da Unsplash di Ilenia F.

“Ogni storia è una storia diversa”

“Penso che ogni storia legata al pianoforte sia diversa”, ha dichiarato il pianista. “Spesso capita che ci sia qualcuno in famiglia che suoni. Nel mio caso è stata mia mamma che, suonando in casa, aveva un pianoforte. Ho iniziato per gioco e poi spesso dal gioco si scopre che c’è un sentimento profondo da cui non si può stare lontani. Ed è diventata un po’ la mia vita. Una necessità. Chiaramente poi diventa il tuo lavoro e questo può avere degli aspetti in qualche modo meno romantici, ma l’origine da cui si è partiti è stata una specie di innamoramento verso qualche cosa di misterioso. La musica che suonava mia madre, alcuni classici di pianoforte come Chopin o alcune canzoni popolari francesi… questo mondo e il modo di suonare di mia madre, molto particolare, senza alcuna pretesa di perfezione… era come se leggesse un libro e di tanto in tanto si soffermava su dei passaggi e questa sua “lettura privata” diventava una lettura per me di una musica molto personale”.

E sulla sua formazione, aggiunge: “Ho sempre ascoltato un po’ tutta la musica. Fin da piccolo con mia sorella ho ascoltato Bob Dylan, Jimi Hendrix e un certo tipo di rock. Insieme alla musica classica ho cominciato ad ascoltare anche altro che in qualche modo ha segnato il mio percorso di ascolto. E continuo ancora oggi ad ascoltare musica etnica e nella mia vita ho fatto viaggi mirati ad interessi musicali, per creare collaborazioni con artisti africani. Credo fermamente che non ci siano barriere musicali. Molti pensano che la musica classica sia una musica elevata. Ma penso che anche i più grandi della musica abbiano sempre un po’ frequentato altri generi di musica popolare, riuscendo proprio grazie alla loro grandezza a fonderli nella loro opera”.

Diverse culture

Foto da Unsplash di Jordan Whitfield

E a questo proposito Einaudi, che ha suonato nelle principali concert hall del pianeta, ha aggiunto: “È molto affascinante confrontarsi con culture diverse” ha commentato “È stato molto bello per me suonare in India e Giappone, dove la musica è ascoltata in modo diverso. Qualche anno fa ho suonato anche nel deserto. Per me tutto questo rappresenta una ricerca e una crescita, che mi permette di aprire le mie prospettive. Con gli africani è stato molto interessante per la sperimentazione. Con i tedeschi per le sperimentazioni elettroniche. E via così. Oggi, attraverso il web, chiunque può mettere la propria musica in rete e farla anche dall’altra parte del mondo. Tutto ciò genera un po’ di confusione nella quale a volte è difficile districarsi, ma è anche interessante alla fine cercare il filo conduttore”.

Senza il sogno e una dimensione se vogliamo anche di follia, che vada al di là della realtà, difficilmente si riescono a creare cose grandi. Ci sono quelli che limitano i propri desideri anche solo all’arco della notte e del sogno. E poi ci sono quelli che sognano di giorno. Che sono quelli che riescono ad arrivare lontano”.

Punti di riferimento

“Sicuramente fa impressione vedere altri che emulano il mio stile, perché mi sembra di aver creato una specie di orda ingestibile di uno stile che però finisco per non apprezzare più”, ha raccontato in passato. “È come se venisse preso solo l’aspetto esteriore e ne emergesse un prodotto un po’ vuoto, senza la ragione profonda da cui scaturisce il mio linguaggio. Per questo quando incontro giovani li stimolo sempre ad ascoltare anche altri musicisti con soluzioni molto interessanti e pianisticamente eccezionali”.

“Il fine del far musica è condividere insieme agli altri un momento che va al di sopra di tutte le cose che non si riescono a dire e fare senza la musica”, ha proseguito. “La musica porta la nostra esistenza a un livello spirituale più elevato. Si possono costruire architetture fantastiche che permettono di raccontare tutte le emozioni che abbiamo dentro e viverle senza un coinvolgimento personale, che forse non si potrebbe avere con tutti. La musica, in definitiva, crea questa comunione collettiva che non può che far del bene”.

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