“Le battaglie non si perdono. Si vincono sempre”. La famosa frase del medico e rivoluzionario argentino Ernesto Guevara de la Serna, detto “Il Che”, mi è tornata in mente nel leggere – in un pianto dirotto – il libro Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia, scritto da Gino Cecchettin.
Giulia Cecchettin, 22 anni, è stata uccisa dall’ex fidanzato il 22 novembre 2023 in provincia di Padova. Il caso ha fatto parecchio rumore mediatico non tanto per l’ennesimo omicidio di una donna. Ha fatto rumore perché la sorella della vittima, Elena Cecchettin, e il padre, Gino, non hanno accettato di restare in silenzio a macerare nel loro dolore.

Elena e Gino Cecchettin hanno reso “politico” (nel senso nobile del termine, ovvero di valore per la polis) un dolore privato. Hanno avuto il coraggio di dire che un omicidio – come del resto un incidente sul lavoro – non è un fatto a sé. È parte ed è frutto di un sistema, di una cultura, di uno schema. E che in questo sistema ci sono dei “poteri forti”, c’è una cultura e vi sono degli sgherri – i miserabili killer – come in tutti i meccanismi di sopraffazione.

Giulia Cecchettin viene uccisa dall’ex fidanzato – che nel libro Cara Giulia non viene mai nominato – in quello che, dovremmo averlo capito tutti, è lo schema del femminicida. Ovvero:

  • mostrarsi disperato per l’abbandono,
  • alternare rabbia a malinconia manifesta,
  • chiedere un incontro chiarificatore alla vittima designata,
  • assecondare la vittima per “testarne” il possibile controllo,
  • agitarsi per generare il conflitto, spacciandosi per parte debole,
  • colpire in modo implacabile la vittima, senza darle scampo
Una dei disegni di Giulia Cecchettin nel libro “Cara Giulia”, scritto dal padre Gino

Il racconto privato su una vita interrotta

Il libro Cara Giulia intreccia tre percorsi che si armonizzano in un racconto personale dalla forte valenza pubblica: il ricordo privato e dolente di Giulia; la denuncia della violenza e (cosa non separabile) la sopraffazione contro le donne; la chiamata a tutti noi maschi a cambiare. Il tutto in un quadro di speranza e di fiducia verso i giovani, ovvero quella generazione a cui nessuno pensa, che tutti in qualche modo usano e che viene spesso ignorata.

Penso al tuo futuro, e alla donna che saresti diventata. Penso a quante soddisfazioni avresti ricevuto. Sicuramente nel lavoro di illustratrice, libri per bambini, vignette, sono certo che avresti trovato la tua strada”. Questo scrive Gino Cecchettin nel racconto privato della figlia. È un richiamo forte per chi, come me, è un padre. Perché tantissimi padri sono orgogliosi delle proprie figlie come donne libere. E se non lo dicono, non lo urlano o non si battono per loro è per un banale motivo, quasi una forma di stupidità maschile: perché pensano di essere soli. E invece Gino Cecchettin ha il coraggio di sfidare la solitudine, le ingiurie, i bassi attacchi politici per dichiarare la sua fiducia in quello che considerava (e considera) un pilastro del suo futuro: la figlia femmina.

Il dolore privato che diventa atto politico

Ci sono azioni che la gente non ci perdona. Sono quelle azioni che rompono i riti dominanti, le narrazioni sicure, il clima culturale che ci sovrasta. Quando si ha una figlia uccisa, cosa mai puoi fare? Ti chiudi nel dolore. Chiedi giustizia. Urli contro l’assassino, il mostro, il deviato dalla norma. Invece, Elena Cecchettin, sorella di Giulia, e Gino, il papà, rompono gli schemi. Dichiarano che il loro dolore privato è un problema pubblico. E che questo problema si chiama “patriarcato”. Ma non si fermano alla generica parola “patriarcato”. Vanno oltre. Denunciano l’ipocrisia sul “bravo ragazzo”, le miserabili prese di posizione del politico perdente e da strapazzo di turno, lo sfruttamento delle donne.

In Cara Giulia, il papà Gino onora la figlia ben oltre il ricordo privato. Le vittime, da qualche altra dimensione, lo sanno che noi padri vogliamo loro bene (e così le mamme, ovvio). Quello che non si aspettano è che la loro distruzione fisica diventi argomento per denunciare la radice del femminicidio e i suoi subdoli rami di violenza: l’uccidere le donne, certo; ma anche il pagarle meno; le molestie sessuali; il tenere le donne sempre un gradino sotto; il discriminarle in quanto donne.

Ecco cosa scrive Gino Cecchettin: “Secondo i dati del rapporto delle Nazioni Unite i femminicidi nel mondo del 2022 sono stati 89.000. Questo significa 7416 al mese, 243 al giorno, quindi dieci all’ora, cioè quasi uno ogni cinque minuti. Sono i dati di una vera e propria guerra“, sottolinea il papà Gino, “che dobbiamo iniziare seriamente a combattere e che non possiamo permetterci di non vincere. Tra queste donne, nel 2023, ci sei anche tu, Giulia”.

Finisse qui, Gino Cecchettin non si sarebbe preso le offese. La sua denuncia diventa assai scomoda quando scrive: “Delle 195 nazioni sovrane riconosciute nel pianeta non ce n’è una in cui sussista uguaglianza salariale tra uomini e donne”. “Quindi, quando si parla di patriarcato“, dice papà Gino, “non si intende solo un problema attinente alle relazioni tra i generi, ma anche una differenza di chi detiene il potere. Il patrimonio, per usare la parola corretta”.

I maschi e la sfida del cambiamento

“Noi adulti abbiamo la possibilità di dare una mano alle nuove generazioni, e aiutarle a costruire il terreno su cui portare a termine il cambiamento”, scrive Gino Cecchettin, nel libro Cara Giulia.Noi possiamo guardarci dentro, possiamo andare indietro e valutare ciò che i nostri padri ci hanno trasmesso e l’educazione che abbiamo ricevuto. Ma ciò che di meglio possiamo fare è diventare un solido sostegno per questi ragazzi, e passare loro il testimone affinché portino a compimento il percorso”.

“Questo libro è iniziato con una porta rimasta aperta. Ci tengo che finisca su una porta che si apre. Perché questa porta si apre sul futuro e sulla speranza“, scrive il papà di Giulia. “Il futuro siete voi giovani. La speranza è quella che vi dobbiamo infondere noi adulti affinché abbiate la voglia e la forza di costruire un mondo migliore”.

Dal racconto privato – i gesti, le piccole manie, i luoghi privati di Giulia – papà Gino è passato all’atto politico, con a fianco la figlia maggiore Elena. Siamo di fronte a un atto che va oltre le vuote parole contro il femminicidio: chiama in campo le molestie, le discriminazioni, i soprusi che troppe donne patiscono ogni giorno. Infine, come io credo debba fare un padre, il racconto di Gino Cecchettin si chiude con un grido di battaglia, di speranza, di fiducia nei giovani.

“Le battaglie non si perdono. Si vincono sempre”, diceva “Che” Guevara. Non a caso, lo scomodo (a tutti) rivoluzionario argentino era un medico. E i medici sanno, come i giornalisti investigativi e chi fa ricerca, che il combattere è già una vittoria. Il libro Cara Giulia è comunque una vittoria sulla morte silenziosa di una splendida ragazza, Giulia Cecchettin, alla vigilia della laurea. Perché se qualcuno le ha tolto la vita, i progetti di Giulia per rendere un poco migliore questo nostro mondo sono pronti a fiorire. Questo vuol dire che, anche nelle battaglie che pensiamo perdute, da qualche parte c’è il seme di una vittoria.

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