Rana Verona a tutta birra
Contro Padova un secco 3 a 0 per proseguire la corsa alla miglior posizione in classifica in vista dei play off. Protagonista assoluto della serata Noumory.
Contro Padova un secco 3 a 0 per proseguire la corsa alla miglior posizione in classifica in vista dei play off. Protagonista assoluto della serata Noumory.
Tre a zero in poco meno di un’ora e mezzo: fra Verona e Padova finisce così, e il risultato non è mai stato in discussione. Per tutto il tempo in cui Verona rastrella i 75 punti necessari a chiudere la partita, Padova può solo inseguire. I cugini euganei (!) riescono a essere avanti solo in quattro brevissime occasioni: sull’uno a zero nel primo set; sul tre a due e sul quattro a tre nel secondo, e sull’uno a zero nel terzo.
Lo squilibrio in campo non risulta così clamoroso, a dire la verità; soprattutto nel cambio palla, Padova piazza una lunga serie di primi tempi micidiali; e alcuni dei suoi muri, anche su Keita, sono molto efficaci.
Keita, appunto. Il giovane atleta maliano è l’assoluto protagonista della partita, anche se in qualche frangente sbaglia un po’ troppo, come quando nel secondo parziale viene murato sul 14-11 e poi manda fuori una palla d’attacco sul punto immediatamente successivo; o quando – nello stesso set – attacca fuori sul 19-18, lasciando ai padovani il brivido della riconquista della parità.
Stoytchev interviene subito chiedendo un time-out, e la mossa funziona: poco dopo, infatti, Keita mette a segno un super-muro, per mettere poi un’altra incredibile palla a terra, colpita da un’altezza prodigiosa, per il 23-21 dei gialloblù. Pochi secondi dopo, il suo pallonetto un po’ troppo prevedibile e autocompiaciuto incontra però le mani del muro padovano, che si ferma in aria quel secondo in più sufficiente a far pentire il maliano di tanta sicumera. Keita viene di nuovo murato nel terzo set – e che muri – sul 4-2, poi sul 14-12 – ma qui si riscatta in souplesse, sganciando una botta mostruosa da zona 2 sul 14-13 –, un ace che fischia veloce come un proiettile sul 18-12, e di nuovo un ottimo attacco sul 23-18.
Il martello africano chiude la partita con 24 punti messi a segno, per una percentuale del 60 per cento in attacco; sono cifre che gli valgono il riconoscimento di miglior giocatore in campo, stavolta – a differenza di quello che era accaduto nell’ultimo match casalingo – effettivamente assegnato allo stesso atleta che era stato giudicato migliore dalla stampa. La metà dei punti totali (12, cioè) Keita li fa nel primo set, quando su quindici attacchi fa undici punti, per una percentuale stellare del 73 per cento.
Molto positiva anche la prova di Rok Možič, che fa diciotto punti di cui tre in battuta con tre ace (due di fila nel set finale), e diventa un miracolo di cattiveria agonistica nell’attacco sul 18-14 del terzo set e, ancora di più, sulla pipe che mette a terra per il 23-17 quando la partita è ormai quasi finita.
Nel Verona, molto bene vanno anche ricezione e i salvataggi – memorabili, per esempio, quelli di Mozic sul 5-5 e di D’Amico sul 17-14 nel secondo set. Appena un po’ più lento di riflessi, però, il sestetto veronese è sembrato in copertura sui suoi stessi attacchi.
Fra i padovani, Luca Porro dimostra di saper fare del male, soprattutto quando – nel primo set – attacca sei volte e fa sei punti, con un’impressionante percentuale del cento per cento. Due di fila – per lui come per Možič – gli ace nel terzo set.
Il primo set finisce 25-19 con un punto di Mozic; gli altri due si chiudono entrambi – sul 25-23 il secondo, e sul 25-20 il terzo – su una battuta sbagliata degli avversari: nel primo caso, da Davide Gardini, il figlio del leggendario Andrea; nel secondo, dal palleggiatore padovano Marco Falaschi, peraltro bravissimo nel suo ruolo.
Verona al sesto posto, e ora tre match uno attaccato all’altro: Perugia, Piacenza – in casa, nel giorno di San Valentino – e Milano. Ma la squadra c’è, ci crede, e si vede.
Notazione finale. Carine, eh, le divise biancorosa dei padovani: ma che difficile leggere i numerini sottili sottili stampati sulle maglie.
È possibile che a rendere tutto più difficile sia anche stato il consueto, intollerabile frastuono del palazzetto, nel quale si finisce tutti massacrati dalle urla dello speaker, che sembra inconsapevole della pessima acustica del PalaOlimpia e – anzi – ha l’aria di voler percuotere con tutta la violenza che può le viscere degli spettatori. In quella situazione diventa difficilissimo perfino sentire il rumore dei propri pensieri.
Ma si sa com’è, ormai: senza nessuno che ci spieghi quando è il momento di gioire, noi facciamo fatica a gioire da soli. È come se fossimo soldatini ai quali serve uno che li avverta del fatto che sono dentro uno show. Uno speaker che ci spieghi cosa fare. Ricorda qualcosa?
(Carissimo speaker, ti prego, urla di meno e parla di più: ti sentiremo tutti meglio, e le parolacce che ti tireremo dietro – in silenzio, per carità – saranno tante di meno).