Menzionata da Exibart tra i 222 Artisti emergenti su cui investire / 2024, pubblicazione curata dal direttore editoriale Cesare Biasini Selvaggi e presentata ad ArtVerona, Chiara Ventura è una giovane artista veronese che con la sua ricerca approfondisce la complessità della nostra epoca.

Nata a Verona nel 1997, si forma alla scuola di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Verona. Artista emergente del panorama artistico nazionale come multimedia artist performer, vanta un ricco curriculum artistico tra mostre personali e collettive, residenze artistiche, riconoscimenti e pubblicazioni. I suoi lavori sono presenti in collezioni pubbliche e private.

Dopo una formazione pittorica, all’interno del laboratorio di Giovanni Morbin all’Accademia di Belle Arti, quale ragione l’ha avvicinata all’arte performativa?

«Mi ci sono avvicinata come per necessità. La mia espressione artistica inizia con le arti visive tradizionali, dipingevo paesaggi. Nel tempo ho approfondito la mia ricerca realizzando una serie di paesaggi interferiti e rumorosi che contemplavano il suono, seguiti da un’installazione in cui il suono poteva essere ascoltato grazie a sensori di movimento e di distanza. Ho sempre avuto riferimenti teorici alla corporeità, ma non avevo ancora chiaro quanto stessi facendo, finché al primo anno di Accademia mi sono chiesta perché non ascoltare veramente il corpo.

Quindi ho preso un fonendoscopio e, con cuffie, una banda al petto anti rumore e una benda per gli occhi, ho costruito un kit per ascoltare sé stessi. Sono poi andata nei luoghi dove non mi ero ascoltata, per sentire il battito del mio cuore e i miei pensieri, il mio rumore interiore. Ho documentato questa azione nella performance Mi ascolto.

Poi da cosa nasce cosa: ho conosciuto le opere di alcuni autori degli anni 70 tra cui Gina Pane, Valie Export, Bas Jan Ader che mi hanno spinto ad approfondire il lavoro su di me. Ho quindi iniziato a lavorare sul comportamento, in primis su come il mio corpo reagiva in un determinato ambiente ricercando le corrispondenze tra una condizione interna e una esterna.

Ora il mio focus è sui comportamenti all’interno delle dinamiche di coppia, che approfondisco con Leonardo Avesani, mio compagno nella vita e co-fondatore con me e Giulio Ancona del collettivo Plurale».

Chiara Ventura, A mare, 2023, performance alla Fondazione Bevilacqua La Masa, foto di Giacomo Bianco.

Il corpo e il suo sentire sono oggi il mezzo principale della sua indagine artistica?

«Il corpo è indubbiamente per me un campo di indagine. È importante anche dal punto di vista politico: tutto il mio lavoro è politico perché riguarda le relazioni, è diretto e tagliente, ma attento a costruire una narrazione che sia poetica ed emotivamente coinvolgente».

Alcune sue performance (Mi chiamo fuori, Piatto freddo) trattano temi violenti che descrive attraverso l’utilizzo di carne macellata. Cosa intendono evidenziare?

«Volevo inserirmi in quel filone dell’arte degli anni Settanta in cui la carne veniva utilizzata come metafora di corpo. Sono performance di qualche anno fa in cui credo molto e che propongo ancora, anche se, con la consapevolezza di oggi, non userei la carne per i temi etici che solleva. Io peraltro cerco di consumarne il meno possibile e in quel periodo seguivo un’alimentazione vegana.

In Piatto freddo, nello specifico, le frasi scritte sui piatti in cui viene servita carne cruda tritata trattano di violenza. La carne macellata metaforicamente è quella umana e faccio riferimento alla violazione della dignità e dei diritti dell’essere umano. Cerco infatti di suggerire questa riflessione: “mangi, ma non guardi nel piatto dove mangi”».

Chiara Ventura, Mi chiamo fuori, still da video, 2020.

Come si integra il collettivo Plurale nella sua ricerca?

Plurale è parte della mia ricerca: se il lavoro che conduco da sola è metaforico, con il collettivo, invece, l’indagine sulla corporeità e sui comportamenti è da attivista.

Plurale, che è nato nel 2020 con Leonardo Avesani (1997) e Giulio Ancona (1997), indaga come il corpo viene condizionato politicamente attraverso l’osservazione transfemminista e queerness con un tentativo di liberazione. Abbiamo iniziato con l’indagare il linguaggio della nostra generazione per passare all’uso del linguaggio violento.

Il nostro focus è sulla generazione Z, a cui apparteniamo, le battaglie di libertà che la GenZ sta portando avanti e la cultura giovanile.

Avete realizzato recentemente dei progetti?

Abbiamo condotto un’indagine sull’estetica trap presentata in ottobre a Bologna. La musica trap oggi ci permette di avere un quadro chiarissimo sulle nuove generazioni, sui giovani di seconda generazione e sulle condizioni sociali e culturali delle periferie. Abbiamo inoltre scritto il libro Snitch – dentro la trap con Alessio Vigni, che abbiamo iniziato a presentare questo mese.

Ad ogni esposizione ci piace consegnare al pubblico un approfondimento extra artistico sul contesto che riguarda la mostra, anche questo è attivismo. L’arte è un pretesto per comunicare messaggi.

Un altro lavoro che conduciamo in parallelo con Plurale coinvolge la tematica transfemminista: cerchiamo di trattare il piacere come atto politico».

Chiara Ventura, Piatto freddo, 2020, foto di Nicola Massella.

Con Plurale avete firmato un manifesto sull’empatia: che valore rappresenta per voi?

«Secondo noi è l’unico modo oggi possibile per ricostruire un mondo migliore in cui vivere, l’unica azione concreta da applicare per riuscire a mettere esseri umani e cose sullo stesso piano e dargli pari diritto e dignità.

L’empatia è un movimento orizzontale, non è solo il sentire dentro di te l’altro. È anche una visione del quotidiano, da praticare tutti i giorni partendo da noi stessi. Forse è un’utopia, ma pensiamo che sia proprio da lì che dovremmo partire: l’empatia nei confronti di sé, come primo passo per avere rapporti sani con gli altri».

Quanto importante mettere in gioco sé stessi nelle performance?

Chiara Ventura in un ritratto di Giacomo Bianco.

«La mia biografia è cifra del mio lavoro. Se parlo di dinamiche di coppia, prendo in prestito la mia vita e la ricerca sul doppio la conduco con Leonardo Avesani, mio compagno nella vita. Anche in Plurale prendo spunto dalla mia vita reale, partendo dal particolare per ricercare un valore universale».

E quanto influisce la presenza di pubblico dal vivo? 

«Dal punto di vista artistico preferisco le performance dal vivo, anche se si sente il peso dello sguardo del pubblico e non si è mai sicuri che la reazione sia quella aspettata.

Nelle performance live il pubblico è sensorialmente coinvolto. Nelle documentazioni video e foto si perdono alcuni aspetti della fruizione diretta della performance, ma d’altro canto si possono evidenziare particolari e dettagli visivi o sonori che nell’insieme della performance dal vivo si possono perdere».

Cosa significa essere una giovane artista donna oggi in Italia in termini di parità di genere?

«Sono sempre di più le donne artiste, anche se sono ancora una minoranza. Io non sento di avere subìto il patriarcato sul lavoro, né di essere stata messa da parte perché donna. Tra noi giovani artisti non c’è disparità».

Quali opportunità può offrire Verona ai giovani che oggi vogliono intraprendere la carriera artistica?

«A mio avviso Verona non sembra offrire particolari opportunità ai giovani artisti, anche se personalmente ho avuto esperienze positive in Accademia. Ho avuto come docente Giovanni Morbin, che è anche un artista, e con il quale ho oggi una buona relazione di amicizia. La mia prima mostra è stata a Verona da Spazio Cordis, uno spazio indipendente».

Ci sono progetti rivolti anche all’estero?

«Mi piacerebbe fare un’esperienza di residenza fuori Italia, dopo due percorsi italiani, uno a Milano, da Viafarini, nel 202, e quello alla Fondazione Bevilacqua La Masa, da poco concluso. Mi interesserebbe Vienna, sto seguendo alcuni bandi e mi auguro di riuscire presto in questo obiettivo».

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