“Barbie”: l’annichilimento del maschio tra ironia e realtà
Un film divisivo da cui ci si aspettava (soprattutto per il talento di Gerwig) maggiore ironia e raffinatezza in relazione alle serissime (e forse troppe) tematiche messe in campo.
Un film divisivo da cui ci si aspettava (soprattutto per il talento di Gerwig) maggiore ironia e raffinatezza in relazione alle serissime (e forse troppe) tematiche messe in campo.
Tornano a popolarsi i cinema con code “rosa” ai botteghini: chi con magliette, pantaloni, scarpe, borse in tinta, o chi addirittura con un intero outfit: è così che si presenta il fenomeno Barbie. Rosa come simbolo di appartenenza che identifica con la famosissima bambola della Mattel. È un voler dire: “anch’io sono Barbie”, indipendentemente da come sarà il film, l’euforia è tale da mostrarsi sin da subito solidali con il film, o meglio, con la protagonista del film.
Con un outfit in nero, animata da un misto tra attrazione e avversione, sono andata anch’io a vedere Barbie. Un po’ perché amo Ryan Gosling e Margot Robbie, un po’ perché la visione del film era necessaria per poter esprimere un giudizio in toto.
Ebbene, ma quelle menti eccelse che lo definiscono un prodotto sopraffino e molto intelligente a che cosa si riferiscono in particolare? Che se ne dica, ma è impossibile non porre l’attenzione sul femminismo distorto che viene rappresentato, che insiste e persiste nel denigrare l’uomo in tutte le sue forme. Il mantra che viene propinato è: “La donna può fare tutto, la donna può essere tutto, la donna è più intelligente e capace”. E Il maschio (rigorosamente alfa) in tutto questo?
Semplice, è un comunissimo esemplare di minus habens capace di allenare i muscoli e limitato nei ragionamenti. La domanda sorge dunque spontanea: in passato si è lottato per la parità di genere o per la superiorità?
È evidente che il femminismo nel corso degli anni è molto cambiato, quello contemporaneo è becero e radicale; avevamo davvero bisogno di Barbie che ci dicesse che il patriarcato non va bene e che le donne possono esercitare le stesse professioni degli uomini? Chi non ha apprezzato questo film è necessariamente sessista o maschilista? Purtroppo, chi non viene attraversato dalla “Pink wave” e la pensa diversamente viene additato come tale, è questo il grosso limite cui si va incontro quando si tenta di parlare con una fautrice del femminismo odierno.
È necessario chiarire che non siamo superiori agli uomini, come questi non lo sono a noi donne. Adesso però chi lo spiega a quelle orde di ragazzine che ne sono uscite indottrinate con lo slogan opposto? In una società in cui non si vogliono più fare figli, non vi è più l’esigenza di costruire una famiglia, in cui il legarsi con un’altra persona diventa non arricchimento, ma limitazione della propria libertà individuale, non era necessario.
Sì, perché si dice che dopo la visione di questo film molte coppie si siano lasciate. Estremismi a parte, il cinema è un potentissimo mezzo di comunicazione, bisogna prestare attenzione ai messaggi che si decidono di veicolare soprattutto in un’epoca in cui il verbo “influenzare” è caposaldo della generazione Z. Mi aspettavo un film la cui tematica venisse trattata con intelligenza, perché è troppo facile nascondersi dietro la parola “ironia”.
Consigliano di prenderlo con leggerezza, ma per certi aspetti il film è divisivo, inconsciamente e inconsapevolmente si sceglie di identificarsi con uno dei due Team, da qui l’hashtag #teambarbie o #teamken. Sarà che appartenevo a quella categoria di bambine che le Barbie le torturava staccandogli le gambe e colorandone i capelli, ma sono donna eppure sono “Team Ken”.
Piena solidarietà alle donne, alle lotte che ci hanno permesso di essere quello che siamo oggi, ai diritti e alle libertà conquistate, riconosco e sono consapevole dei retaggi culturali e sociali che – in alcuni casi – non sono ancora stati debellati del tutto, ma non voglio e non posso sentirmi superiore all’uomo, né lo giudico un troglodita. Siamo meravigliosamente diversi e complementari.
È messo in scena uno scontro tra generi che a fine film pare acquietarsi nel momento in cui Ken comprende di essere un’entità a sé stante, che con la propria forza e vulnerabilità si scopre in grado di decidere e agire senza il consenso della blonde doll.
Qualche elemento positivo in questo film c’è; la canzone “I’m just Ken” è semplicemente fantastica, così come l’interpretazione di Ryan Gosling, perfetto nel rappresentare un Ken ingenuo e vulnerabile, ma anche un leader carismatico quando serve. Perché alla fine, diciamocelo, è Ken che ruba la scena a Barbie.
Per concludere, “Barbie” è un film che è riuscito a far parlare di sé, rendendosi accessibile anche a quella parte di pubblico che non tornava a sedersi sulle mitiche poltroncine rosse da molto tempo.
Si tratta di una brillante operazione di successo spinta da un marketing martellante e ben congegnato; a livello mediatico l’obiettivo è stato centrato dato che il miliardo di dollari di incassi è stato superato, ma cosa rimarrà tra qualche anno di questo film?
Ai posteri rosati l’ardua sentenza.
Titolo: Barbie
Regista: Greta Gerwig
Genere: commedia
Paese e anno di produzione: Stati Uniti – 2023
Cast: Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera, Kate McKinnon, Michael Cera
Voto: 5,5/10
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