La fast-fashion, ovvero la pratica di produzione di capi d’abbigliamento di bassa qualità e costo, ha un impatto rilevante su diversi aspetti che riguardano la nostra società. In un’epoca schiacciata dalla perenne ricerca di emulazione di un trend nato sui vari social, la riproduzione in tempo zero dell’ultimo vestito diventato virale sui nostri schermi è ormai una prassi quotidiana.

Le conseguenze sociali di questo fenomeno sono allarmanti. Da una parte vi è una perdita della concezione del valore artigianale dell’abbigliamento – perciò della stessa moda – e, dall’altra, l’incremento di pratiche bieche quali lo sfruttamento del lavoro – per far fronte alla costante richiesta di nuovi prodotti – o di smaltimento illegale di capi invenduti o gettati dopo poche settimane. 

C’è però chi cerca quotidianamente di contrastare la fast-fashion mettendo al centro, nuovamente, l’idea di sartorialità. Michela fatto a mano è una realtà nata proprio sui social dalla caparbietà di Michela Martini che, a 24 anni, ha deciso di concretizzare la sua passione per la moda in un negozio volto alla realizzazione di capi d’abbigliamento artigianali con tessuti naturali.

Inaugurato il 27 aprile 2024 in via XX Settembre a Verona, dopo un anno dall’apertura abbiamo parlato con Michela di fast-fashion, sartoria, tipi di clientela e anche dell’impatto sul territorio che stanno avendo i lavori di riqualificazione del quartiere.

Michela, innanzitutto volevo chiederti come sta andando il negozio ormai a un anno dall’inaugurazione.
«Il negozio sta andando bene, ma potrebbe andare meglio. Ovviamente combatto ogni giorno contro la fast-fashion. Il mio progetto nasce proprio per contrastare questo fenomeno perché creo abbigliamento sartoriale con tessuti naturali. La conseguenza è che se vieni nel mio negozio sai chi produce questi abiti e, soprattutto, sai che non uso poliestere e tutti i derivati del petrolio e della plastica per eliminare tutti gli sprechi.

La vetrina del negozio di Michela

Ho creato Michela fatto a mano perché ero contro l’idea della fast-fashion e tutto ciò che comporta. La mia base è partita dunque da questo concetto. Il negozio sta andando bene perché ci sono molte persone che lo capiscono, comprendendo perciò la sostenibilità e l’etica di questo progetto. Ovviamente però il prezzo di un capo è irrimediabilmente più elevato, dato che realizzo un capo alla volta.»

Ridare importanza all’artigianato

E in un’era pienamente votata al consumismo è difficile comprendere l’importanza del valore del singolo vestito.
«Lo capisco benissimo che si voglia avere sempre più cose, ma cerchiamo anche di entrare nell’ottica dell’idea che a stagione, ad esempio, ci compriamo due camicie al posto di comprarne dieci. I materiali però di quelle due camicie saranno fatti per durare per più anni con la conseguenza di avere un guardaroba più sostenibile.»

E a livello di clientela? Dalla tua esperienza la fast-fashion è un fenomeno che tocca un’età precisa o ormai è parte integrante della nostra società e perciò riguarda un po’ tutti.
«Dipende. Ad esempio ci sono signore di una certa età che comprendono la base del progetto, avendo però dalla loro parte anche un portafoglio diverso rispetto a una ragazza di vent’anni. Sto notando, invece, che le persone che da poco hanno avuto dei figli stanno molto più attente alla qualità del tessuto e alla sua sostenibilità, forse proprio per salvaguardare il futuro di chi ci sarà più avanti. Rimane comunque un problema economico alla base. Oppure perfino di informazione, dato che se non si è a conoscenza dell’impatto economico e ambientale della fast fashion si darà sempre poco peso alla questione.»

Uno sguardo al futuro del quartiere

Mentre a livello territoriale? In via XX Settembre sono da poco iniziati i lavori che porteranno a un rinnovamento della zona. Come stai vivendo la situazione? Ne hai risentito?
«Io lavoro anche molto su Instagram per rapportarmi con la clientela. Quando ho deciso di aprire Michela fatto a mano cercavo una zona dove ci fosse un bel flusso di persone e via XX Settembre mi sembrava il compromesso ideale. La via, secondo me, è molto in crescita. Ho letto spesso di esercenti che si lamentano di questa situazione, ma i vari media locali alla parte giovane di questa via non hanno mai fatto nessuna domanda. Non sta andando male, ma viene semplicemente fatta una cattiva comunicazione.

Molte persone con cui parlo non sanno nemmeno che si può passare a piedi in questa via. Pensano proprio che sia sbarrata. Soprattutto adesso che via XX Settembre è più pedonale, ci sarebbe ancora più possibilità di creare una rete sociale tra bar e negozi: è una grande opportunità che però non è sfruttata. Certo, ci sono i lavori ma non sono neanche troppo invadenti.»

Perciò il futuro sia di Michela fatto a mano sia del quartiere dal tuo punto di vista non potrà che migliorare.
«Sì, per quanto riguarda il mio negozio spero che un giorno riuscirò ad avere la mia linea di vestiti ma mi do tempo. Per quanto riguarda i lavori, onestamente, all’inizio ho sbuffato perché comunque un anno di lavori è molto, però dall’altra parte quello che conta veramente è il dopo. Se, appunto, ci sarà una vera riqualificazione del quartiere io non posso che esserne felice.»

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