Conosciamo tutte e tutti il grande successo della serie TV su Netflix Adolescence. Il tour de force di quattro episodi, in un funambolico piano sequenza, attorno alle vicende di Jamie (e della sua famiglia) un tredicenne accusato di omicidio.

La serie tocca diversi temi: il rapporto adulti giovani, il fallimento di certe istituzioni educative, maschile e femminile, misoginia, la situazione degli incel etc… etc…

La domanda è: cosa c’azzecca questa serie con Dante Alighieri e le sue poesie?

La risposta è in un articolo pubblicato su L’Indiscreto a firma di Johnny L. Bertolio dal titolo Adolescence, Dante a scuola e la «petrasfera». Lo studioso, autore tra l’altro di un Controcanone. La letteratura delle donne dalle origini a oggi, edito da Loescher, mette in relazione la fortunata serie televisiva e una tra le poesie più disturbanti dell’Alighieri, Così nel mio parlar voglio esser aspro. Il tema toccato dall’articolo è come certa letteratura, se non sufficientemente contestualizzata, attraverso colpevoli “silenzi educativi”, possa favorire (consapevolmente o meno) determinati atteggiamenti o pensieri in qualche modo patriarcali o misogini.

In altre parole, essendo la letteratura frutto di un pensiero maschile (e maschilista), è ovvio che quanto viene studiato a scuola – se non sufficientemente filtrato da chi insegna – vada a rinforzare e perpetuare un’ideologia sbagliata.

Questo pensiero era stato già esposto in un controverso articolo su Il Post, Storia tossica della letteratura italiana (a firma di Lorenza Pieri e Michela Volante) e dell’ancor più controverso libro di Francesco Piccolo, Son qui: m’ammazzi. I personaggi maschili nella letteratura italiana.

Io penso che assolutamente vadano ricontestualizzate molte proposte culturali e scolastiche, ma credo anche che servano strumenti adeguati e l’adeguata contestualizzazione storica.

Sono d’accordissimo sui principi generali. E in questo senso rimando a due volumetti che possono offrire chiavi di lettura interessanti per meglio muoversi nella complessità: Temi svolti di Storia letteraria del compianto Federico Sanguineti (Tempesta Editore) e Donne di carta. Personaggi femminili della letteratura italiana da Dante a Tasso, a cura di Natascia Tonelli (San Paolo Edizioni).

Detto ciò, per tornare a Adolescence e Alighieri, Bertolio punta l’attenzione su una poesia che se sul piano formale mostra tutta la maestria tecnica e sperimentale di Dante, dal punto di vista dei contenuti pone numerose perplessità.

La statua di Dante Alighieri in piazza dei Signori. Foto di Sarah Baldo

Nella canzone Dante si presenta ben lontano dal modello cortese, idealizzante e stilnovistico di Vita nova, dove Beatrice si presenta come creatura divina, accesso al trascendente. In Così nel mio parlar voglio esser aspro, Dante è stanco di restare a bocca asciutta.  Dante vuole avere soddisfazione. Dante inizia a presentare tratti forti di misoginia. Dante si è stancato delle donne. Si è stancato di esserne devoto. E se le donne non ricambieranno, lui si prenderà quello che vuole con la forza. Amore rode il cuore del poeta «a scorza a scorza». Strato dopo strato. Il cuore è scarnificato. Ma potremmo quasi dire che è “sbucciato”. Come l’aquila che divora il fegato di Prometeo. Come Apollo che scortica vivo Marsia l’impudente. La donna non è fonte di salvezza. La donna è un trauma. Una tragedia. La donna non appartiene al mondo della charitas cristiana, dell’amore trasfigurato, la donna appartiene al regno di Marte.

Dante non è più il poeta dell’amore metafisico, Dante è il poeta della vendetta. Del risentimento. È un Dante disposto a prendere la donna per le trecce e abusarne come l’orso scherza con la preda. Scrive Bertolio, a commento di questa poesia:

In questo sogno di violenza, talvolta presentato come un «tentativo di seduzione» (parole improvvide, usate pure da qualcuno nella vicenda di Artemisia Gentileschi), Dante mostra come, alla sua epoca, l’oggettificazione della donna comprendeva la possibilità di spossessamento del suo corpo, sottoposto al totale arbitrio del maschio di turno nel caso in cui le loro due volontà non si fossero incontrate a metà strada. In poche parole: lei mi ignora o, peggio, mi bullizza? Se non si auto-sacrificherà da sola avvelenandosi o buttandosi sotto un cavallo, la mia vendetta sarà spietata, la annienterò e nessun altro vorrà né potrà averla.

Johnny L. Bertolio

L’autore non intende con questo censurare i classici, o sottoporre i testi ad una revisione spietata, ma al tempo stesso auspica pure che ci sia un nuovo atteggiamento critico da parte delle docenti e dei docenti:

La «petrasfera» non può più essere ignorata e va coraggiosamente smantellata con contro-argomenti e contro-narrazioni che meritano cure e investimenti formativi. A meno che non si voglia che quanto Dante ha immaginato contro la «petra» non resti un prodotto della fantasia e della cultura del suo tempo ma sia una realtà del nostro.

Insomma, Dante – sotto sotto – un po’ pericoloso lo è. Stiamo attente e attenti.

Premesso che non credo certo che questo sia il componimento di Dante più popolare e più studiato a scuola, quindi rischio sventato; penso al contrario che questo componimento vada letto e studiato e contestualizzato, proprio per mostrare il grande percorso dantesco, la sua maturità e la sua filoginia (incredibile e rivoluzionaria per i suoi tempi).

Bertolio cade in una sorta di tranello: ovvero propone un autore, o in questo caso una poesia, senza la necessaria contestualizzazione e senza una visione più ampia della questione.

Sì, è vero, Così nel mio parlar voglio esser aspro, è una poesia fortemente misogina. Brutale. Sadica. Appartiene a un ciclo di componimenti dedicati ad una misteriosa pargoletta/Petra, una fanciulla refrattaria all’amore del poeta, totalmente indifferente, un’Antibeatrice mortifera dalla bellezza medusea capace solo di dare dolore e sofferenza. Come la Dark Lady, la Dama Bruna, che compare nei Sonetti di Shakespeare, contraltare diabolico e sensuale dell’angelico Fair Youth.

Ma come poniamo questa poesia all’interno del percorso artistico e spirituale di Dante?

Il pensiero di Dante non è un percorso monolitico o lineare. Dante è complesso. Labirintico. Inquieto. Giunge a certe verità. Le mette in discussione. Le critica. Le supera.

Abbiamo il Dante pre esilio, il Dante di Vita nova sedotto sì da certe posizioni pessimiste di Guido Cavalcanti, che parte (come tutti i poeti del suo tempo) da un’idea di amore patologica, per arrivare poi a capire che amore non è possesso. La donna amata non deve dare nulla in cambio al poeta. La donna amata deve essere amata e lodata solo per il fatto che esiste, esperienza miracolosa e salvifica (e in questo senso consiglio di leggere Donne ch’avete intelletto d’amore, magari nel bel commento di Raffaele Pinto).

Poi però abbiamo la morte di Beatrice. La condanna a morte. Un periodo di crisi. Forse anche di studi sbagliati. E Dante cambia idea. Diventa più cupo. Pessimista. Tragico. Ecco dove collocare le rime cosiddette petrose, come quella presentata da Bertolio.

Le petrose sono la selva oscura di Dante.

Ma dalla selva oscura Dante ne esce. Se ne smarca. E quindi abbiamo la Commedia. Abbiamo il ritorno a Beatrice. Abbiamo il ritorno ad un’idea di donna come meraviglia. Abbiamo la creazione di un personaggio che giustamente Elena Ferrante definisce come “possibile delle donne”. Possibile da esplorare e rivendicare.

Quindi sì, Dante è stato misogino, in uno dei momenti più bui della sua vita, è stato come gli altri, anzi, più degli altri ha riversato questo suo odio in versi tra i più crudeli e dissonanti di tutti i tempi. Ma da quella crisi ha trovato la strada, l’uscita, e l’uscita non poteva che essere tornare ad un femminile sano, innamorato, integrato dentro di lui.

E quando Beatrice, sulla cima del Paradiso Terrestre, rivedrà Dante, dopo dieci anni dalla morte, non ci saranno bacini o sospiri, ma ci sarà un cazziatone colossale, che durerà ben due canti, dove Beatrice umilierà Dante per questi pensieri d’odio, per queste poesie così distanti da quella sensibilità di partenza:

Non ti dovea gravar le penne in giuso,
  ad aspettar più colpo, o pargoletta
  o altra novità con sì breve uso.

Le rime petrose hanno “gravato” in basso le ali di Dante. Non gli hanno permesso di volare alto. E quindi sì, Dante ammette le sue colpe. Piange. Dichiara il fallimento.

Questa è l’unica contestualizzazione necessaria per capire quella poesia e come questa poesia si ponga davvero a ribadire quanto Dante sia moderno e necessario.

Le petrose sono (anche) la testimonianza dell’errore di Dante, della strada smarrita. Dante è da studiare e ammirare proprio perché a partire dai suoi errori ha saputo rinnovare sé stesso, rigenerarsi. Allora sì avrà ancora qualcosa da dire.

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