Dopo aver pubblicato diversi racconti, la scrittrice Manuela Montanaro giunge al suo primo romanzo e rivela una penna capace di evocare atmosfere lontane facendole sentire e vivere come vicine. Eppure siamo in South Dakota, nell’ultimo avamposto prima del Monte Rushmore, attorno alla piccola città di Keystone, in quell’America profonda e distante dai grattacieli delle metropoli.

L’incredibile storia di Callista Wood che morì otto volte, pubblicato all’inizio di questo mese, da NEO Edizioni, con la prefazione dello scrittore statunitense Chris Offutt, sarà presentato a Verona martedì 22 aprile, alla libreria Pagina12, con la presenza dell’autrice e dell’editor Alessandra Minervini.

È un libro che sorprende dalla prima all’ultima pagina, a partire dalla struttura, composta da capitoli in cui i personaggi si raccontano senza filtri, mettendo in luce i loro difetti, le esperienze di vita talvolta borderline e le loro intime confessioni. Ma la vera sorpresa risiede in alcuni accorgimenti di scrittura (quasi) impercettibili, ma essenziali per la piena comprensione del racconto. Dettagli che si presentano come piccoli semi o briciole di pane da seguire lungo le pagine, trasformandoci in moderni Pollicino. Una dimensione fiabesca? Non esattamente. Piuttosto, un sottile tocco di magia che avvolge le parole, poiché le situazioni narrate sembrano sfuggire a una spiegazione puramente razionale.

Attraverso dialoghi serrati, essenziali, ma intrisi di ironia e di una sottile vena lirica, prendono vita numerose voci e personaggi. Di alcuni non conosciamo i tratti fisici, ma li vediamo emergere con forza dalle pagine attraverso le loro azioni: come Michael Clarke, sempre pronto con il suo fucile che non conosce polvere, o Seraphine Jackson, che ha trascorso anni da sola in una capanna nel bosco, priva di acqua e luce.

In alcuni casi sono uomini e donne a cui la vita ha regalato poco, eppure si adattano e trovano un modo per risolvere i loro problemi. Tra loro Arleen, che sceglie coraggiosamente di vendere il suo corpo per arrotondare il magro salario e accantonare la somma necessaria all’operazione delle figlie, così da regalare loro una vita indipendente e migliore.

Maternità fuori dagli schemi anche quella di Leonore Robbins, che preparava «il Kucken migliore dello stato» con farina, mele e vaniglia in una sgangherata roulotte, nel desiderio di uno scampolo di famiglia “normale”. Leonore, capace di regalare ali per la libertà a suo figlio seppure nel dolore di salutarlo per sempre, e dice: «Che male c’è a desiderare la felicità di tuo figlio?»

«Il cielo non ti sembra la groppa di un Appaloosa?» si chiedono due giovani in ascolto e in pieno accordo con la natura circostante. Le Black Hills con le loro foreste e ruscelli sono il teatro naturale delle vicende narrate, natura non di per sé benevola: dietro lo spostamento delle foglie può celarsi un puma ed è subito paura, oppure dal terreno affiora uno scheletro risalente a decenni prima. Gli scoiattoli, opportunamente scuoiati con l’ossidiana diventano commestibili per chi sa cacciarli con una semplice fionda ma «Le colline nascondo le bestie selvatiche, non i segreti».

In questa piccola comunità c’è chi parte, studia al college, lavora all’università e vive a New York, ma ritorna a Keystone per un funerale, intrecciando in qualche modo le vicende del romanzo. Si tratta di Amanda Jones, una delle gemelle di Arleen e Theodore. Amanda ha una dote unica: riesce a percepire i sussurri più lievi delle persone intorno a sé, «anche a distanza di mezzo miglio». E quei sussurri ripetono un nome: Callista Wood.

Manuela Montanaro

La personaggia Callista, che dà il titolo al libro, è la più misteriosa di tutti. Fuggita da una riserva dei nativi Lakota Sioux, fa perdere le sue tracce, confonde le indagini dello sceriffo locale ed è il motore dell’intreccio non lineare del libro. «Callista era una bestia selvatica, la puoi pure mettere in casa, darle da mangiare e offrirle un riparo dal freddo ma, se lasci la porta aperta, non ci penserà due volte a tornare nei boschi».

Durante la lettura, si percepisce un brivido, un cambio di ritmo nella narrazione: la comunità locale si trova a fronteggiare sgomento e angoscia per le misteriose sparizioni di bambini, eventi a cui viene attribuita la responsabilità di una leggendaria strega, come è accaduto ripetutamente nella storia. Tra attimi di paura e racconti che si intrecciano e si contraddicono, emerge improvvisamente una luce intensa e rassicurante. È un gesto di generosità inaspettato e disinteressato, capace di unire e riscaldare l’intera comunità.

Non esiste natura ostile, vita di privazioni o un passato segnato da droga e prigione che possano giustificare un gesto così controcorrente: da esso emerge un messaggio di speranza e fiducia, capace di spezzare l’indifferenza e la solitudine dilaganti. Un valore che l’autrice trasmette con straordinaria chiarezza e determinazione in questo romanzo.

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