Niente aggravante della crudeltà per Filippo Turetta, nonostante le numerose coltellate (davvero tante, oltre 70) inflitte a Giulia Cecchettin. Molti, comprensibilmente, hanno criticato con forza questa parte della decisione.

Ora, ogni parte di una sentenza è liberamente criticabile. È bene, tuttavia, prima di farlo, conoscere approfonditamente il quadro complessivo, per provare a “vedere le cose come sono”, e non invece da una prospettiva alterata.

Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo. Il ragazzo passerà quindi vari decenni in carcere, in aspra solitudine, tanto per la lunghezza della pena che per le necessità di protezione rispetto a possibili gesti violenti di altri detenuti. Si tratta della pena più severa possibile nel nostro ordinamento, tanto che in diversi casi la questione della costituzionalità dell’ergastolo è stata portata davanti alla Corte costituzionale.  La Corte ha sempre escluso che l’ergastolo sia incostituzionale, fermo restando il fatto che, all’interno del carcere, dovrebbero esistere adeguati programmi finalizzati alla “rieducazione del condannato” (è questa l’espressione – un po’ datata, ma comunque chiara – usata dall’art. 27 della Costituzione).

Le parole utilizzate dalla Corte d’Assise per escludere le attenuanti generiche e, quindi, per motivare l’ergastolo, sono molto importanti. I giudici hanno parlato degli “abietti motivi di arcaica sopraffazione” che hanno generato il femminicidio: “motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna”, E’ significativo, e purtroppo non accade sempre, che parole esplicite come queste vengano utilizzate in una sentenza.

Quando i giudici applicano la legge, e quindi anche quando riconoscono o escludono le aggravanti o attenuanti di un delitto, non possono decidere “a buon senso”, Devono, invece, verificare se sussistano, o meno, i requisiti che la legge richiede per applicare le varie norme.

Nel sistema delle nostre norme penali, l’aggravante della crudeltà presuppone, in un omicidio, che l’assassino abbia utilizzato verso la vittima violenze crudeli “ulteriori” rispetto a quelle necessarie per ucciderla. A torto o a ragione, i giudici hanno ritenuto che, date le circostanze del fatto e il profilo del Turetta, ciò non sia avvenuto. Tuttavia, grazie alla negazione delle attenuanti generiche, l’esclusione della crudeltà non ha portato i giudici ad applicare una pena inferiore rispetto a quella massima possibile (ergastolo).

Va altresì ricordato che Turetta potrebbe presentare appello contro la pena dell’ergastolo. Una condanna così severa può reggere in appello solo quando la motivazione è inattaccabile. Ora, la motivazione con la quale sono state escluse le attenuanti generiche (e quindi inflitto l’ergastolo) è inattaccabile (ed anche culturalmente apprezzabile). Se i giudici avessero invece motivato l’ergastolo (anche) con l’aggravante della crudeltà, sarebbe stato forse meno difficile, in sede di impugnazione, sostituire l’ergastolo con una pena meno grave.

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