La decisione del premier britannico di proiettare la serie “Adolescence” nelle scuole del Regno Unito ha acceso un faro su una produzione televisiva che non si limita a intrattenere, ma che scava a fondo nelle ferite della società contemporanea. Questo provvedimento, motivato dalla volontà di sensibilizzare i giovani sui pericoli della “manosfera” e sulle dinamiche estremamente tossiche che possono svilupparsi nel world wide web e sui canali social, sottolinea l’impatto sociale di un’opera che non ha paura di affrontare temi scomodi e lo fa con un realismo a dir poco disarmante.

Il lato oscuro del web: la “manosfera” e gli “incel”

Adolescence” si distingue per la sua capacità di portare all’attenzione del grande pubblico, e in particolare dei genitori, nella stragrande maggioranza dei casi ignari, fenomeni come la manosfera e la sottocultura incel, spesso sconosciuti o sottovalutati.

La manosfera rappresenta un insieme eterogeneo di comunità online, forum e social media in cui si diffondono ideologie maschiliste, misogine e talvolta estremiste. Propaganda violenta che può generare comportamenti violenti. Spazi virtuali che diventano veri e propri luoghi di aggregazione per uomini che si sentono emarginati, frustrati o arrabbiati nei confronti dell’universo femminile, alimentando reciprocamente un clima di odio e risentimento estremamente pericolosi.

All’interno della manosfera si sviluppano poi diverse sottoculture, tra cui quella degli incel (involuntary celibates, celibi involontari), uomini cioè che si percepiscono come incapaci di avere relazioni romantiche o sessuali con le donne, e attribuiscono questa condizione a un presunto complotto femminile o a una presunta ingiustizia sociale. Questo senso di frustrazione si trasforma spesso in rabbia e odio verso le donne, considerate responsabili della loro condizione di “sfigati” in un corto circuito mentale che può generare mostri. Come nel caso rappresentato dalla serie.

Un viaggio nell’abisso: la narrazione di “Adolescence”

Adolescence, però, non si limita a denunciare i rischi del web, ma esplora le radici di un disagio che si manifesta in forme estreme, svelando le dinamiche psicologiche e sociali che alimentano a dismisura questi fenomeni. Attraverso una narrazione cruda e senza filtri, quest’opera ci conduce in un viaggio nell’abisso dell’adolescenza, un’età di transizione segnata da fragilità, rabbia e ricerca di identità.

Ashley Walters

La forza della serie firmata da Philip Barantini risiede anche nella sua capacità di andare oltre gli stereotipi, offrendo ritratti complessi di adolescenti che lottano per trovare la propria identità in un mondo che sembra voler remare costantemente loro contro. A dare vita a questi personaggi sono peraltro attori di grandissimo talento, per lo più sconosciuti in Italia e capaci di trasmettere tutta la gamma di emozioni che può caratterizzare una famiglia o delle persone che si imbattono in una vicenda drammatica come quella raccontata.

Stephen Graham, nei panni del padre del protagonista, offre una performance a dir poco magistrale, un mix di forza e vulnerabilità che rende il personaggio profondamente umano. Erin Doherty, la psicologa del terzo episodio, ci regala un’interpretazione intensa, capace di trasmettere tutta la complessità emotiva del suo ruolo. Owen Cooper, il bambino protagonista, ci fa sentire tutta la rabbia e la frustrazione di un adolescente in crisi e sentiremo certamente parlare ancora di lui, in futuro. Ashley Walters, l’ispettore di polizia, ci offre un ritratto credibile di un uomo segnato dalle indagini e dalle difficoltà di districare la matassa psicologica dell’accusato. Faye Marsay e Christine Tremarco, infine, completano un cast nel complesso di grande talento, che rende la serie un’esperienza indimenticabile. A tutto questo si aggiunge la scelta straordinaria di realizzare ciascun episodio come un unico piano sequenza, che rende ognuno di essi un piccolo capolavoro di regia e tecnica.

Un monito per il futuro: l’impatto sociale di “Adolescence”

Adolescence” è una serie che fa e farà riflettere, che scuote le coscienze, che non ti lascia indifferente e che anche a distanza di giorni dalla conclusione della sua visione ti rimane sottopelle, come un tarlo da cui è difficile staccarsi. Perché mette in discussione le nostre certezze, ci disorienta e ci trasmette dubbi immensi. La sua importanza risiede, però, anche nella sua capacità di aprire un dialogo necessario fra generazioni, di far luce su un disagio adolescenziale che troppo spesso viene ignorato o minimizzato. Fino a quando non accade qualche evento drammatico, che ci lascia senza parole.

Christine Tremarco e Stephen Graham

La decisione di Starmer di proiettare la serie Netflix nelle scuole sottolinea il suo potenziale come strumento educativo per sensibilizzare i giovani sui pericoli insiti nella loro età e promuovere una cultura del rispetto e dell’uguaglianza. Andrebbe, però, fatto vedere più ai loro genitori, perché ai ragazzi la serie – purtroppo – non racconta molto di più di quanto già non conoscano. Sono i genitori, al contrario, a cadere spesso “dal pero” – come si dice in gergo – di fronte alla realtà completamente sconosciuta che l’opera mette di fronte a loro.

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