Biblioteca Capitolare di Verona: passato e futuro di un tesoro tutto da scoprire
Secoli di storia alle spalle, ma un domani ancora tutto da scrivere. L'intervista a don Bruno Fasani, Prefetto di questa importante istituzione culturale.

Secoli di storia alle spalle, ma un domani ancora tutto da scrivere. L'intervista a don Bruno Fasani, Prefetto di questa importante istituzione culturale.
La Biblioteca Capitolare di Verona è un luogo di straordinario valore storico e culturale. Considerata la biblioteca più antica d’Europa ancora in attività, conserva manoscritti di inestimabile valore e rappresenta un punto di riferimento per studiosi e appassionati di tutto il mondo. Negli ultimi anni, grazie a un approccio innovativo e dinamico, ha visto una crescita significativa in termini di visibilità, accessibilità e valorizzazione.
Ne parliamo con il Prefetto, Don Bruno Fasani, che da quando ha assunto quel ruolo è riuscito a dare un impulso decisivo alla sua trasformazione.
Don Bruno, iniziamo con chiederle qual è, secondo lei, la vera essenza della Biblioteca Capitolare?
«La Capitolare non è solo un luogo dove si custodisce la cultura: è un ponte tra epoche, un testimone della storia dell’umanità. Qui dentro ci sono le voci di chi ci ha preceduti, il pensiero di secoli, il lavoro instancabile di monaci, studiosi e copisti che hanno tramandato il sapere. Il nostro compito oggi è quello di onorare questa eredità, rendendola viva e attuale per le nuove generazioni.»
Sotto la sua direzione, negli ultimi anni, la Biblioteca Capitolare ha vissuto una trasformazione significativa. Può riassumerci i momenti chiave di questo processo e gli obiettivi che vi siete posti per il futuro?
«Inaspettatamente, quattordici anni fa i canonici della Cattedrale mi hanno eletto Prefetto della Biblioteca Capitolare. Ci tengo a sottolineare che la Capitolare è proprietà del Capitolo dei Canonici della Cattedrale e non della Diocesi. Questo le garantisce un’autonomia gestionale, ma significa anche che non riceve alcun finanziamento pubblico.Quando mi è stata affidata, la situazione era complicata: pochi fondi, pochissimi visitatori – solo qualche studioso ogni tanto e solo su prenotazione – e una struttura da mantenere senza risorse adeguate. La prima reazione è stata quasi di sconforto: mi sono chiesto perché avessero scelto proprio me. Poi ho capito che forse la mia esperienza come comunicatore poteva fare la differenza.Ho iniziato semplicemente raccontando ciò che questa biblioteca custodisce. Ho cercato di creare curiosità intorno alla Capitolare, organizzando visite guidate su prenotazione per ottenere qualche piccolo fondo con cui coprire le spese minime. Ma mi ero dato due obiettivi chiari: da un lato, rilanciare il rapporto con il mondo accademico, perché questa biblioteca custodisce 1300 codici antichissimi, un patrimonio dell’umanità che merita di essere studiato e valorizzato; dall’altro, creare una sezione museale aperta al pubblico, che potesse contribuire a sostenere economicamente la Capitolare attraverso il turismo culturale.All’inizio ho percepito qualche scetticismo, ma nel 2019 ho creato la Fondazione Biblioteca Capitolare, un passaggio che ha permesso di ottenere dai canonici la gestione autonoma della struttura e di trovare un prezioso partner economico, individuato nella famiglia Bauli, che ci ha sostenuti nel primo passo. Da quel momento, con un consiglio di amministrazione competente e una gestione più strutturata, abbiamo avviato un percorso di crescita.»
In cosa consiste questa evoluzione?
«Negli ultimi anni ci siamo concentrati su due aspetti fondamentali: la digitalizzazione e, come dicevo, l’apertura al pubblico. La digitalizzazione è un processo complesso, che permette di rendere fruibili online manoscritti di valore inestimabile, tutelandoli dall’usura del tempo e dai rischi legati alla loro consultazione diretta. Questo consente agli studiosi di tutto il mondo di accedere ai nostri tesori senza doverli manipolare fisicamente. Parallelamente, abbiamo lavorato per avvicinare il grande pubblico alla Capitolare. Per troppo tempo questa biblioteca è rimasta un luogo per pochi, quasi nascosta. Oggi vogliamo che i veronesi e tutti gli appassionati di storia e cultura possano scoprire il suo immenso patrimonio. Abbiamo avviato visite guidate, eventi, collaborazioni con istituti di ricerca e anche attività didattiche per le scuole. Inoltre, ci stiamo impegnando nella conservazione dei manoscritti, un lavoro che richiede competenze altissime e tecnologie avanzate. La sfida è proteggere il passato rendendolo accessibile nel presente e per il futuro.»
Quali sono stati i risultati più evidenti di questa trasformazione?
«Dal 2019 a oggi abbiamo fatto passi da gigante. Siamo partiti praticamente da zero e oggi abbiamo cinque persone assunte a tempo pieno, oltre a numerosi collaboratori esterni. Abbiamo aperto una nuova sezione museale e, a fronte di una previsione iniziale di 12.000 visitatori all’anno, nel 2024 ne abbiamo accolti 18.000 paganti e un totale di 28.000 visitatori. Questo dimostra che il pubblico risponde quando si offre un’esperienza culturale ben comunicata. Abbiamo anche investito nella comunicazione digitale, collaborando con un’agenzia specializzata. Oggi siamo presenti su Facebook, Instagram, perché è fondamentale intercettare il pubblico dove si trova. E i dati ci dicono che il 52% dei nostri visitatori è straniero e il 48% italiano. Non sono turisti che arrivano per caso, ma persone che hanno saputo della Biblioteca attraverso i social o altri canali e hanno scelto di visitarla in modo mirato.»
Parlava poco fa anche del rapporto con il mondo accademico. Quali sono le collaborazioni attuali?
«Oggi lavoriamo con università di tutto il mondo: Los Angeles, Rochester, Seton Hall negli Stati Uniti, la Sorbona di Parigi, Lisbona, Amburgo, Ginevra, Göttingen, e diverse università italiane come Bologna e Verona, oltre al CNR di Firenze. Gli studiosi si concentrano su codici di valore unico. Qui conserviamo l’unico manoscritto al mondo che riporta il diritto romano del II secolo, le Istituzioni di Gaio, un documento fondamentale per la storia del diritto. Oppure il De Civitate Dei di Sant’Agostino, la prima copia esistente al mondo, scritta intorno al 420, quando l’opera non era ancora completata.
Abbiamo il Sacramentario Veronese, il primo libro liturgico della storia del cristianesimo, risalente a 1500 anni fa, e l’Indovinello Veronese, uno dei primi documenti in volgare. Grazie alla collaborazione con gli americani (l’UCLA, University of California Los Angeles, EMEL, Early Manuscripts Electronic Library, e Rochester University), stiamo utilizzando tecnologie avanzate per leggere i palinsesti, ovvero pergamene riscritte più volte. Il progetto si chiama Palimpsests in danger e recentemente, grazie a un bombardamento di particelle che reagiscono ai diversi componenti chimici dell’inchiostro, siamo riusciti a leggere uno scritto di Apuleio, autore del Metamorphoseon (o L’asino d’oro), che finora era noto solo da una copia del XIII secolo. La nostra potrebbe essere datata tra il III e il IV secolo d.C., il che la renderebbe un unicum mondiale.»
Guardando al futuro, quali sono le prossime sfide per la Biblioteca Capitolare?
«Abbiamo ancora molto da fare. Sul piano accademico, vogliamo continuare a investire nella digitalizzazione e nelle collaborazioni con le università, per rendere accessibili i nostri codici a un pubblico sempre più vasto. Sul fronte museale, vogliamo ampliare l’esperienza di visita, offrendo nuovi percorsi e migliorando ulteriormente la fruibilità degli spazi. Ci piacerebbe anche coinvolgere sempre di più la città di Verona. Questa biblioteca non è solo un patrimonio mondiale, è soprattutto un’eredità dei veronesi, e vogliamo che la sentano come un luogo vivo, da scoprire e valorizzare. La Capitolare ha attraversato secoli di storia e oggi più che mai vogliamo che continui a essere un faro culturale per le generazioni future.»
Verona sta diventando un punto di riferimento internazionale per lo studio delle pergamene antiche. Come si sta concretizzando questo progetto?
«Sì, è qualcosa che si sta delineando con grande entusiasmo. La spinta è arrivata dagli studiosi americani, in particolare dal gruppo dell’Università di Los Angeles, che hanno visto in Verona il luogo ideale per creare un hub culturale dedicato alla lettura e allo studio delle pergamene antiche. Lo scorso novembre, qui erano presenti studiosi da 14 nazioni diverse: un evento straordinario che ci ha fatto capire il potenziale di questa iniziativa. Il nostro obiettivo è acquistare macchinari di ultima generazione in grado di leggere i palinsesti, cioè quelle pergamene che nel corso dei secoli sono state riutilizzate più volte per la scrittura e che nascondono sotto la superficie testi antichissimi. Se riuscissimo a dotarci di queste tecnologie, Verona potrebbe diventare il punto di riferimento mondiale per questo tipo di studi. Significherebbe avere un flusso continuo di ricercatori internazionali, con un impatto non solo culturale, ma anche economico per la città.»
Quindi il sogno è far sì che Verona non sia solo la città di Giulietta e Romeo, ma anche un polo di eccellenza per la ricerca?
«Esattamente! Pensiamo a Firenze e all’Opificio delle Pietre Dure: è un’eccellenza nel restauro, un punto di riferimento internazionale. Noi potremmo fare lo stesso per lo studio delle pergamene. E non è solo un mio sogno, ma un’idea che sta prendendo sempre più forma grazie alla collaborazione con studiosi di tutto il mondo.»
Tutto questo, però, richiede spazi adeguati. Quali sono le principali sfide che state affrontando su questo fronte?
«Abbiamo gli spazi, ma servono fondi per ristrutturarli. La priorità oggi è duplice: da un lato, ampliare la parte museale al piano terra, per offrire ai visitatori un’esperienza ancora più immersiva; dall’altro, ristrutturare una palazzina adiacente per farne il cuore del nostro hub culturale. Il problema è che non riceviamo finanziamenti pubblici. La biblioteca vive solo grazie alla generosità di chi crede in questo progetto. Se qualche grande azienda volesse legare il proprio nome a questa realtà, il suo investimento avrebbe un impatto duraturo, ben oltre il successo effimero di una sponsorizzazione a un singolo evento.»
E il pubblico veronese? Sta cambiando il rapporto dei cittadini con la biblioteca?
«Assolutamente sì. Un tempo i veronesi non conoscevano la biblioteca semplicemente perché non era accessibile. Era riservata solo a pochi studiosi. Oggi, invece, è aperta a tutti, e la percezione sta cambiando. Sempre più persone sanno della sua esistenza e vogliono scoprirla.»
A questo punto, chi volesse sostenere la biblioteca capitolare, come può farlo?
«Ci sono tante modalità: donazioni, sponsorizzazioni, o semplicemente venendo a visitare la biblioteca e partecipando alle nostre attività. Ogni contributo, piccolo o grande, ci aiuta a far crescere questo progetto e a garantire che un patrimonio unico al mondo possa essere studiato e valorizzato come merita.»
Appare evidente che lei abbia portato un approccio imprenditoriale a un’istituzione culturale e che questo stia portando i suoi frutti. I numeri e la visibilità lo dimostrano, così come la percezione che la città sta maturando sulla biblioteca. Fatti i dovuti distinguo, viene in mente un altro esempio, sempre in città: quello di Palazzo Maffei, dove un privato ha valorizzato un gioiello e l’ha reso accessibile al pubblico. Potremmo dire che la Biblioteca Capitolare sta facendo qualcosa di simile? E pensa che questo possa essere un modello anche per le istituzioni pubbliche?
«Verona è piena di contenitori straordinari che potrebbero diventare poli culturali di livello internazionale: Castel San Pietro, l’Arsenale, Palazzo Forti… Sono spazi incredibili, ma spesso rimangono sottoutilizzati o male gestiti. La verità è che, al di là del colore politico, c’è sempre stata una difficoltà a dare continuità e visione strategica alla gestione del patrimonio culturale. Quello che stiamo cercando di fare con la Biblioteca Capitolare è dimostrare che una gestione moderna, scientifica e professionale porta risultati concreti. Serve un cambio di mentalità: non basta conservare, bisogna comunicare, valorizzare, aprirsi al mondo.»
Quindi, secondo lei, il problema sta nelle nomine e nella gestione delle istituzioni culturali?
«Esatto. La politica dovrebbe avere il coraggio di mettere al primo posto la competenza e non l’appartenenza. Quando si gestisce un museo, un teatro, un’istituzione culturale, bisogna affidarsi a persone preparate, che abbiano visione, esperienza e sensibilità. Io su questo sono molto chiaro: quando ne parlerò all’incontro con Confartigianato e i sindaci, sarò inflessibile. Se non si cambia approccio, continueremo a perdere occasioni.»
E la Chiesa? Ha ancora potenzialità inespresse in ambito culturale?
«Sì, ma anche qui bisogna smettere di ragionare “alla parrocchiale”. La Chiesa ha un patrimonio artistico, storico e documentale enorme, ma servono professionalità per gestirlo. Anche la comunicazione va fatta con serietà, perché oggi è uno strumento straordinario per far conoscere e valorizzare il patrimonio culturale. Quando abbiamo progettato il museo della Biblioteca Capitolare, siamo andati a studiare i migliori esempi in Italia e nel mondo. Abbiamo consultato esperti, fatto più incontri con professionisti, analizzato diversi modelli prima di scegliere quello giusto. Nel 2025 non ci si può più affidare all’improvvisazione. Vale per le istituzioni pubbliche, vale per la Chiesa, vale per tutti.»
A proposito di futuro, guardando ai prossimi dieci anni, qual è il suo sogno?
«Fra dieci anni mi vedo sicuramente più vecchio (ride, ndr). Probabilmente non sarò più qui, ma quello che mi interessa non è dove sarò io, ma dove sarà la Biblioteca Capitolare. Io sogno di lasciarla come un hub culturale di livello internazionale, un luogo dove studiosi da tutto il mondo vengono a fare ricerca, dove la tecnologia ci permette di leggere i palinsesti nascosti nelle pergamene, dove il museo è un’esperienza straordinaria per chi lo visita. Voglio che un domani, chi entrerà qui, possa dire: “Ma come hanno fatto a realizzare una cosa così bella e curata?”. Vorrei che la Biblioteca Capitolare diventasse un punto di riferimento mondiale, un luogo che tutti sappiano che vale la pena visitare.»
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