30 paesi, 35 porti… la Vespucci e il suo approdo a Venezia
L’ultima tappa del giro del mondo iniziato nel 2023 sarà a giugno, nel porto di Genova. Nei giorni scorsi era a Venezia, in laguna. E anche noi siamo saliti a bordo.

L’ultima tappa del giro del mondo iniziato nel 2023 sarà a giugno, nel porto di Genova. Nei giorni scorsi era a Venezia, in laguna. E anche noi siamo saliti a bordo.
Di aggettivi o di modi per descriverla ne ha tanti la Vespucci. Il più conosciuto è “la nave più bella al mondo”, ed è quello che più le si addice. Lo si avverte non appena, sbucando da una delle tortuose calle di Venezia, si iniziano a intravvedere, in tutta la loro imponenza, gli alberi maestri, le vele e il tripudio intricato di corde, anelli, ganci, scialuppe, ponti, ponticelli… reti.
La grande nave, nella laguna di Venezia, sembra a strizzare l’occhio a tanti secoli prima della sua realizzazione. Sembra infatti di vederlo – in mezzo a quel fiume di persone accorse per ammirarla – un grande uomo del Medioevo… Marco Polo. Ma il destino della “nostra” Vespucci è diverso e non è quello del fascino esotico dell’esplorazione del celebre veneziano del “Milione” ma è quello di un sontuoso veliero della Marina Militare, costruito nel 1931 a Castellammare di Stabia, per l’addestramento di ufficiali e allievi afferenti all’Accademia Navale di Livorno.
I tre giorni in laguna – con l’inaugurazione affidata a navi e gondole a farle da saluto, per una commemorazione che sa di rievocazione e di fasti storici, con imbarcazioni dagli stili e dalle funzioni differenti – hanno permesso lo scorso weekend di vivere una buona dose di orgoglio, innanzitutto per il capolavoro di ingegneria che il veliero stesso suscita già alla vista dalla prospettiva terra… e chissà chi l’osservava dalle isolette appena di fronte quanto, ancor più, può aver apprezzato. Il veliero… le migliaia di persone in attesa, l’uniforme degli ufficiali, il colore dei palazzi, i merletti e l’intricata commistione degli stili bizantino, gotico, rinascimentale e barocco che li caratterizzano, tutti assieme a rendere omaggio alla nostra storia.
Pur sotto la pioggia, non appena saliti a bordo, ogni istante diventa meraviglia, voglia di scoprire. Non c’è il cielo azzurro a far da cornice al contrasto con il bianco delle vele ma un colore plumbeo che permette, altrettanto, di vivere ancor più la vita del mare aperto. L’aria salmastra, ancor più densa d’umidità; il vento e i flutti che scrosciano e fanno ondeggiare lo scafo; le cromature dei pomelli che permettono l’ancoraggio colmi di goccioline, le pozze d’acqua nelle quali, quando i raggi di sole tornano a fendere le nuvole sotto la pioggia, riflettono i passi delle fortunate persone che hanno avuto la possibilità di accedervi nei tre giorni di ormeggio nel capoluogo del Veneto, ne sono testimonianza.
Per i tre giorni a Venezia si parla di trentamila persone ad attendere il proprio turno, trentamila uomini, donne e bambini trepidanti di salirvi, ansiosi di lasciare il selciato di Riva san Biasio per vivere tutto questo dalla prospettiva rialzata del veliero, tutti immersi nella dimensione del legno e dei suoi crepitii. Così, circondati da telefoni cellulari e da migliaia di scatti e autoscatti, ci siamo incamminati, in fila a osservare, a sorridere come fossimo ragazzini che scoprono per la prima volta qualcosa di nuovo. E di bello!
Osserviamo una fila inizialmente ordinata che va via via scomponendosi, osserviamo il moto di ognuno seguire la propria emozione, a cercare il proprio scorcio, il proprio punto di vista. A terra l’Arsenale, il Circolo Ufficiali, il Museo del Mare… a bordo il mistero svelato: quel fortino di legno, quello scrigno, quel segreto di potenza, innovazione e solidità per una volta è accessibile a tutti. Novantaquattro anni e non sentirli, “la Vespucci”, cento metri di nave, duemila cinquecento metri quadrati di vele e tanto altro. Poi scritte, targhe, motti… la porta d’accesso all’area degli ufficiali. Tutti sottocoperta!
(C) RIPRODUZIONE RISERVATA