Riapre il CPR di Torino in cui si suicidò Moussa Balde
Forti polemiche e contestazioni per la riapertura del centro chiuso due anni fa a seguito del suicidio del giovane ragazzo africano e di altre due morti per assenza di cure.

Forti polemiche e contestazioni per la riapertura del centro chiuso due anni fa a seguito del suicidio del giovane ragazzo africano e di altre due morti per assenza di cure.
Il 25 marzo ha riaperto il CPR (Centro Permanente per il Rimpatrio) che si trova a Torino, all’angolo tra corso Brunelleschi e via Santa Maria Mazzarello. Molte le contestazioni di associazioni e movimenti torinesi contrari alla riapertura del centro, chiuso oltre due anni fa per le pessime condizioni in cui versava, per i continui atti di violenza ai danni dei migranti, e tre persone morte.
Le associazioni impegnate nelle lotte per i diritti per i migranti avevano denunciato e comprovato le pessime condizioni igienico sanitarie presenti presso il CPR di Torino, i continui maltrattamenti dei migranti da parte delle guardie e i frequenti casi di autolesionismo. Tutto comprovato e documentato in modo inconfutabile. Tra i casi più tragici c’è il suicidio di Moussa Balde e le morti di Hassan Nejl e Faisal Hossein.
Il 23 maggio 2021 segna una tragica pagina nella storia del CPR di Torino, diventando il giorno del suicidio di Moussa Balde. Moussa, un giovane di soli 23 anni originario della Guinea, era stato trasferito al CPR dopo essere stato trovato senza documenti durante un controllo, avvenuto successivamente a un violento pestaggio subito da tre uomini a Ventimiglia. Così, Moussa è passato dall’essere vittima di un’aggressione brutale a essere trattato come colpevole per la mancanza di documenti.
È stato trasferito al CPR di Torino e immediatamente collocato in isolamento in un’area denominata “Ospitaletto”. Si tratta di uno spazio che dovrebbe fungere da presidio medico, ma che risulta del tutto inadeguato: è un ambiente freddo, composto da 19 celle, tutte spoglie, buie e prive di spazi comuni. Chi viene confinato in questa sezione vive in isolamento all’interno della propria cella. È proprio in una di queste celle che Moussa ha scelto di togliersi la vita, piuttosto che affrontare il rimpatrio in Guinea, il Paese da cui era fuggito nella speranza di costruirsi un futuro migliore. Un luogo dove non intravedeva possibilità per sé, che lo aveva costretto a scappare e dove la morte gli è parsa l’unica via d’uscita meno dolorosa.
Nello stesso CPR ci sono stati altri due morti: Hassan Nejl e Faisal Hossein. Non si sono suicidati ma sono morti per mancanza di cure. Hassan Nejl è morto nel 2018, era entrato nel CPR da poco più di dieci giorni e, come tutti, senza aver commesso alcun reato, attendeva di conoscere il proprio destino all’interno di quel maledetto centro. La salute di Hassan era precaria. La notte della sua morte stava molto male e i suoi compagni di cella hanno urlato chiedendo aiuto e cure per il loro amico, ma quelle cure non sono mai arrivate e Hassan è morto. L’anno seguente, il 9 luglio 2019, Faisal Hossein perderà la vita. Faisal, 32 anni, originario del Bangladesh, è morto nell’area “Ospitaletto” mentre era solo in cella. Cosa sia successo a Faisal rimane un mistero, poiché le telecamere erano spente e il suo corpo è stato trovato solo diverse ore dopo il decesso. L’autopsia ha concluso che si è trattato di arresto cardiaco.
“Il CPR di Torino è una ferita nello stato di diritto” recita in apertura il documento dal titolo “Il libro nero del CPR di Torino” redatto dall’ASGI, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, un documento nato a seguito di questi tre tragici eventi, a seguito di altre testimonianze di atti di violenza e di autolesionismo da parte di altri migranti. Un documento che racconta nel dettaglio lo stato pietoso e le condizioni disumane del CPR di Torino e il trattamento altrettanto disumano riservato ai migranti in attesa di rimpatrio.
Un CPR come tanti altri: Torino, Corso Brunelleschi, simile a Roma, Ponte Galeria. Nel 2024, il CILD (Coalizione Italiana Libertà e Diritti) ha pubblicato un rapporto intitolato “Chiusi in gabbia: viaggio nell’inferno del CPR di Ponte Galeria”. Anche qui, a Ponte Galeria, si è verificato un tragico episodio, il suicidio di Ousmane Sylla. Il CPR di Ponte Galeria, al pari di quello di Milano in Via Corelli, è stato chiuso dopo l’accertamento di gravi violazioni dei diritti umani.
Al momento della chiusura, il presidente dell’Associazione Naga ha affermato:
“Con la chiusura del CPR di via Corelli, Milano si libera di un luogo di violenze, violazioni dei diritti fondamentali e razzismo istituzionale”
I CPR di Torino come quello di Roma e Milano ma anche di Isonzo, Brindisi e tutti gli altri centri sparsi in tutta Italia. Luoghi i cui, nonostante le prove della sistematica violazione dei diritti umani, continuano ad esistere, a proliferare e a riaprire come nel caso di Torino.
Una riapertura che non ha lasciato indifferente la città, nello specifico le associazioni e i movimenti impegnati e sensibili ai i diritti dei migranti, che hanno organizzato un presidio contro la riapertura del centro, un presidio partecipato che ha visto alcuni attimi di tensione tra manifestanti e forze dell’ordine.
Tutto questo avviene mentre, sempre a Torino, si sta svolgendo il processo legato alla morte di Moussa Balde. Un procedimento giudiziario che vede imputati per il reato di omicidio colposo Annalisa Spataro, all’epoca direttrice del centro per conto della società Gespa, vincitrice dell’appalto per la gestione del CPR di Torino, e Fulvio Pitanti, il medico che predispose l’isolamento di Moussa. Fu proprio in quell’isolamento che Moussa scelse la morte, preferendola alle sofferenze di una vita segnata dal rimpatrio.
A Moussa Balde è dedicata la scuola d’Italiano del Laboratorio Autogestito Paratod@s
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