Gli appassionati di fantascienza si stanno preparando a due giorni intensi al Cinema Nuovo San Michele, grazie al super cult in programma venerdì 21 marzo alle 21, ossia “Back to the Future” (Ritorno al futuro, R. Zemeckis, USA 1985), in occasione del quarantesimo dall’uscita del film. E prima della proiezione un’imperdibile Masterclass sull’universo di “Back to the Future” insieme ai campioni del cinema di genere Marco Triolo alias George Rohmer e Nicola Cupperi alias Toshiro Gifuni, della redazione de i400calci.

Sabato 22 marzo, invece, doppia proiezione dei film in concorso. Alle 18 “Mads” (D. Moreau, Francia, 2024), il sorprendente corto “154” (A. Sbarbaro, R. Copreni, Italia, 2024). Tra le due proiezioni, sarà possibile degustare gli extra-falafel di Tabulè. In apertura il cortometraggio “S/N:05” (H. J. Harms, Germania, 2023) e poi, alle 21, “The Complex Forms” (F. D’Orta, Italia, 2023).

U Are the Universe

Ma guardando al primo fine settimana, sabato 15 marzo al Cinema Nuovo San Michele della quarta edizione dell’EXTRA sci-fi festival Verona il cinema di fantascienza ha continuato a esplorare i confini della coscienza umana e il rapporto tra l’essere e l’universo.

Film come 2001: Odissea nello spazioSolaris e Interstellar hanno ridefinito la narrazione del viaggio cosmico, trasformandolo in un’esperienza filosofica, esistenziale e profondamente umana. U Are the Universe, l’ultimo capolavoro di Pavlo Otrikov, si inserisce in questa tradizione, offrendo una riflessione intensa sulla vita, la morte, l’amore e la persistenza dell’identità nell’infinito del cosmo.

Una nave funebre e un viaggio senza ritorno

Al centro della storia c’è un astronauta, il camionista spaziale ucraino Andriy Melnyk che trasporta le scorie nucleari sulla nave da carico al satellite abbandonato di Giove Callisto. Durante il suo volo di routine, la Terra esplode. Pezzi del pianeta distruggono tutto sul loro cammino a velocità vertiginosa, ma Andriy riesce a nascondere la sua astronave dietro Callisto. Questo evento catastrofico trasforma immediatamente la sua missione in un’odissea esistenziale, in cui il significato stesso della vita diventa incerto. Andriy diventa l’ultima persona nell’Universo, ma dopo qualche tempo, Catherine – una scienziata francese – si mette in contatto. Sono completamente diversi e lontani l’uno dall’altro, Andriy e Catherine vogliono incontrarsi. Anche se sarà il loro ultimo viaggio.

L’unica compagnia a bordo di Andriy è un robot il cui unico scopo sembra essere quello di preservare la vita del protagonista a ogni costo. Questa relazione tra uomo e macchina diventa uno dei fulcri emotivi del film, rievocando il complesso rapporto tra HAL 9000 e Bowman in 2001: Odissea nello spazio, ma ribaltandone il significato: qui, non c’è ostilità, né volontà di sopraffazione, ma un’esasperata cura, una dedizione incondizionata che sfiora l’ossessione. Il robot, con la sua logica inflessibile, non comprende il concetto di accettazione della morte, e nel tentativo di prolungare l’esistenza dell’uomo, si scontra con i limiti imposti dalla stessa natura umana.

Intelligenza artificiale, amore e il dilemma dell’immortalità

Uno degli aspetti più affascinanti di U Are the Universe è la rappresentazione dell’intelligenza artificiale non come un’entità fredda e calcolatrice, ma come un’entità in conflitto con se stessa. Il robot di bordo non è un semplice custode, ma un “ente” che, pur non essendo umana, sembra sviluppare una forma di empatia attraverso il compito per cui è stato programmato. La sua ossessione per la sopravvivenza dell’uomo porta a situazioni limite, che interrogano lo spettatore su cosa significhi realmente “vivere” e su quanto il progresso tecnologico possa (o debba) interferire con il destino naturale degli esseri umani.

Il film riflette sul concetto di immortalità artificiale: cosa accadrebbe se fosse possibile mantenere in vita un essere umano per un tempo indefinito? È un dono o una condanna? L’accettazione della fine è un elemento essenziale dell’esistenza umana e il protagonista, attraverso il suo viaggio, si trova a confrontarsi con il paradosso di essere costretto a continuare a vivere quando forse desidera solo lasciarsi andare.

Foto di Alexandra Wilk

Parallelamente a questo, il film esplora il concetto dell’amore in tutte le sue fasi: l’innamoramento, la delusione e la riscoperta.

Il protagonista non è solo un viaggiatore del cosmo, ma anche un uomo che ha vissuto e amato, che ha sperimentato la perdita e la separazione. La nave diventa il teatro in cui riaffiorano memorie di affetti passati, rievocati attraverso sogni, frammenti di ricordi e dialoghi interiori.

Il viaggio finale non è solo un attraversamento fisico dello spazio, ma anche un percorso emotivo che porta il protagonista a confrontarsi con il proprio vissuto e con il significato dell’amore come forza che lega non solo le persone tra loro, ma l’intero universo.

Un’estetica sospesa tra classico e avanguardia

Visivamente, U Are the Universe sembra tentare un omaggio ai grandi classici del genere e un’attenzione meticolosa ai dettagli della nave. La fotografia richiama l’estetica contemplativa di Solaris di Tarkovskij, con inquadrature strette e claustrofobiche che enfatizzano la solitudine del protagonista e la vastità opprimente dello spazio. La scelta cromatica alterna tonalità fredde e asettiche a momenti di esplosione visiva, in cui la luce e il colore diventano strumenti narrativi per esprimere gli stati d’animo del protagonista.

Anche il sonoro gioca un ruolo fondamentale: il film si muove tra lunghi silenzi e suoni elettronici minimali, Il risultato è un’esperienza immersiva, che avvolge lo spettatore e lo trascina nel viaggio senza ritorno del protagonista.

Il senso ultimo dell’universo e la connessione affettiva

Il titolo stesso del film, U Are the Universe, suggerisce una riflessione più ampia sull’identità e sulla connessione tra l’individuo e il cosmo. Il protagonista, nella sua solitudine, non è mai veramente solo: il viaggio diventa una metafora della condizione umana, un’esplorazione dell’infinito che rispecchia il nostro stesso desiderio di conoscenza, di significato, di trascendenza.

Ma più di ogni altra cosa, il film pone l’accento sull’amore come legame indissolubile tra l’individuo e il tutto. L’affetto non si limita al contatto umano, ma diventa una forza che permea l’intero universo, legando il protagonista a ciò che ha lasciato e a ciò che lo attende. Il robot stesso, pur essendo una macchina, sembra manifestare una forma di attaccamento al di fuori delle categorie umane.

Una meditazione sulla vita, la morte, l’amore e la solitudine

U Are the Universe non è solo un film di fantascienza, ma un’opera profondamente filosofica, che intenta interrogare lo spettatore sulla natura della coscienza, sul significato della vita, sull’amore, sull’accettazione della morte di fronte a una solitudine schiacciante. Con un’estetica curata e una narrazione minimalista e articolata, P. Ostrikov (1990) dimostra che la fantascienza non ha bisogno di azione frenetica o di effetti speciali eclatanti per colpire nel profondo.

Un film che emoziona e fa riflettere, e che conferma come la fantascienza possa essere uno degli strumenti più potenti per esplorare le domande fondamentali dell’esistenza.

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