Palestina, Ucraina, Russia e Stati Uniti: dove va il mondo?
Tre panel al Festival del Giornalismo di Verona su Medioriente, Stati Uniti, Russia, Ucraina e Georgia e sulle prospettive future dei conflitti in corso e delle super-potenze.

Tre panel al Festival del Giornalismo di Verona su Medioriente, Stati Uniti, Russia, Ucraina e Georgia e sulle prospettive future dei conflitti in corso e delle super-potenze.
L’ultima giornata della quinta edizione del Festival del Giornalismo di Verona è stata contraddistinta da una serie di incontri nel pomeriggio dedicati all’analisi dei principali temi di politica estera. Nello specifico la guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, quella tra Russia e Ucraina e il nuovo corso statunitense dopo la rielezione di Donald Trump.
Domenica 16 marzo Fucina Machiavelli ha ospitato tre panel dedicati a questi temi che hanno portato il pubblico presente a riflettere sul presente, ma soprattutto sul futuro, di questi conflitti.
Il primo incontro, alle ore 15, dal titolo “Medio Oriente: un nuovo inizio?” ha visto protagoniste le giornaliste Alice Speri – vincitrice del Premio “Antonio Megalizzi” 2025 – e Bianca Senatore, con la moderazione del direttore di Verona Fedele Luca Passarini.
Entrambe hanno lavorato sul campo in Medio Oriente e hanno fornito il punto di vista dei palestinesi sulla guerra scatenatasi all’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Una realtà lontana dalla narrazione dei media, sostiene Senatore: «tanti palestinesi non erano d’accordo con il pogrom che è stato il 7 ottobre perché sapevano quali sarebbero state le conseguenze. Tanti si sono soffermati sull’orrore sperimentato in Israele e sugli ostaggi, però anche nelle settimane successive il mondo ha raccontato che tutti a Gaza erano contenti di questo attacco. Non era vero».
Senatore ha raccontato dei colleghi – molti suoi amici – palestinesi, gli unici a poter raccontare l’orrore dell’invasione di Israele della Striscia di Gaza. «Quasi 200 giornalisti palestinesi sono stati ammazzati e non è stata data loro dignità, essendo state le uniche fonti di notizie dalla Striscia».
Speri si è soffermata su come sono stati visti e continuano ad essere visti da fuori questi giornalisti da parte di alcuni colleghi. «È incredibile che ci siano colleghi che sminuiscono il loro lavoro, che stanno svolgendo in condizioni disumane. Si parlava di 200 morti, anche durante la tregua ne sono morti tre. Ha sempre prevalso il fatto che le notizie non arrivassero da giornalisti americani o europei. Io sarei andata, ma Israele ha bloccato l’accesso ai giornalisti stranieri».
Vivendo a New York, Speri ha vissuto anche le difficoltà della stampa statunitense di raccontare ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza. «Negli Stati Uniti chi provava a creare contesto veniva bollato come sostenitore di Hamas o antisemita. È gravissimo perché il nostro lavoro di giornalisti è spiegare le cose inspiegabili. La violenza del 7 ottobre è stata indescrivibile, ma dobbiamo anche trovare le parole per spiegarla. In queste situazioni difficili il lavoro dobbiamo farlo meglio, non tirarci indietro».
Subito dopo, alle 16.30, è stato il turno dei giornalisti Matteo Muzio e Alberto Bellotto, con la moderazione del giornalista Ernesto Kieffer, e dell’analisi dei primi mesi della seconda presidenza Trump negli Stati Uniti.
L’incontro non si è soffermato unicamente sulle trattative che il presidente Usa sta portando avanti tra Russia e Ucraina nel tentativo di siglare un cessate il fuoco, ma ha provato a dare una risposta al perché di questo riavvicinamento tra States e Russia.
Entra in gioco in questo contesto la Cina, Paese che guarda con attenzione ai conflitti in corso nel mondo e che continua a pianificare l’invasione di Taiwan. «Prima o poi succederà. Non sappiamo se sarà un’infiltrazione lenta o un’operazione su vasta scala. Dopodiché il grande tema è quanto può essere costoso per la Cina invadere Taiwan» ha affermato Bellotto.
Trump su questo tema, ha quindi commentato Muzio, vuole «fare la Yalta 4.0 con Russia e Cina» lasciando ai due Paesi una loro fetta di influenza perché «penso che lui voglia un mondo dove le nazioni forti possono fare quello che vogliono, dove il diritto internazionale cede il passo alla legge del più forte».
In tutto questo che ruolo può giocare l’Europa? Bellotto ha suggerito in primis di contrastare la guerra dei dazi non rispondendo direttamente a Trump, ma agendo sui mercati finanziari andando a danneggiare le big-tech americane, portando loro a pressare il presidente degli Usa per un annullamento delle tariffe sui prodotti d’importazione.
Un’azione unita che comporta la presenza convinta dell’Italia: «All’inizio l’Italia sembrava il grande mediatore, in questo momento però deve stare attenta a diventare un Arlecchino servitore di due padroni e dovrà scegliere da che parte stare sulla difesa dell’Ucraina e sul libero scambio, non cercando scappatoie temporanee con gli Stati Uniti», ha commentato Muzio.
Ha chiuso questo pomeriggio dedicato agli esteri, alle ore 18, il panel dedicato alla Russia e alle mire imperialistiche di Vladimir Putin. Presenti i giornalisti Christian Rocca, Yulia Demidova e Nona Mikhelidze, con la moderazione del giornalista Stefano Verzé.
Quando si parla di “imperialismo russo” bisogna considerare – ha dichiarato Demidova – che «l’approccio imperialista Putin l’ha sempre avuto, solo che nel 2000 aveva ancora l’illusione di provare ad essere amico dell’Occidente e onestamente ci era riuscito. La Russia è entrata nel G8 e ha attuato la “diplomazia del gas” per diffondere la sua influenza in Europa».
A questo bisogna aggiungere il fatto che la parola “democrazia” in Russia ha un’accezione negativa – sempre secondo Demidova – in particolare dopo il governo Yeltsin. Mikhelidze ha sottolineato invece come queste mire di Putin siano ben avvertite negli Stati confinanti: «Non c’è nessuna espansione ma un allargamento della Nato, perché alcuni Paesi si sono sentiti insicuri ad essere vicini alla Russia».
Se i vicini della Russia si adoperano per contrastare il russkiy mir (il “mondo russo”), gli Stati Uniti, grazie a Trump, si stanno riavvicinando. «Trump non solo sta parteggiando per la Russia ma ha demolito il mondo libero e messo in discussione l’articolo 5 della Nato che ha garantito la protezione dell’Europa Occidentale. Indebolendo la Nato e la sua forza di deterrenza sta aprendo le praterie a Vladimir Putin» ha sostenuto Rocca.
L’Unione Europea sperava con le sue sanzioni – dopo lo scoppio della guerra in Ucraina – di indebolire le fondamenta di questo “impero” di Vladimir Putin, invece secondo Rocca «la situazione è molto peggiorata. C’è una generazione di ventenni e trentenni indottrinati che pensano che questo sia il futuro del loro Paese».
Un indottrinamento che passa dalla chiusura dei musei sui gulag e dalla modifica dei testi scolastici, dove vengono riabilitati i crimini di Stalin, ha sottolineato Demidova, mentre gli oppositori – 2 milioni – vivono tutti fuori dai confini russi.
E mentre il mondo guarda all’Ucraina, c’è un altro Paese a forte rischio, la Georgia, dove sulle ultime elezioni vinte dal filorusso Bidzina Ivanishvili pesano le accuse di brogli.
«La Georgia è l’esperimento riuscito di Putin. È governata da un oligarca georgiano che si è arricchito in Russia negli anni Novanta e che, come tutti, non è stato capace di portare via i soldi e rendersi indipendente dal sistema governativo russo» ha concluso Mikhelidze.
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