Il panel con la linguista Vera Gheno e la giornalista Annamaria Testa, moderato dalla giornalista Elena Guerra, è stato uno degli eventi più attesi del programma del Festival del Giornalismo di Verona 2025. La partecipazione del pubblico è stata significativa, riempiendo la Fucina Machiavelli nella mattinata di domenica 16 marzo.

L’evento, incentrato sulla “cura delle parole”, è stato sponsorizzato da Eurotecnica, con la partecipazione della titolare Chiara Bighignoli: «La nostra azienda opera a Verona da oltre 50 anni ed è un piacere sostenere iniziative culturali nella città. Grazie a tutti voi per questa opportunità».

Annamaria Testa ha inaugurato l’incontro, accompagnando il pubblico in un’analisi approfondita del significato delle parole, sottolineando che «ci troviamo di fronte a un bombardamento sensoriale e informativo senza precedenti nella storia, rendendo sempre più complesso orientarsi in questo universo ridondante e caotico».

La giornalista ha dimostrato come una frase semplice, come “Bella giornata oggi”, possa assumere significati diversi in base a quale elemento viene modificato: la struttura, cambiando l’ordine delle parole o la punteggiatura; la forma espressiva, variando la posizione, il carattere o il colore; e il contesto, aggiungendo altro testo, una struttura grafica o un’immagine.

Vera Gheno parla durante il Festival del Giornalismo di Verona 2025

Sulla prima caratteristica, Testa si concentra in particolare sulla cancellazione: «È molto più incisiva del semplice non dire. Quando cancelliamo solo una parte, mettiamo in risalto ciò che rimane», commenta, citando come esempio le prime pagine dei giornali australiani, pubblicate completamente censurate nell’ottobre 2019, in segno di protesta contro la censura.

Sulla forma espressiva, e in particolare sul colore, Testa si ispira al codice cromatico delle aziende: «L’aggiunta di colore trasmette una vibrazione emotiva. È un elemento essenziale nei loghi. Bastano solo 90 secondi per farsi un’idea di un marchio basandosi sull’aspetto del logo, e la decisione di acquisto è influenzata dal colore del logo in una percentuale che varia dal 62% al 90%».

Questa presentazione si conclude sottolineando le rilevanti problematiche introdotte dai social media: «Interpretare i social media è estremamente complesso. Uno dei principali problemi, rispetto alla stampa tradizionale, è l’assenza di un’impaginazione che orienti la lettura. Tutto appare uniforme, lasciandoci vulnerabili. Immagini false e video deepfake rendono ancora più difficile la comprensione e l’interpretazione dei contenuti. Il nostro impegno come cittadini consapevoli e responsabili deve essere ancora più forte».

Collegandosi a questa riflessione, Vera Gheno ha evidenziato come sia mutato l’obiettivo per cui questi strumenti vengono utilizzati: «È chiaro che i media non si limitano a informare, ma mirano anche a generare profitto. Quando si entra nella logica del capitalismo dell’informazione, dove polarizzare il discorso e attirare click diventa fondamentale, perché lo scontro nel fango porta risultati in termini di engagement, il titolo acquista un ruolo ancora più cruciale». 

Un cambiamento nel linguaggio che, secondo Gheno, non è stato improvviso o accelerato negli ultimi 5-6 anni, ma che affonda le sue radici nella massificazione delle comunità virtuali. Queste ultime, nate come piccole isole – forum o newsgroup – a metà degli anni Novanta, hanno subito una trasformazione significativa: «Ormai nessuno mette più in dubbio lo stato di onlife teorizzato da Floridi. Non è cambiata l’attitudine, ma l’uso dei social. Nei newsgroup, nessuno traeva guadagno dalle discussioni interne. Poi è arrivato il denaro. Quando il social segue la logica del profitto, tutto cambia. Io ho avuto 30 anni per imparare; molti sono arrivati dopo il boom del 2005, trovando tavoli già apparecchiati ma senza alcuna istruzione su come utilizzarli».

La proliferazione delle piattaforme e il bombardamento di notizie a cui siamo esposti, spiega Gheno, è devastante poiché «tutti i punti di vista vengono equiparati». La linguista chiarisce: «Questo porta a una percezione distorta della democrazia, che viene enfatizzata anche dai mass media quando affermano “Siamo tutti sullo stesso livello”. Questa non è democrazia, è caos. La vera ragione è che la polarizzazione rende».

Come si sviluppano gli anticorpi in questo contesto? Vera Gheno consiglia di prendere spunto da interventi come quello di Annamaria Testa al Festival del Giornalismo per approfondire le tecniche di contrasto alla disinformazione: «Abbiamo bisogno di lezioni come quella di Annamaria, che ci insegnano a fare pre-bunking, ossia a riconoscere quando qualcuno sta cercando di rifilarti una falsità. Questo perché, una volta che una fake news comincia a circolare, la smentita non viene letta da nessuno, in quanto non si allinea ai nostri bias».

Ci sono cinque miliardi di persone connesse ai social che, in media, trascorrono 2 ore al giorno «senza fare nulla di realmente rilevante, ma contribuendo ad arricchire i gestori attraverso la vendita di spazi pubblicitari e dei nostri dati», afferma Testa, che punta il dito contro i “dark pattern”, ovvero interfacce come il tasto “Mi piace” di Instagram, progettate per offrire gratificazione immediata. Secondo lei, però, esiste un ottimo antidoto a cui possiamo affidarci: «Torniamo a leggere i quotidiani come forma di igiene dell’attenzione».

Annamaria Testa

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