L’incontro di venerdì 14 alla Libreria Feltrinelli di via Quattro Spade ha segnato uno sviluppo fondamentale per il caso Moussa Diarra. Il dialogo infatti, promosso dall’associazione Razzismo Brutta storia in collaborazione con il cartello “Nella mia città nessuno è straniero”, si è svolto nell’ambito della Settimana contro il razzismo e ha visto partecipi il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi, la scrittrice Nogaye Ndiaye, il responsabile dello Sportello sociale per i diritti Youssef Moukrim e la senatrice Ilaria Cucchi, mediati dalla giornalista Angiola Petronio del dorso veronese del Corriere della Sera. L’appuntamento si inserisce nel programma nazionale con cui la casa editrice Feltrinelli festeggia i suoi 70 anni di attività.

La tavola rotonda dal titolo “Violenza e diritti interrotti: quando è lo Stato a fare ingiustizia” aveva come obiettivo e tema principale l’omicidio dello scorso 20 ottobre del maliano da parte di un agente della polizia della Polfer e il contesto cittadino e politico nel quale si è collocato. Il caso, ancora aperto, è stato preso a cuore dalla stessa senatrice Cucchi, che lo ha portato in un’interrogazione parlamentare a dicembre ed è ancora in attesa di risposta.

Troppo silenzio intorno alla vicenda di Moussa Diarra

L’importanza dell’evento è stata segnata dall’ampia partecipazione emotiva e fisica: la sala gremita e le numerose domande e applausi hanno rincuorato sulla sensibilità dei veronesi alla questione. La presenza poi di Djemagan, fratello di Moussa già presente alla conferenza stampa in Senato del 22 novembre, ha reso l’incontro il primo dialogo dopo mesi di silenzi istituzionali e non.

A detta della stessa giornalista Petronio, infatti, «in questi cinque mesi di Moussa noi non sappiamo più nulla, né la famiglia né i legali sanno più niente di lui. Il corpo di Moussa è da cinque mesi in una cella frigorifera». La giornalista del Corriere del Veneto ha inoltre ricordato la vita di Moussa prima di arrivare al Ghibellin fuggiasco: le torture subite in Libia che hanno ucciso il terzo fratello, il viaggio verso l’Italia e la regolarità dei suoi documenti, il lavoro nei campi. «Uno di quelli che ci fa arrivare la frutta e la verdura a tavola e che a sera ci dimentichiamo che esista».

L’avvocato di Stefano Cucchi lavorerà al caso di Moussa

Ilaria Cucchi, dopo aver chiesto un applauso per il pubblico, ha ricordato l’incontro con il fratello di Moussa: «ci siamo conosciuti quattro mesi fa alla conferenza stampa in Senato, devo dire che questa sera ho faticato a riconoscerlo, ho dovuto chiedere se fosse lui». Djemagan a dicembre aveva chiesto di non trattare il caso come quello di uno straniero e di avere fiducia nella giustizia, perché a volte sembra che ci siano delle vite che contano meno delle altre.

Un sentimento rimarcato anche dalla senatrice: «vedo nella sua espressione quello che io, Patrizia Aldrovandi e tante altre famiglie hanno dovuto vivere sulla propria pelle. Quel senso di abbandono e di tradimento da parte delle istituzioni, la fatica di non veder riconosciuto il giusto valore alla vita del proprio caro».

Nell’interrogazione parlamentare della senatrice Cucchi si toccano svariati punti che riguardano il durante e il dopo della faccenda, compresa la domanda «per quale criterio e ragione fin da subito vengano assegnate le indagini al corpo di polizia a cui appartiene il presunto responsabile».

Presente in libreria anche Fabio Anselmo, avvocato del caso Stefano Cucchi e di Federico Aldrovandi, che ha dichiarato di aver accettato di entrare nel team legale che sta lavorando alla vicenda di Moussa. Lo definisce un caso che è diventato subito un processo mediatico per i comunicati che sono stati rilasciati e poi rettificati, sottolineando che non si può dare un giudizio morale durante il processo. Poi aggiunge «io guardo al fratello e vi chiedo di farlo riposare. Perché sarà una maratona». 

Il corto circuito del Ddl Sicurezza

Da sinistra, Ilaria Cucchi, Angiola Petronio, Paolo Berizzi, Nogaye Ndiaye e Youssef Moukrim durante l’incontro tenutosi alla Feltrinelli di Verona intitolata “Violenza di Stato, diritti interrotti”. Foto A. Delaini.

Ilaria Cucchi ha quindi parlato del pacchetto sicurezza «che io chiamerei Ddl Paura», descrivendo la fatica di questi giorni nei quali in quanto senatrice è stata “sequestrata” nella commissione congiunta Affari costituzionali e Giustizia per discutere articoli che «sono scritti per andare a colpire determinate categorie di persone, dei fragili, degli ultimi: detenuti, extracomunitari e coloro che non hanno una casa. Questo è il fallimento di uno Stato che anziché trovare soluzioni agisce con la repressione».

Paolo Berizzi, autore di inchieste sull’estrema destra contenute anche nei libri È gradita la camicia nera. Verona, la città laboratorio dell’estrema destra tra l’Italia e l’Europa (Rizzoli 2021) e Il ritorno della Bestia. Come questo governo ha risvegliato il peggio dell’Italia (Rizzoli 2024), vive sotto scorta dal 2019. Il suo ricordo è andato all’omicidio Tommasoli : «l’idea che qualcuno si senta padrone in una città non è tollerabile, è una logica mafiosa – ha avvertito -. Nessuno detiene dei pezzi di città, le città sono di tutti. In democrazia funziona così, finché ce la lasciano».

Gli ha fatto eco Youssef Moukrim, responsabile dello Sportello sociale per i diritti a Verona, esperto nelle procedure d’accoglienza che minano la vita dei migranti dal momento in cui mettono piede in Italia. «Il commento di un ministro che dice “Moussa non ci mancherà” sarebbe da perseguire penalmente», ha rimarcato, riferendosi anche alle condizioni imposte già nel 2018 a sfavore dei migranti. «Il sistema normativo è creato ad hoc per alimentare una serie di vulnerabilità sulle persone e creare dei ritardi che sono funzionali».

Sul fronte della divulgazione Nogaye Ndiaye sulla pagina Le regole del diritto perfetto, decostruisce il razzismo sistematico con parole lucide e ben posizionate. Oltre all’attività social, ha pubblicato Fortunatamente nera (HarperCollins Italia 2023) e l’ultimo distopico Universo parallelo. Il paradigma del privilegio edito da People (2024).

«Io non ho deciso di diventare attivista, ma di vivere la mia vita con dignità. Bisogna decolonizzare le nostre menti, cominciare a capire perché la società si comporta in questo modo».

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