Stiamo vivendo un periodo confuso in cui si stanno modificando gli equilibri geopolitici nel mondo. Il dominio incontrastato degli Stati Uniti in ambito economico, finanziario e militare viene messo in discussione dalla Cina e da altre potenze emergenti unite nella rete BRICS.

A rendere nervosi i mercati internazionali sono anche gli squilibri economici presenti nel commercio mondiale, frutto di politiche mercantilistiche troppo a lungo sottovalutate. La cosiddetta “guerra dei dazi”, di assoluta attualità, é un riflesso concreto di questi squilibri.

Gli squilibri storici

Il primo importante squilibrio dal dopoguerra é stato quello fra Stati Uniti e Giappone. Nei primi anni Ottanta, il Giappone era leader mondiale nei settori dei semiconduttori, dell’elettronica e dell’industria automobilistica. A causa di un persistente apprezzamento del dollaro, soprattutto rispetto allo Yen giapponese, il mercato americano, inondato da merci giapponesi, si trovava in difficoltà.

Questo problema fu affrontato nel settembre 1985 con gli Accordi del Plaza, dal nome dell’albergo di New York dove si svolsero gli incontri, coinvolgendo le Banche Centrali di Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Francia, Germania e Canada. Si pervenne ad un riallineamento del cambio del dollaro, attraverso una svalutazione concordata che non provocò scossoni finanziari. Il surplus commerciale del Giappone si ridimensionò, ma rimase comunque positivo e significativo.

Il secondo grande squilibrio, tutt’ora persistente, riguarda la Cina. A partire dagli anni Novanta, il peso del commercio internazionale cinese é aumentato notevolmente, esplodendo dopo il 2001, anno in cui il Paese é entrato nel WTO (Organizzazione mondiale del commercio). Anche l’attivo della bilancia commerciale cinese è aumentato, soprattutto verso gli Stati Uniti, che rapprentano il loro principale mercato di sbocco.

Il mercantilismo tedesco e gli squilibri europei

Infine, c’é lo squilibrio europeo, l’ultimo inordine di tempo, che ci riguarda più da vicino e ha impatti diretti sull’Italia. Fino ai primi anni dell’adozione della moneta unica, il commercio intraeuropeo era abbastanza equilibrato così come quello verso il resto del mondo. Tuttavia, sono ben presto emersi squilibri nelle bilance commerciali, prima all’interno dell’eurozona e successivamente anche verso il resto del mondo. Il punto di svolta é stato la crisi finanziaria innescata dal fallimento della banca americana Lehman Brothers del 2007.

Nella prima fase, tra il 2002 ed il 2008, la Germania guidava un gruppo di Paesi con un saldo attivo della bilancia commerciale, mentre parallelamente aumentava il deficit nei Paesi noti come PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). L’introduzione della moneta unica europea aveva azzerato il rischio di cambio attirando capitali tedeschi nei Paesi del sud Europa, grazie a tassi di interesse più elevati. Da ricordare anche la riforma Hartz del governo tedesco guidato dal socialdemocratico Gerhard Schröder, che ridusse il costo del lavoro in Germania a vantaggio delle imprese. Inoltre, una inflazione più alta rispetto a quella tedesca, alimentata anche da un’economia surriscaldata dall’ingresso di capitali ed investimenti esteri, in pochi anni aveva reso meno competitivi i prodotti manifatturieri dei PIIGS aumentando lo squilibrio commerciale.

La crisi finanziaria e le sue conseguenze in Italia

Il fallimento di Lehman Brothers del 2007 ha avuto forti ripercussioni in Europa negli anni successivi. Le banche del nord Europa, colpite dalla crisi finanziaria, hanno rapidamente ritirato i loro investimenti dai Paesi PIIGS, trasformando ben presto la crisi da finanziaria a economica, e obbligandoli ad intervenire con spesa pubblica a debito.

In quegli anni si parlava, erroneamente, di crisi del debito pubblico, ma come hanno successivamente ammesso gli economisti, non era vero. Nel 2007, il debito pubblico italiano era al 103% del PIL, in diminuzione; quello greco al 104%; Il portoghese al 63%; lo spagnolo al 39%; e l’irlandese addirittura solo al 25%.

Nel 2011, su pressioni della Commissione Europea, della BCE e del Fondo Monetario Internazionale, fu installato in Italia il governo presieduto da Mario Monti, che avviò un periodo di austerità. Lo scopo reale non era di ridurre il debito pubblico, come ingannevolmente raccontato, ma riequilibrare la bilancia dei pagamenti italiana. Furono tagliati investimenti, spese in sanità, pensioni e welfare, portando un aumento della disoccupazione e della precarietà. Il PIL dell’Italia diminuì del 7%, la produzione industriale del 25%. L’effetto fu un aumento del debito pubblico, mentre la bilancia dei pagamenti italiana cambiò rapidamente segno, passando da negativa a positiva.

Dati tratti da Bollettini Banca d'Italia - Bilancia dei Pagamenti e posizione patrimoniale sull'estero

La bilancia commerciale dell’Unione Europea, fino a quel momento in sostanziale equilibrio rispetto al resto del mondo, ha iniziato ad essere sempre più positiva grazie non solo alla Germania, ma anche all’Italia e agli altri Paesi PIIGS. Una competitività europea basata sulla svalutazione del lavoro.

Il persistente deficit commerciale degli Stati Uniti

E’ comprensibile l’irrigidimento da parte degli Stati Uniti, ora guidati da Donald Trump, stanchi di tollerare una bilancia commerciale da decenni in deficit, che assorbe produzioni manifatturiere da Giappone, Cina ed Unione Europea, oltre che Canada e Messico. Gli Stati Uniti hanno potuto sostenere questa situazione grazie al dollaro, valuta dominante negli scambi internazionali, ma a scapito delle produzioni agricole e manifatturiere interne.

E’ importante notare che l’America non é solo la Silicon Valley con le principali aziende informatiche, ma anche quella che è diventata la “rust belt” (cintura di ruggine) fatta di fabbriche dismesse e città abbandonate, i cui cittadini votano ogni 4 anni per un presidente, sia esso democratico o repubblicano.

Il mercantilismo é alla base di molti conflitti economici globali, favorito dalla libera circolazione della finanza, e tende a creare squilibri commerciali e crisi finanziarie. I dazi non sono la soluzione migliore a queste situazioni, soprattutto fra grandi economie come quelle americana, cinese ed europea. Possono essere utili solo se applicati con moderazione e per brevi periodi, in Paesi in fase di crescita economica per proteggere le produzioni industriali nascenti.

Occorrono accordi internazionali per contrastare la degenerazione mercantilistica del commercio, con l’impegno soprattutto dei Paesi che hanno un più grande e persistente attivo della bilancia commerciale. Un correttivo verso il riequilibrio dovrebbe consistere in una proporzionata rivalutazione delle loro monete ed il reinvestimento dei saldi commerciali nel mercato interno.

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