Steven Spielberg ha sempre saputo fondere meraviglia e umanità nei suoi film, ma con Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) raggiunge un apice di poetica e ambizione. Questo capolavoro della fantascienza, che ha aperto ufficialmente al Cinema Nuovo San Michele la quarta edizione dell’EXTRA sci-fi festival Verona venerdì 14 marzo alle 21, non si limita a raccontare una storia di contatto con intelligenze extraterrestri, ma si immerge in una riflessione profonda su temi universali: il ruolo dei padri e delle madri, l’innocenza e l’infanzia, la scienza e la follia, il militarismo e, soprattutto, la necessità di credere in qualcosa di più grande di noi.

(Attenzione: da qui in poi allerta spoiler, ndr).

Le madri: tra protezione e ricerca

Uno degli elementi più sottili eppure potentissimi di Incontri ravvicinati è lo sguardo sul materno. Il film ci offre due tipi di madri molto diversi tra loro, quasi opposti, eppure accomunati da una determinazione feroce. Da un lato abbiamo Ronnie Neary (Teri Garr), la moglie di Roy, che rappresenta la figura della madre protettiva, ancorata alla realtà, che cerca disperatamente di mantenere unita la sua famiglia e di proteggere i suoi figli dal comportamento sempre più instabile del marito. Per lei, la follia di Roy non è un segno di chiamata verso qualcosa di superiore, ma una minaccia concreta alla stabilità domestica. La sua scelta di andarsene con i bambini è un atto di autoconservazione, ma anche un simbolo della distanza incolmabile tra coloro che accettano il quotidiano e quelli che scelgono di inseguire l’ignoto.

Dall’altro lato, abbiamo Jillian Guiler (Melinda Dillon), la madre single che vive la follia di Roy in modo diverso: per lei l’ossessione che travolge l’uomo è qualcosa di comprensibile e condivisibile, perché anche lei ha visto e sentito lo stesso richiamo. La sua esperienza con gli UFO si trasforma in una missione personale quando suo figlio Barry viene rapito dagli alieni. Invece di arrendersi alla disperazione, Jillian trasforma il dolore in determinazione, facendo della sua ricerca un atto di fede. La sua traiettoria è l’opposto di quella di Ronnie: mentre una fugge dalla follia, l’altra la abbraccia per trovare risposte.

Attraverso questi due archetipi materni, Spielberg dipinge un quadro sfaccettato della genitorialità femminile, mostrando come possa manifestarsi in forme diverse: protezione da un lato, avventura e scoperta dall’altro.

I padri e la crisi della mascolinità

Se le madri nel film incarnano due risposte complementari alla chiamata dell’ignoto, i padri sono in crisi. Roy Neary (Richard Dreyfuss) è un padre di famiglia il cui ruolo tradizionale viene progressivamente eroso dalla sua ossessione per gli UFO.

La sua traiettoria narrativa è un esempio potente di come la mascolinità possa entrare in conflitto con le responsabilità domestiche e sociali. Roy non è un eroe tradizionale: è un uomo comune che si trasforma in qualcosa di altro, ma a un costo altissimo.

La sua famiglia, invece di sostenerlo, lo respinge, e ciò lo porta a una sorta di rinascita personale che si realizza nel momento in cui sceglie di abbandonare la Terra. Questa scelta può essere letta in modi diversi: da una parte, è un atto di liberazione e realizzazione personale, un uomo che segue il proprio destino; dall’altra, è anche una fuga dalle responsabilità familiari, un rifiuto del ruolo tradizionale di marito e padre. In questa ambivalenza Spielberg cattura la tensione tra dovere e desiderio, tra famiglia e avventura, tra stabilità e scoperta.

Scienza e follia: due facce della stessa medaglia

Uno degli aspetti più affascinanti del film è il modo in cui la scienza viene presentata non solo come metodo di indagine razionale, ma come un viaggio al limite della follia. Roy diventa ossessionato dalla forma della montagna di Devil’s Tower, riproducendola ossessivamente con ogni materiale a disposizione. Questa ossessione lo rende ridicolo agli occhi della sua famiglia e della società, ma si rivela alla fine essere il segnale di una verità più grande.

Anche la figura di Claude Lacombe (François Truffaut), lo scienziato francese che guida le indagini sugli UFO, suggerisce questa ambivalenza: la scienza non è solo razionalità, ma anche intuizione, curiosità e apertura al mistero. Spielberg suggerisce che la verità non può essere confinata nei limiti dell’empirismo: bisogna essere pronti a credere.

Il contatto: una questione affettiva

In Incontri ravvicinati del terzo tipo, il contatto non è solo una questione scientifica o mistica, ma profondamente affettiva. Spielberg costruisce l’intero film attorno a legami emotivi che si esprimono attraverso il contatto fisico: Roy e i suoi figli, Jillian e il piccolo Barry, persino la moglie Ronnie che cerca disperatamente di riportare il marito alla realtà con abbracci e carezze. Quando Roy e Jillian si baciano, non è tanto un atto romantico quanto il riconoscimento di un’esperienza condivisa, la conferma che entrambi hanno visto e sentito qualcosa di vero.

Questo senso di contatto culmina nella scena finale, quando Roy e l’alieno si sfiorano le mani. Qui, il gesto assume un significato profondo: è il riconoscimento tra due esseri viventi, un passaggio di fiducia e comprensione che trascende le parole.

Musica, dono e restituzione

Uno degli elementi più suggestivi del film è l’uso della musica come mezzo di comunicazione tra umani e alieni. Il dialogo tra la nave madre e gli scienziati, con il celebre motivo musicale a cinque note, non è solo un atto di comunicazione, ma un vero e proprio ponte tra civiltà.

Ma il contatto non è solo musicale: è anche un atto di restituzione. Gli alieni non si limitano a comunicare: restituiscono. Prima gli aerei della Seconda Guerra Mondiale, poi la nave scomparsa e infine gli esseri umani rapiti, tra cui Barry. Roy stesso diventa parte di questo scambio: lui non viene restituito, ma donato. Il suo viaggio con gli alieni è un sacrificio che segna la conclusione del suo percorso.

Un film che parla di noi

Pur raccontando una storia che si apre all’infinito, Incontri ravvicinati del terzo tipo rimane profondamente radicato nell’esperienza umana. Spielberg costruisce un racconto che parla di desiderio, di inquietudine e di meraviglia, ma anche di sacrificio e di dono. Il film non offre risposte definitive, ma invita lo spettatore a porsi domande e a lasciarsi trasportare dal senso di stupore che permea ogni scena.

Alla fine, più che una storia di fantascienza, Incontri ravvicinati è un viaggio emotivo e simbolico, che ci ricorda che la vera scoperta non è solo quella che avviene oltre il nostro mondo, ma anche quella che ci permette di vedere noi stessi con occhi nuovi.

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