Troppe case vuote, troppe persone senza casa
Case vuote, sfitte e abbandonate. Verona (e non solo) ne è piena, mentre cresce il livello di povertà e il numero di persone che vivono in strada. Quali soluzioni?

Case vuote, sfitte e abbandonate. Verona (e non solo) ne è piena, mentre cresce il livello di povertà e il numero di persone che vivono in strada. Quali soluzioni?
A Verona, nelle scorse settimane si è fatto un gran parlare di una foto che ritrae un uomo mentre si arrampica sul balcone di una palazzina del centro storico. L’uomo, con molta probabilità, stava cercando di entrare o uscire dallo stabile abbandonato in zona Duomo. Non è la prima segnalazione di persone che tentano di entrare o che sono dentro ad uno dei tanti immobili disabitati da anni.
La questione della casa rappresenta un tema complesso e delicato. La crisi abitativa, ormai, non riguarda più esclusivamente le fasce più vulnerabili della società, ma si estende anche a lavoratori precari o sottopagati, studenti fuori sede che faticano a trovare alloggi a prezzi sostenibili per le loro famiglie e genitori separati che, a causa delle circostanze della vita, sono costretti a lasciare l’abitazione familiare cercandone una nuova, possibilmente vicina ai propri figli.
Scene di vita quotidiana si intrecciano con le crescenti difficoltà, talvolta insormontabili, di trovare un appartamento in cui stabilirsi.
La ricerca di una casa in affitto è diventata una vera sfida, complicata da richieste sempre più rigide da parte dei proprietari: contratti di lavoro a tempo indeterminato, garanzie familiari e, spesso, ostacoli per chi non è di origine italiana. A tutto questo si aggiunge l’obbligo di versare numerose mensilità di anticipo come caparra, rendendo l’impresa ancora più ardua.
Tutti i vincoli che hanno reso la ricerca di una casa una vera e propria corsa a ostacoli, sempre più impegnativa. Se a questi ostacoli si aggiunge la crescente trasformazione degli appartamenti da abitazioni per residenti a strutture destinate al turismo, la situazione diventa ancora più complessa.
Analizziamo i dati relativi alle case vuote: a Verona se ne contano oltre 21.000, pari a circa il 15% dell’intero patrimonio immobiliare cittadino. Percentuali analoghe si riscontrano nei principali comuni della provincia, come San Giovanni Lupatoto e Villafranca. La situazione peggiora in centri come San Bonifacio e San Pietro in Cariano, dove i numeri sono ancora più elevati. Si tratta di località di dimensioni rilevanti, situate nelle immediate vicinanze della città, e ciò rende ancora più difficile la ricerca di un’abitazione per chi lavora a Verona e tenta di risparmiare cercando casa fuori dal centro.
Il problema delle case sfitte non riguarda solo Verona e provincia, ma rappresenta una questione di portata globale. Restando però in Veneto e confrontando i dati degli altri capoluoghi, si osserva una percentuale che varia dal 15,3% a Treviso fino al 28% a Belluno. Un trend preoccupante, destinato ad aggravarsi con l’avvicinarsi delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina previste per il prossimo anno.
Case lasciate vuote per gran parte dell’anno, utilizzate esclusivamente nel periodo estivo per affitti a prezzi esorbitanti, trasformano i paesi in centri fantasma durante i mesi invernali. Questo fenomeno costringe molte persone a cercare casa altrove, lontano dal loro luogo d’origine, dai propri affetti e dal lavoro.
I dati riportati sono allarmanti, poiché la casa rappresenta un bisogno fondamentale per ogni persona: è il punto di partenza per costruire una famiglia, il rifugio dove tornare dopo una lunga giornata di lavoro. La casa, un bene di prima necessità, è stata trasformata dalle dinamiche di mercato e dalla speculazione in un privilegio riservato a pochi. Queste logiche dovrebbero essere motivo di dibattito e indignazione, proprio come l’immagine simbolica dell’uomo che si cala dalla finestra, che ci impone una riflessione profonda.
Camminando tra le strade del centro storico di Verona o esplorando i diversi quartieri della città, inclusi quelli più periferici, è sufficiente alzare lo sguardo per scoprire con facilità case, appartamenti e intere palazzine lasciate in stato di abbandono, senza dimenticare i vecchi capannoni industriali ormai in disuso.
Ma restando nella zona del Duomo, la stessa in cui è stata scattata la famosa fotografia, passeggiando lungo le stradine e i vicoli che dall’Adige conducono verso il Duomo e il cuore della città, si incontra un panorama che racconta storie di abbandono e dimenticanza. Le facciate di case trascurate e palazzine lasciate al loro destino si susseguono, con finestre ormai in rovina che celano appartamenti vuoti da decenni. Tracce evidenti di degrado, visibili a chiunque decida di alzare lo sguardo—e a volte nemmeno serve farlo per notare le case “terra cielo” vuote, sommerse da cianfrusaglie e dalla polvere accumulata nel corso degli anni di inutilizzo.
Case abbandonate per ragioni spesso sconosciute, talvolta legate a contrasti familiari su questioni ereditarie, oppure alla difficoltà dei proprietari di adeguare l’immobile alle normative vigenti. In altri casi si tratta di una proprietà aggiuntiva tra molte, al punto che lasciarla deteriorare, piuttosto che tentare di trarne profitto, non influirebbe minimamente sulla loro situazione economica.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui, in quella zona come in ogni quartiere di qualsiasi città del mondo, si trovano case, appartamenti e palazzi lasciati in abbandono. Indipendentemente dalla causa, queste strutture inutilizzate rappresentano una ferita aperta per chi non ha un tetto sopra la testa ed è costretto a vivere per strada.
La fotografia al centro di critiche e dibattiti è stata scattata pochi giorni prima, a poche centinaia di metri dal luogo in cui Angelo, un uomo senza fissa dimora, è tristemente scomparso a causa di un malore provocato dal freddo, mentre cercava riparo lungo il marciapiede di Lungadige San Giorgio. Da anni, Angelo trovava rifugio negli angoli nascosti della scuola media Catullo. Chi lo conosceva lo ricorda come una persona gentile e colta: un ex bidello in pensione che, nonostante le difficoltà, aveva deciso di non affidarsi ai servizi sociali. E qui sorge una domanda inevitabile: com’è possibile che un uomo, dopo una vita di lavoro, si ritrovi abbandonato a vivere per strada, costretto a dipendere da un sistema di assistenza per garantirsi un riparo?
Quanto è ingiusta una società in cui persino chi lavora o ha dedicato una vita intera al lavoro non può permettersi una casa in cui vivere. Quanto è crudele una società che conta case sfitte, appartamenti lasciati vuoti per decenni, porte serrate da pesanti lucchetti, mentre dall’altra parte del ponte c’è chi muore di freddo.
A Verona si stima che tra le 400 e le 500 persone vivano in strada. Molti di loro sono lavoratori che non possono permettersi un’abitazione, o stranieri a cui viene negata la possibilità di affittarne una. In tutta l’Unione Europea, il numero di persone senza dimora raggiunge circa un milione, una cifra impressionante, equivalente a quattro volte la popolazione residente di Verona.
Tutto è interconnesso: una casa lasciata vuota e abbandonata, e una persona costretta a dormire per strada. Nessuna colpa, nessun giudizio, solo una trama sottile che si snoda tra le pieghe di un’idea che sembra attribuire alla proprietà un peso maggiore rispetto al valore della vita.
Si grida al degrado quando si vede una persona dormire in un angolo della strada, avvolta da strati di coperte e cartoni per proteggersi dal freddo, ma si tace davanti a edifici abbandonati, fatiscenti e decadenti, che diventano rifugio per topi e sporcizia, rappresentando un serio rischio igienico e sanitario per chi vive nei dintorni e per l’intero quartiere.
L’articolo 42 della Costituzione stabilisce che la proprietà privata è riconosciuta e tutelata dalla legge, la quale ne definisce i limiti al fine di garantirne la funzione sociale. Inoltre, contempla la possibilità di espropriazione per motivi di pubblica utilità.
Semplificando il concetto: la funzione sociale della mia casa è offrire e garantire un tetto a me e alla mia famiglia. Un luogo abbandonato da anni, privo di utilità sociale, può legittimamente essere soggetto a espropriazione.
Una soluzione possibile potrebbe essere l’espropriazione, che richiederebbe un impegno economico da parte del Comune o dello Stato. In alternativa, si potrebbero obbligare i proprietari a destinare l’immobile a un’utilità pubblica, ristrutturandolo e rendendolo disponibile per la vendita o l’affitto a chi è in cerca di una casa.
Questo approccio permetterebbe di rispettare l’articolo 42 della Costituzione, offrendo al contempo un aiuto concreto a coloro che si trovano costretti a vivere, e talvolta a morire, per strada. Gli edifici abbandonati, infatti, rappresentano un’ulteriore ingiustizia nei confronti di chi non ha un tetto e di tutte quelle persone che, con enormi sacrifici, riescono a sostenere un affitto o, per i più fortunati, un mutuo trentennale particolarmente gravoso.
Le soluzioni non sono semplici, ma devono essere trovate, soprattutto da chi ha la possibilità e la responsabilità di gestire immobili inutilizzati. Riscoprire e valorizzare i luoghi abbandonati significa contribuire concretamente a migliorare la vita delle persone meno fortunate. Persone che, dopo un percorso di difficoltà e sofferenze, vedono in quegli spazi un’opportunità per sopravvivere, per non trascorrere le notti al freddo sulla strada, pur consapevoli di rischiare ripercussioni legali, come essere scoperti, denunciati o arrestati. È una scelta disperata che alcuni hanno dovuto affrontare, considerando che l’alternativa era rifugiarsi in un angolo di una scuola o su una panchina alla stazione, con il pericolo concreto di perdere la vita per il freddo.
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