Le tensioni geopolitiche globali stanno ridisegnando gli equilibri internazionali. Gli Stati Uniti e la Russia stanno prendendo decisioni cruciali sul futuro dell’Ucraina, escludendo di fatto l’Unione Europea dai negoziati. La NATO ha chiuso le porte a Kiev, mentre l’UE ha aperto alla sua adesione, ma senza una reale capacità di garantire protezione militare. Intanto, il nuovo ordine mondiale è segnato dalla competizione tra grandi blocchi di potere: gli USA e i loro alleati, la Cina, la Russia e altre potenze emergenti dei BRICS. In questo scenario, l’Europa rischia di rimanere un attore marginale. Ne parliamo con Giorgio Anselmi, presidente della Casa d’Europa di Verona e già presidente nazionale del Movimento Federalista Europeo.

Presidente, lei parla di un “momento di crisi” e di una vera e propria “guerra costituente”. Cosa intende con questa espressione?

Giorgio Anselmi

«Siamo in una fase storica in cui gli equilibri mondiali stanno cambiando rapidamente. Se guardiamo alla storia europea, momenti di grande crisi, come la Guerra dei Trent’anni o le guerre mondiali del Novecento, hanno spesso portato a nuove forme di organizzazione politica. Per vent’anni ci siamo illusi che l’ordine monopolare americano fosse stabile, ma si è rivelato in realtà più che altro un “disordine monopolare”. Ora siamo al gioco finale: la logica che guida le scelte di potenze come Cina e Russia è quella del recupero della propria influenza imperiale e anche, purtroppo, gli Stati Uniti sembrano aver scelto un modello di quel tipo. L’Unione Europea, invece, è oggi l’unico attore globale che difende la democrazia e lo Stato di diritto con un modello diverso.»

Questa competizione globale potrebbe avere conseguenze devastanti?

«Assolutamente sì. Il rischio di conflitti su larga scala, anche nucleari, e i problemi ambientali minacciano la sopravvivenza stessa dell’umanità. Siamo in un momento terribile, in cui tutto potrebbe crollare. Tuttavia, come è successo con la crisi economica del 2008-2009 e poi con il Covid, la consapevolezza di pericoli estremi può anche spingere i Paesi a compattarsi e trovare soluzioni comuni. L’Europa stessa è nata come risposta alle crisi: dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, spesso i momenti di difficoltà hanno portato a un passo avanti nell’integrazione.»

Vede segnali di un’Europa che reagisce alla crisi attuale?

«Sì, ci sono segnali importanti. La Germania ha avviato investimenti massicci nella difesa e nelle infrastrutture interne. Il presidente francese Macron, nel suo recente discorso, ha parlato apertamente di mettere a disposizione la forza nucleare francese per tutta l’Europa. Credo che le grandi nazioni europee stiamo prendendo coscienza di ciò che devono fare.»

Eppure le divisioni interne all’Europa restano forti. Anche in Italia vediamo spaccature tra europeisti e nazionalisti.

«Certo, ma questo non è un problema nuovo. Fin dal Manifesto di Ventotene si sono contrapposte due visioni: quella nazionalista, che vuole mantenere la sovranità degli Stati, e quella europeista, che punta a una federazione europea. In Francia e in Germania abbiamo visto, di recente, l’ascesa di movimenti populisti e nazionalisti contrari all’Unione e anche in Italia il Governo Meloni è diviso tra una Lega di Salvini più sovranista e una parte della stessa Lega che, ad esempio con Zaia, parla addirittura di Stati Uniti d’Europa. Senza contare che in maggioranza c’è un partito come Forza Italia da sempre europeista. È normale che ci siano fratture: se si vuole uscire dall’ambiguità, ci sono costi da pagare.»

L’Italia, come altri Paesi europei, è esposta alle decisioni globali americane, ad esempio quelle sui dazi. Quali scenari vede?

«Non possiamo illuderci di poter agire da soli. Le decisioni economiche devono essere prese in modo compatto a livello europeo. L’instabilità di questo periodo potrebbe portarci, nella migliore delle ipotesi, a un “vassallaggio felice” sotto la protezione di altre potenze, come ha detto il Presidente Mattarella. Ma quello che io vedo, in realtà, è solo un vassallaggio infelice.»

Foto da Unsplash di Christian Lue

A proposito di sicurezza, gli Stati Uniti hanno detto no all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, mentre l’UE ha aperto alla sua adesione. L’Europa sarà in grado di garantire protezione militare a Kiev?

«Questa è la grande domanda. L’Ucraina vede la NATO come un’ancora di salvezza, ma non possiamo più fidarci ciecamente dell’Alleanza Atlantica e del famoso articolo 5, ormai disconosciuto da Trump. L’Europa deve dotarsi di una propria capacità di difesa. Macron ha detto chiaramente che rischiamo di essere cancellati dalla storia se non agiamo. E Putin non si fermerà: ci sono molti Paesi che potrebbero essere nel mirino in futuro: la Moldavia, la Georgia, le repubbliche baltiche.»

Fare politica significa capire cosa sta succedendo nella storia. Come si colloca l’UE in questo scenario?

«L’UE è a un bivio. O riesce a fare un salto di qualità e a salvarsi, oppure continuerà a essere irrilevante, non solo militarmente, ma anche economicamente e finanziariamente. Abbiamo accumulato un ritardo enorme rispetto a Cina e Stati Uniti in settori strategici come la tecnologia e l’industria. La crisi dell’automotive è un esempio lampante. Mario Draghi ha recentemente scritto sul Financial Times che i dazi più gravi li stiamo imponendo a noi stessi con le nostre divisioni e frammentazioni. Anche l’utilizzo dell’euro potrebbe essere molto più esteso di quanto lo sia oggi. Dobbiamo darci una svegliata.»

In conclusione, qual è la sua visione per il futuro dell’Europa?

«O l’Europa si trasforma in una vera Unione Federale o sarà irrilevante. La storia non aspetta: o ci organizziamo per affrontare le sfide di questo mondo, oppure resteremo meri spettatori mentre altri decidono per noi.»

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