Il DDL 1660, noto come “Decreto Sicurezza”, è un provvedimento legislativo promosso dall’attuale Governo, che ha generato intense e prolungate discussioni in Parlamento, sia alla Camera sia al Senato, a causa del suo carattere fortemente repressivo.

Un decreto che, secondo molti, inclusi numerosi giuristi, ha l’obiettivo evidente di reprimere il dissenso, colpisce chi protesta, chi vive già ai margini della società a causa della propria condizione economica e sociale e si schiera anche contro i lavoratori che rivendicano maggiori diritti e tutele.

Nonostante le discussioni in Parlamento tra maggioranza e opposizione, così come le iniziative dei movimenti sociali, gran parte dei cittadini e delle cittadine, forse ormai disillusi dalla politica, pare sottovalutare la gravità di una proposta di legge punitiva come il ddl 1660. Un’analisi approfondita di alcuni articoli di questo decreto rivela chiaramente la sua natura repressiva.

“Circolare”

Iniziamo con l’articolo 11, simbolo della repressione al dissenso. Questo articolo prevede un’aggravante per i blocchi della circolazione, trasformando i blocchi stradali e ferroviari da illecito amministrativo a reato penale. Qualora questo disegno di legge venisse approvato, il reato sarebbe punito con un mese di carcere se commesso individualmente, scenario piuttosto raro, mentre la detenzione potrebbe arrivare fino a due anni nel caso di blocchi organizzati in gruppo.

Questo articolo evidenzia come la pratica dei blocchi stradali non riguardi esclusivamente i movimenti ambientalisti, spesso associati nell’immaginario comune a gruppi come Ultima Generazione ed Extinction Rebellion, ma coinvolga anche il mondo del lavoro. I blocchi stradali, infatti, sono uno strumento utilizzato anche dai lavoratori del settore della logistica, una realtà in forte espansione negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia di Covid-19, grazie alla crescita delle piattaforme di e-commerce. Tuttavia, questo sviluppo è avvenuto spesso a scapito dei lavoratori, costretti a sostenere ritmi di lavoro sempre più intensi per rispettare le promesse di consegne rapide fatte dalle multinazionali, in un contesto caratterizzato da scarse tutele e condizioni lavorative difficili.

Per blocco, in questo contesto, si fa riferimento anche ai cosiddetti “picchetti”, ossia presìdi organizzati ai cancelli che ostacolano l’ingresso e l’uscita dei camion dalle aziende. Come sottolineato dal Ministro Piantedosi durante una discussione su questo disegno di legge, tali azioni “si pongono in contrasto con l’interesse dell’impresa”.

È evidente l’intento del Governo Meloni di privilegiare l’imprenditore, compromettendo il diritto di sciopero e mettendo a rischio il carcere per i lavoratori che manifestano in maniera determinata ma pacifica.

Facciamo un passo indietro e analizziamo l’articolo 10, che introduce il reato di “occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”. In questo caso, si assiste a un inasprimento delle pene, con la detenzione massima che passa da tre a sette anni per i condannati. L’articolo mira a punire non solo chi occupa direttamente l’immobile, ma anche chi sostiene, agevola o solidarizza con gli occupanti.

In questo contesto è fondamentale tracciare una distinzione chiara e precisa per evitare fraintendimenti: l’occupazione di appartamenti temporaneamente vuoti, perché i proprietari sono in vacanza, in ospedale o assenti per altri motivi, non rientra tra quelle azioni considerate giustificabili, nemmeno dai movimenti che sostengono il diritto alla casa.

Il tema si concentra principalmente sui luoghi abbandonati da lungo tempo, spesso per decenni, spazi dimenticati e lasciati in stato di degrado, dove frequentemente trovano riparo le persone senza fissa dimora.

Foto da Unsplash di John Tyson

Il decreto legge in esame colpisce anche situazioni simili, penalizzando individui già ai margini della società, come chi è senza una casa e costretto a vivere in strada a causa della disoccupazione o, sempre più frequentemente, lavoratori sottopagati incapaci di sostenere un affitto in un mercato immobiliare proibitivo o intrappolati nelle complicazioni burocratiche per ottenere un alloggio popolare.

Ecco dunque un articolo di legge che, invece di promuovere cura e attenzione verso chi si trova costretto, per necessità e sopravvivenza, a vivere in uno stabile abbandonato, finisce per penalizzarli ulteriormente.

Una visione alternativa dello Stato potrebbe concentrarsi sull’aiuto e sull’inclusione, anziché sul semplice inasprimento delle pene. Interventi mirati potrebbero supportare le persone a uscire da situazioni di estrema povertà e precarietà, promuovendo politiche che tengano conto delle esigenze di chi vive in strada o ai margini della società. Garantire l’accesso a un’abitazione dignitosa e migliorare i salari minimi potrebbe rappresentare un passo concreto, prevenendo il fenomeno del sottopagamento da parte degli imprenditori. Tali misure ridurrebbero il rischio di proteste dettate dalla disperazione e dalla mancanza di alternative, evitando che lavoratori già in difficoltà vengano criminalizzati, come previsto dall’articolo 11 di questa legge, perpetuando così il ciclo di precarietà e marginalizzazione.

Anche l’articolo 13 è tra i più discussi, poiché consentirebbe l’istituzione delle cosiddette zone rosse, aree specifiche in cui verrebbe applicato il daspo urbano. Questo comporterebbe il divieto di accesso per chi ha ricevuto una denuncia, anche in assenza di condanna, per reati contro la persona o il patrimonio in zone considerate sensibili.

L’articolo 15 invece colpisce in modo specifico le donne, andando ad eliminare il differimento della pena per le donne in gravidanza e per le mamme con figli di un anno. Una legge oggi in essere che va a tutelare i neonati, incolpevoli del reato commesso dal proprio genitore, una tutela verso un neonato che questa legge vuole eliminare.

Carceri sovraffollate

Eppure, queste persone si trovano a scontare la loro pena in carceri che versano in condizioni disastrose. Come sottolinea il report di fine anno di Antigone, il sistema carcerario italiano soffre di un grave sovraffollamento. A fronte di una capienza massima di 51.320 posti, le carceri ospitano attualmente oltre 62.000 detenuti, un numero destinato a crescere ulteriormente con le restrizioni introdotte da questa DDL. Vi sono strutture dove il tasso di sovraffollamento raggiunge il 225% a Milano, il 205% a Brescia e il 200% a Lucca. Il 2024 è stato inoltre l’anno con il numero più alto di suicidi in carcere, ben 88, un tragico record da quando si monitorano questi dati. Si registra anche un aumento degli episodi di autolesionismo, mentre i suicidi tra le guardie penitenziarie sono sempre più frequenti. Questi numeri non solo testimoniano le condizioni disumane di detenzione, ma rivelano anche un ambiente lavorativo estremamente critico.

Riferimento a l’articolo 26, che affronta le proteste all’interno dei CPR (Centri permanenti per il rimpatrio), strutture spesso denunciate per condizioni disumane e per documentati episodi di violenza e tortura nei confronti dei migranti in attesa di rimpatrio. In questa situazione, chi organizza o partecipa a manifestazioni volte a chiedere trattamenti più umani può rischiare pene fino a 30 anni di carcere. Inoltre, i migranti subiscono ulteriori restrizioni, come il divieto di acquistare schede SIM senza un permesso di soggiorno, documento che è obbligatorio presentare al momento dell’acquisto.

Foto da Unsplash di Karsten Winegeart

Questa legge potrebbe sembrare di poco conto, ma negare a una persona migrante la possibilità di ottenere una SIM significa privarla della possibilità di mantenere i contatti con la propria famiglia lontana. Per molti, le chiamate e le videochiamate rappresentano l’unico modo per vedere crescere i propri figli. Inoltre, il cellulare è uno strumento indispensabile per cercare lavoro, ottenere informazioni su questioni burocratiche, come il processo per richiedere e ottenere il permesso di soggiorno, e per molte altre esigenze fondamentali. Ignorare questi aspetti dimostra una mancanza di comprensione da parte di chi ha elaborato questo disegno di legge.

Questi sono solo alcuni degli articoli di un disegno di legge oppressivo, che mette in discussione principi fondamentali della democrazia. Una normativa che limita il diritto dei lavoratori allo sciopero, la possibilità di esprimere dissenso verso una legge e la libertà di protestare per rivendicare condizioni di vita più giuste e dignitose.

Una legge destinata a mobilitare decine di migliaia di persone, pronte a scendere in piazza per opporsi a ciò che è ancora possibile contestare. Un diritto che oggi ci appartiene, ma che rischiamo seriamente di veder svanire.

Principi democratici cercasi

Questa legge, voluta dal Governo più conservatore dal dopoguerra, rappresenta un allontanamento dai principi democratici e un avvicinamento ai fondamenti ideologici del regime fascista: reprimere il dissenso e soffocare ogni forma di protesta.

Dissenso che in questo Paese è già basso e che sembra quasi una prerogativa non voluta di attivisti e movimenti attenti ai diritti civili. Dissenso che nel caso di questo disegno di legge dovrebbe invece abbattere l’indifferenza dei cittadini italiani data la sua gravità.

Cresce l’impegno dei movimenti sociali italiani, che da mesi si stanno organizzando con manifestazioni e raccolte firme per contrastare il decreto sicurezza. Sabato 22 febbraio sarà una giornata di mobilitazione nazionale contro questo provvedimento. In molte città italiane si terranno cortei, presidi e manifestazioni per opporsi a questa legge considerata repressiva.

La mobilitazione regionale del Veneto avrà il suo fulcro a Vicenza, dove sabato alle 15:30 è previsto un presidio nel piazzale della città. A Verona, invece, diverse associazioni locali hanno organizzato un presidio per sabato 23 febbraio alle 17:30 in Piazza Bra, di fronte a Palazzo Barbieri.

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