Dal 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca come presidente degli Stati Uniti, abbiamo assistito a un continuo susseguirsi di sorprendenti dichiarazioni, ordini esecutivi, prese di posizione e ricatti. Oltre agli interventi sulle guerre da risolvere in ventiquattro ore, un tema centrale nell’azione di Trump riguarda la modifica degli equilibri nel commercio internazionale, con la minaccia di imporre dazi sulle merci importate dagli americani.

La comunicazione di Trump è caratterizzata da semplicità, immediatezza e un tono punitivo, spesso ignorando la complessità della realtà, come nel caso delle importazioni di petrolio. Gli Stati Uniti, nonostante siano il maggiore produttore (estrattore) di petrolio al mondo, rappresentando il 21% del totale mondiale, importano più petrolio di quanto ne esportano.

Eia. Paesi estrattori di petrolio, anno 2023

Secondo i dati della EIA (U.S. Energy Information Administration) del 2023, le esportazioni statunitensi di petrolio occupano il quarto posto a livello globale con 120 miliardi di dollari, rappresentando il 9,8% del totale mondiale, mentre le importazioni ammontano a 170 miliardi di dollari, pari al 13,3% del totale.

Eia. Esportatori (sinistra) e importatori (destra) di petrolio. Anno 2023

Per riequilibrare la bilancia dei pagamenti e rendere l’America “grande” come dice Trump, sarebbe sufficiente imporre dazi sulle importazioni e sostituirle con nuove estrazioni locali. Lo slogan è semplice: “Drill, baby, drill”, comprensibile a tutti. Significa riprendere a perforare ovunque ci sia un potenziale minerario da sfruttare.

Trump fa finta di non sapere?

Possiamo dire che Trump dimentica alcuni fatti basilari.

Il primo è che le riserve stimate di petrolio degli Stati Uniti sono le più basse tra i dieci maggiori estrattori del mondo. Con 47 miliardi di barili di petrolio nel sottosuolo, si colloca al decimo posto della classifica, rappresentando solo il 3%. Il Venezuela dispone di 303,8 miliardi di barili, l’Arabia Saudita di 267,2 miliardi di barili, e l’Iran di 208 miliardi di barili. L’effetto della proposta di Trump sarà un’accelerazione nell’esaurire le risorse nazionali di petrolio, riserve ormai prevalentemente costituite da rocce porose e pozzi sempre meno numerosi, dalle quali si estrae, con il costoso sistema di fratturazione idraulica e fracking, lo shale oil.

Estrazione petrolio statunitense 2004/20 in pozzi e Fraking

Negli Stati Uniti, le riserve petrolifere rischiano di esaurirsi più velocemente rispetto ad altri paesi produttori, con costi di estrazione che diventano progressivamente meno competitivi.

La Seconda eclatante dimenticanza: Trump sembra trascurare l’importanza della qualità nella produzione petrolifera, fingendo di ignorare che nelle auto, nei camion e negli aerei non si utilizza petrolio grezzo, ma prodotti raffinati e complessi come benzina, gasolio e carburante per jet (Jet Fuel), realizzati nelle raffinerie. Inoltre, le moderne motorizzazioni endotermiche necessitano di combustibili con standard qualitativi elevati.

È importante sapere che il petrolio, o Crude Oil, varia significativamente in tutto il mondo. Ogni giacimento possiede caratteristiche uniche, mentre la domanda e l’offerta di prodotti petroliferi differiscono qualitativamente da nazione a nazione.

Questo è particolarmente vero negli Stati Uniti, dove predomina il light tight oil (LTO), mentre le raffinerie sono per lo più progettate per trattare greggi molto più pesanti, come quelli importati da Canada e Messico. In effetti, il 75% delle importazioni statunitensi di petrolio pesante proviene dalle sabbie bituminose (Oil Sends) superficiali dell’Alberta, Athabasca.

Gli impianti di raffinazione americani sono ormai superati sia in termini di dimensioni che di tecnologia. Di conseguenza, l’impiego di petrolio leggero ricco di metalli come lo shale oil diminuisce l’efficienza produttiva e riduce la disponibilità di benzina di qualità per il mercato interno.

Le raffinerie statunitensi producono 10 milioni di barili di benzina al giorno. Di questi, solo 3 milioni sono immediatamente commerciabili, mentre il restante necessita di essere miscelato con prodotti di qualità superiore importati per la vendita. La parte che non può essere miscelata viene esportata verso paesi che utilizzano qualsiasi tipo di combustibile.

Gli Stati Uniti sono costretti ad esportare il proprio shale oil  e ad importare petrolio pesante per le proprie raffinerie insieme a benzine di qualità prodotte in altri paesi.

Stati Uniti fragili e il ricatto di Trump

La portata del fenomeno è immensa; rappresenta una vulnerabilità sistemica che limita l’autosufficienza degli Stati Uniti nel settore petrolifero, in netto contrasto con la baldanza e la sicumera di Trump nell’annunciare i dazi. L’attuazione concreta di dazi sulle importazioni di prodotti petroliferi causerebbe un aumento dell’inflazione negli Stati Uniti, trasformandosi in un boomerang per il presidente.

Forse l’obiettivo di Trump è diverso: trasferire le sue difficoltà in Europa, costringendo le raffinerie europee ad acquistare il suo shale oil, nonostante la minore flessibilità degli impianti europei rispetto a quelli americani. 

È sempre importante ricordare che l’avanzamento della motorizzazione elettrica rinnovabile potrebbe eliminare completamente qualsiasi dibattito.

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