Tra diritto internazionale e ragion di stato
Il caso Al-Masri ha mostrato tutte le ipocrisie ed ambiguità dei rapporti con Paesi privi di democrazia. Da chiarire anche cosa si intende per sicurezza nazionale.
Il caso Al-Masri ha mostrato tutte le ipocrisie ed ambiguità dei rapporti con Paesi privi di democrazia. Da chiarire anche cosa si intende per sicurezza nazionale.
Esiste una politica estera ufficiale, rispettosa e diplomatica, che in Italia è gestita dal Ministero degli Esteri, e un’altra, più discreta e pragmatica, coordinata dai cosiddetti “Servizi”, che operano in segretezza. Generalmente, le due politiche lavorano su piani diversi e comunicano discretamente per evitare reciproci ostacoli. Tuttavia, nel recente caso del funzionario libico Al-Masri, qualcosa sembra non aver funzionato, mettendo in evidenza le ipocrisie e le ambiguità nei rapporti internazionali.
Al-Masri, soggetto di un mandato di arresto dalla CPI (Corte Penale Internazionale) per crimini commessi in Libia, è stato inizialmente fermato dalla Polizia italiana e poi rapidamente trasferito a Tripoli con un aereo di Stato. I dettagli della vicenda sono noti, così come le giustificazioni fragili e i rimpalli di responsabilità tra varie istituzioni statali. È inutile girarci intorno; probabilmente, in questo caso specifico, tra errori e imbarazzi, i “Servizi” non sono riusciti a prevenire l’arresto e a gestire la situazione nell’ombra, lontano dai riflettori della cronaca.
Al-Masri, attualmente capo della polizia giudiziaria libica, è accusato di crimini di guerra, torture e massacri. Secondo un rapporto di Amnesty International, sarebbe inoltre responsabile di «detenzione arbitraria, privazione illegale della libertà, processi iniqui con migliaia di persone arrestate, uccise sommariamente e detenute arbitrariamente dalle milizie come modus operandi del governo». Di fatto, Al-Masri è anche uno dei più alti funzionari dell’apparato di governo, responsabile della tragica gestione dei migranti e dei loro flussi verso l’Italia.
Nonostante tutto ciò, l’Italia mantiene con la Libia normali relazioni diplomatiche, politiche ed economiche. Solo nell’ottobre scorso si è tenuto a Tripoli un Business Forum Italia-Libia, a cui ha partecipato anche la nostra Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con l’obiettivo di sviluppare progetti in accordo con il Piano Mattei. Tuttavia, è evidente l’imbarazzo e l’ambiguità delle relazioni con uno Stato che non esiste realmente, essendo diviso in almeno due aree contrapposte anche militarmente, devastato da una guerra civile e governato da “bande” di potere, dove l’illegalità e le violenze sono la norma.
Il rispetto del diritto internazionale dovrebbe essere un dovere assoluto per tutti i Paesi, ma sappiamo bene che non è sempre così. La “Ragion di Stato” spesso prevale sul diritto, non solo quello internazionale, ma anche quello nazionale e sui valori umani. L’Italia, per ragioni storiche e geopolitiche, intende mantenere la propria presenza e influenza in Libia, ma qual è il confine insuperabile tra il rispetto del diritto internazionale e la Ragion di Stato?
Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha motivato il rapido rimpatrio del funzionario libico con ragioni di sicurezza nazionale. È lecito tuttavia chiedersi a quale sicurezza il Ministro si riferisca. Quella riguardante i migranti che la Libia può controllare in direzione dell’Italia? Forse la sicurezza dei flussi di energia fossile verso l’Italia? O forse gli interessi dell’ENI in Libia, dove si stanno effettuando promettenti perforazioni? È evidente che se Al-Masri fosse stato trattenuto e consegnato alla CPI, i buoni rapporti tra Italia e Libia avrebbero potuto subire un’interruzione brusca, esponendo molti italiani presenti sul posto al rischio di ricatti.
Mario Draghi, nel 2021, quando era Presidente del Consiglio, definì il presidente turco Erdogan come «un dittatore con cui comunque bisogna dialogare». Queste parole suscitarono alcune reazioni diplomatiche. Draghi espresse tali considerazioni durante una conferenza stampa, subito dopo una visita a Tripoli, in un periodo in cui la Turchia stava aumentando minacciosamente la sua presenza nella parte orientale della Libia.
E che dire dell’Egitto, un Paese dove, come la tragica vicenda di Giulio Regeni ci ricorda, non vengono rispettati i diritti umani più basilari. Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati non brillano per democrazia, come dimostra l’omicidio del giornalista Khashoggi nel 2018 all’interno dell’ambasciata saudita in Turchia. Eppure, con questi Paesi si intrattengono relazioni commerciali, incluse forniture militari e importazioni di gas e petrolio, senza le quali l’economia italiana ed europea cadrebbero immediatamente in una grave crisi energetica.
La CPI ha spiccato mandato d’arresto anche per Vladimir Putin e recentemente per Benyamin Netanyahu, quest’ultimo per presunti crimini di guerra nella striscia di Gaza. Ma pensiamo veramente che questi capi di Stato saranno sottoposti a processo? La Corte Penale Internazionale é riconosciuta da 124 Paesi, ma va ricordato anche che fra quelli che non vi hanno aderito ci sono gli Stati Uniti d’America, la Russia, la Cina, l’India, Israele, Iran, Egitto, Arabia Saudita e Turchia. E non é poco.
I responsabili di crimini potranno essere processati, ed eventualmente condannati, quando nei rispettivi Paesi, con un sussulto di orgoglio e democrazia, la società civile si ribellerà arrestandoli e consegnandoli al giudizio della Corte Penale e della Storia. Il nostro Paese, potrebbe dare il suo contributo in questo senso, ma servirebbe uscire dalle ambiguità ed essere consci delle ripercussioni.
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