Sabato 1º febbraio alle ore 21, presso il Cinema Valpantena di Grezzana, sarà proiettato il documentario Bootay: Untold – L’arte di perdere. Questo film racconta la stagione di una squadra di calcio a 7, esplorando le storie personali dei suoi giocatori. Questi ragazzi hanno sfiorato il debutto nel calcio professionistico dopo aver fatto parte di alcuni dei vivai più prestigiosi del paese, ma le loro vite hanno poi preso strade diverse. Il cast include, oltre a Sergio Pellissier, il sindaco di Verona Damiano Tommasi, Demetrio Albertini, Stefano Sorrentino e Mister Alberto Malesani. Ne parliamo con l’autore e regista del film, Johnny Calà.

Johnny, qual è l’idea originale del film?

«Tutto è cominciato prenotando un campo storico a Verona, noto per ospitare partite con scopi sociali sotto diverse denominazioni da decenni. Lì, ho incontrato un gruppo di ragazzi con storie intriganti: molti avevano giocato nei settori giovanili di club rinomati, ma per vari motivi non erano riusciti a diventare professionisti. Nonostante avessero accantonato l’idea di giocare a livelli alti, la loro passione per il calcio non si era affievolita. La determinazione con cui continuano a inseguire i loro sogni mi ha ispirato a raccontare questa storia: non una celebrazione del successo, ma un omaggio a chi ama il calcio oltre le vittorie e le sconfitte.»

Qual è il messaggio che emerge dal tuo docufilm?

La locandina del film

«Direi un messaggio semplice ma potente: non è necessario raggiungere la gloria per trovare il proprio posto nel mondo o sentirsi appagati. I ragazzi del Bootay dimostrano come il calcio possa essere un luogo di aggregazione, amicizia e riscatto, anche senza diventare una carriera. Volevo mostrare che, oltre la retorica del successo, ci sono persone che hanno trovato la felicità semplicemente giocando e vivendo il calcio con autenticità. Questo docufilm è anche una riflessione sulla capacità di rialzarsi dopo una caduta, accettare la vita per quello che è e fare del proprio meglio senza rancori o rimpianti.»

Cosa ti è piaciuto di più nel lavorare a questo progetto?

«Senza dubbio, avere l’opportunità di conoscere le storie personali dei ragazzi del Bootay, una squadra creata da Jacopo Brama, ex giocatore del Verona Calcio a 5, è stata un’esperienza davvero speciale. Ha deciso di allontanarsi dalle dinamiche spesso tossiche del calcio giovanile per formare un gruppo che fosse prima di tutto una famiglia, basata su valori come il rispetto e l’amicizia. Ogni giocatore porta con sé una storia unica, fatta di sogni, sacrifici e anche momenti difficili. Sono rimasto colpito dalla loro autenticità nel raccontarsi di fronte alla telecamera, senza filtri o maschere. È stato un privilegio dare voce a questi racconti.»

Il film vede la partecipazione anche di alcuni “volti noti” del calcio veronese. Da Sergio Pellissier ad Alberto Malesani passando per il sindaco Damiano Tommasi. Com’è stato lavorare con loro?

«Collaborare con personalità di tale spessore è stato entusiasmante e, al contempo, sorprendentemente umano. Sergio Pellissier e Stefano Sorrentino sono stati tra i primi sostenitori del progetto. Hanno condiviso con noi riflessioni profonde sul mondo del calcio giovanile e sull’importanza di mantenere viva la passione per questo sport, oltre i risultati. Mister Malesani mi ha affascinato con la sua capacità di descrivere il calcio come una sorta di religione: il suo contributo ha portato una dimensione poetica al film. Damiano Tommasi, nonostante i suoi impegni come sindaco, ha trovato il tempo di proporre la sua prospettiva da ex campione e figura istituzionale, mentre Demetrio Albertini ha offerto un intervento straordinario sul valore della sconfitta, pur non essendo direttamente legato al contesto locale.»

Le presentazioni del film hanno registrato il tutto esaurito fino ad ora. Una bella soddisfazione.

«Sì, è stata una grande soddisfazione, soprattutto considerando che il film è stato praticamente autoprodotto da me e Jacopo, con il supporto di alcuni giovani studenti di cinema che ci hanno aiutato durante le riprese. Abbiamo messo anima e cuore in questo progetto, affrontando spesso sfide logistiche ed economiche significative. Vedere più di 240 persone al cinema per un film indipendente, nato quasi per caso, è stato emozionante. Sapere che il pubblico ha apprezzato il messaggio e le storie raccontate ripaga tutto il lavoro svolto.»

Johnny Calà con il papà Jerry alla “prima” del film

Tuo papà Jerry cosa dice di questa tua passione per il cinema?

«Il legame con mio padre è sempre stato chiaro e diretto. Fin da bambino, ho nutrito una passione per la narrazione e il cinema è diventato il mezzo ideale per esprimerla. Mio padre era sempre al corrente di questo progetto, ma ha scelto di non vedere nulla fino all’anteprima. È stato emozionante scoprire che gli è piaciuto, soprattutto perché non è solito fare complimenti a cuor leggero. Quando mi ha detto di essere rimasto colpito, per me è stato un riconoscimento significativo.»

Quali saranno i tuoi prossimi progetti?

«Attualmente sto dedicando molto tempo all’università, poiché mi laureerò a luglio. Tuttavia, ho già in mente diversi progetti per il futuro. Mi piacerebbe continuare a raccontare storie della provincia, spesso ignorate dal cinema italiano, perché credo che ci siano realtà straordinarie che meritano di essere valorizzate. Un altro progetto che mi appassiona riguarda la storia dei cinema di Verona: desidero documentare il declino delle storiche sale della città, riflettendo su come il modo di vivere il cinema sia cambiato nel tempo.»

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